Tutte le giornate “dedicate a”, portano in sé e con sé gli strascichi della ricerca di consenso, che è poi la farina di cui è fatta la politica e le sfere di potere in genere. D’altronde è la stessa memoria ad avere una duplice faccia. Da un lato patrimonio che eleva una pluralità di individui al livello di civiltà, e non è un caso se l’Italia, dai politologi e sociologi citata come caso di bassa cultura civica, è definita il paese dei senza memoria. Dall’altro, proprio in quanto patrimonio mnemonico d’imprinting – secondo alcuni neurobiologi addirittura celebrale - per un popolo, è anche la più facile leva con cui le élite del potere possono radicare la loro legittimazione, ottenere sostegno pubblico alle decisioni più disparate, attraverso voli retorici degni del miglior Pindaro.
Da alcuni anni stiamo assistendo al più selvaggio proliferare di giornate commemorative, tali da aver riempito l’intero calendario. Alcune più che degne: contro le mafie; in ricordo alle vittime della shoa; contro l’usura. Altre tristemente scadenti nel folclore o nella promozione turistica.
Non credo sia scelta oculata quella di imprimere un giro di vite alle celebrazioni, soluzione “laica” fra l’altro di difficile applicazione nel concreto, perché richiederebbe di formulare priorità inevitabilmente portatrici di scontro fra le stesse élite. Scontro inedito nell’Italia del conformismo di lotta fra estremità di potere convergenti - al contrario delle loro radici popolari, verso le quali colano gli sfoghi violenti di una contrapposizione “alta” per lo più scenica. Di certo nutro dubbi sulla loro utilità, quando la realtà quotidiana, soprattutto nella propria iconologia massmediatica e prettamente sociale, non perde occasione per disintegrare la memoria collettiva; arriva anzi a creare negli italiani anticorpi efficientissimi, che ne prevengono addirittura l’attecchimento.
L’elemento di memoria condiviso dai più, fortunatamente non da tutti, e può sembrare bassa ironia, è legato alla figura di Alberto Sordi (e mi collego ad una nota battuta morettina), soprattutto nell’estetica del Marchese del Grillo che, rivolto ai popolani di Roma ancora gabbati, dice in punta d’amarezza: “mi dispiace, ma io sono io…. e voi nun siete un cazzo”. La memoria che ci circonda è l’individualismo del più forte, che senza limiti etici riversa sugli anelli a lui sottoposti, quando gli sono identificabili, frustrazioni e costi sociali del proprio, relativo, benessere.
Marco Lombardi