lunedì 23 dicembre 2013

Convegno - VIVA IL SOCIALISMO

Convegno

VIVA IL SOCIALISMO

Nel centoventesimo di attività della

Federazione Socialista Italiana in Svizzera

Ø Cooperativo / St. Jakobstr. 6 / CH 8004 Zurigo

Ø Zurigo, domenica 23 febbraio 2014, ore 10.15

Relatori:

· Valdo Spini, presidente dell’Associazione Istituzioni Cultura Italiane, già Ministro dell'Ambiente e Ministro per le Politiche Comunitarie

· Laura Garavini, parlamentare (PD), componente della Commissione Antimafia e della Commissione Esteri della Camera

· Renzo Ambrosetti, co-presidente del Sindacato UNIA e presidente della Federazione europea Metalmeccanici (EMF)

Interventi di:

Paolo Bagnoli (Firenze), Per un reinsediamento socialista in Italia

Felice Besostri (Milano), Legge elettorale, Costituzione, Democrazia

Anna Biondi (Ginevra), Un mondo di lavoro

Francesco Papagni, (Lucerna), Religiöser Sozialismus in Zürich

Fabio Vander (Roma), Leopardi, la politica e la "social catena"

Conradin Wolf (Zurigo), Würde und Menschenrechte

Presiedono:

Vreni Hubmann (Zurigo), presiede la sessione antimeridiana

Andrea Ermano (Zurigo), presiede la sessione pomeridiana

Sui prossimi numeri dell’ADL il programma dettagliato del convegno

 

venerdì 13 dicembre 2013

Due continenti, una lotta civile

Da MondOperaio
 
Martin Luther King e Nelson Mandela ci parlano
 
di Danilo Di Matteo
 
L'attualità dell'insegnamento e dell'opera di Martin Luther King, di Nelson Mandela e di altri non è solo nella strenua lotta contro le discriminazioni razziali. No; è pure nell'aver lottato con tutte le energie contro il principio dell' "eguali ma separati". Principio che ha rappresentato un tentativo di giustificazione della segregazione su base etnica.
    Non ci possono essere libertà e democrazia senza convivenza, gli uni accanto agli altri, degli individui con diverso colore della pelle e di diversa provenienza. A iniziare dalla scuola. E qui si scorge la risonanza, persino emotiva, con recenti vicende, che si sono presentate anche in Italia.
    La logica del ghetto o dell'enclave compromette qualsiasi tentativo di dare sostanza all'astratta proclamazione dell'uguaglianza fra gli esseri umani. Solo il quotidiano confronto dei diversi negli stessi luoghi, a stretto contatto, consente alla nostra civiltà di maturare. Già, le differenze; né King né Mandela pensavano di negarle, proponendosi anzi di valorizzarle, facendone una ricchezza per tutti. Non è necessariamente per il "crogiolo" che passa la strada dell'emancipazione e della liberazione dei singoli e dei gruppi.
    Piuttosto bisognerebbe tendere a una sorta di coro o di orchestra sociale. Ciascuno suona il proprio strumento e usa la sua voce, il più possibile, però, in armonia con gli altri. Offrendo al maggior numero di persone le chance e le opportunità per migliorare la propria situazione e per promuovere le proprie capacità. Facendo in modo, cioè, che il ventaglio delle opzioni e delle scelte non sia determinato soprattutto dal villaggio o dalla famiglia di provenienza.
    E oggi dal Sudafrica, pure attraversato da mille tensioni e contraddizioni, ci viene una lezione di democrazia – sì, di democrazia – dai milioni di cittadini raccolti in preghiera nelle sinagoghe, nelle chiese delle varie denominazioni cristiane, nelle moschee ecc

Il movimento ecumenico mondiale e il padre del Sudafrica democratico

Da Notizie Evangeliche
  
Numerosi leader religiosi presenti ieri allo stadio
FNB per la celebrazione commemorativa
 
Roma (NEV) 11 dicembre 2013 - A poche ore dalla morte di Nelson Mandela, scomparso lo scorso 5 dicembre all'età di 95 anni, sono giunti da parte degli esponenti di chiese e di organizzazioni ecumeniche europee e mondiali i messaggi di cordoglio e di vicinanza ai famigliari e al popolo sudafricano. Ricordando non solo l'attivista anti-apartheid, già presidente del Sudafrica e Premio Nobel per la pace "Madiba", ma anche l'uomo di fede e di speranza, capace di perdono e riconciliazione, numerosi leader religiosi hanno reso omaggio all'eredità di Mandela.
    Il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) Olav Fykse Tveit, presente alla commemorazione svoltasi ieri nel FNB Stadium di Johannesburg per l'ultimo saluto al padre del Sudafrica democratico, ha ringraziato Dio per la vita di Mandela, che ha descritto come un dono al Sudafrica e al mondo intero. Evocando lo speciale rapporto che Mandela ebbe con il CEC, Tveit ha ricordato come poco dopo la sua liberazione dal carcere nel 1990, dove trascorse 27 anni della sua vita, fece visita al CEC di Ginevra. In quell'occasione Mandela espresse la sua gratitudine per il sostegno delle chiese alla lotta anti-apartheid. Inoltre, nel 1998, da presidente del Sudafrica, Mandela si rivolse alla VIII Assemblea generale del CEC di Harare (Zimbabwe). Lodò gli sforzi delle chiese contro l'apartheid in Sudafrica, nonché i missionari che portarono alti livelli di educazione all'Africa, educazione di cui lui stesso usufruì da bambino negli istituti metodisti prima di Clarkebury e poi di Healdtown.
    La celebrazione commemorativa per questo "gigante della storia", si è aperta con una preghiera interreligiosa guidata dal rabbino capo sudafricano Warren Goldstein. A ricordare la lotta di Mandela contro l'oppressione e l'ingiustizia, nonché la sua fede evangelica metodista, il vescovo sudafricano Ivan Abrahams, segretario generale del Consiglio metodista mondiale (CMM), che ha detto: "Ha saputo portare speranza a chi è strozzato dalla povertà e dalla fame; ai disperati ha permesso di guardare a un futuro migliore; e ai tanti giovani sudafricani ha saputo dare dignità. Mandiba sarà di ispirazione ancora per tante generazioni a venire".
    Messaggi di cordoglio sono giunti, tra gli altri, anche dalla Conferenza delle chiese europee (KEK), dalla Comunione mondiale delle chiese riformate, dall'Alleanza battista mondiale, dalla Federazione luterana mondiale, dal quartier generale di Londra dell'Esercito della Salvezza, dalla Conferenza generale degli avventisti e dalla Comunione anglicana.

Ridiamo i BES alla didattica

Da vivalascuola riceviamo
e volentieri pubblichiamo
  
di Giorgio Morale
 
vivalascuola presenta una puntata dedicata ancora ai BES, con una intervista di Marina Boscaino ad Alain Goussot:
 
 
E' arrivata il 22 novembre l'attesa nota del MIUR sul tema: la quarta in 11 mesi per annunciare, chiarire, chiarire i chiarimenti. Ed è annunciato un seguito.
Alla fine l'unica cosa chiara è che la "rivoluzione" dei BES (Bisogni Educativi Speciali) si è sgonfiata. Succede spesso in Italia con le rivoluzioni annunciate. Il Miur tranquillizza le scuole: con i BES non cambia nulla, continuate a fare quello che avete sempre fatto, "nulla è innovato".
Tutto come prima allora? No: si è messa in moto una "strategia della gradualità" rivolta: a giustificare un nuovo taglio di insegnanti di sostegno, come appare evidente dalle anticipazioni sulla spending rewiew; e a deprimere la didattica, come mostra Alain Goussot nell'intervista rilasciata a Marina Boscaino che proponiamo in questa puntata di vivalascuola.

giovedì 12 dicembre 2013

Il movimento ecumenico mondiale e il padre del Sudafrica democratico

Da Notizie Evangeliche

http://www.fcei.it

Numerosi leader religiosi presenti ieri allo stadio

FNB per la celebrazione commemorativa

Roma (NEV) 11 dicembre 2013 - A poche ore dalla morte di Nelson Mandela, scomparso lo scorso 5 dicembre all'età di 95 anni, sono giunti da parte degli esponenti di chiese e di organizzazioni ecumeniche europee e mondiali i messaggi di cordoglio e di vicinanza ai famigliari e al popolo sudafricano. Ricordando non solo l'attivista anti-apartheid, già presidente del Sudafrica e Premio Nobel per la pace "Madiba", ma anche l'uomo di fede e di speranza, capace di perdono e riconciliazione, numerosi leader religiosi hanno reso omaggio all’eredità di Mandela.

Il segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) Olav Fykse Tveit, presente alla commemorazione svoltasi ieri nel FNB Stadium di Johannesburg per l'ultimo saluto al padre del Sudafrica democratico, ha ringraziato Dio per la vita di Mandela, che ha descritto come un dono al Sudafrica e al mondo intero. Evocando lo speciale rapporto che Mandela ebbe con il CEC, Tveit ha ricordato come poco dopo la sua liberazione dal carcere nel 1990, dove trascorse 27 anni della sua vita, fece visita al CEC di Ginevra. In quell'occasione Mandela espresse la sua gratitudine per il sostegno delle chiese alla lotta anti-apartheid. Inoltre, nel 1998, da presidente del Sudafrica, Mandela si rivolse alla VIII Assemblea generale del CEC di Harare (Zimbabwe). Lodò gli sforzi delle chiese contro l’apartheid in Sudafrica, nonché i missionari che portarono alti livelli di educazione all’Africa, educazione di cui lui stesso usufruì da bambino negli istituti metodisti prima di Clarkebury e poi di Healdtown.

La celebrazione commemorativa per questo "gigante della storia", si è aperta con una preghiera interreligiosa guidata dal rabbino capo sudafricano Warren Goldstein. A ricordare la lotta di Mandela contro l'oppressione e l'ingiustizia, nonché la sua fede evangelica metodista, il vescovo sudafricano Ivan Abrahams, segretario generale del Consiglio metodista mondiale (CMM), che ha detto: "Ha saputo portare speranza a chi è strozzato dalla povertà e dalla fame; ai disperati ha permesso di guardare a un futuro migliore; e ai tanti giovani sudafricani ha saputo dare dignità. Mandiba sarà di ispirazione ancora per tante generazioni a venire".

Messaggi di cordoglio sono giunti, tra gli altri, anche dalla Conferenza delle chiese europee (KEK), dalla Comunione mondiale delle chiese riformate, dall'Alleanza battista mondiale, dalla Federazione luterana mondiale, dal quartier generale di Londra dell'Esercito della Salvezza, dalla Conferenza generale degli avventisti e dalla Comunione anglicana.

 

Due continenti, una lotta civile

Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/

 

Martin Luther King e Nelson Mandela ci parlano

 

di Danilo Di Matteo

L’attualità dell’insegnamento e dell’opera di Martin Luther King, di Nelson Mandela e di altri non è solo nella strenua lotta contro le discriminazioni razziali. No; è pure nell’aver lottato con tutte le energie contro il principio dell’ “eguali ma separati”. Principio che ha rappresentato un tentativo di giustificazione della segregazione su base etnica.

Non ci possono essere libertà e democrazia senza convivenza, gli uni accanto agli altri, degli individui con diverso colore della pelle e di diversa provenienza. A iniziare dalla scuola. E qui si scorge la risonanza, persino emotiva, con recenti vicende, che si sono presentate anche in Italia.

La logica del ghetto o dell’enclave compromette qualsiasi tentativo di dare sostanza all’astratta proclamazione dell’uguaglianza fra gli esseri umani. Solo il quotidiano confronto dei diversi negli stessi luoghi, a stretto contatto, consente alla nostra civiltà di maturare. Già, le differenze; né King né Mandela pensavano di negarle, proponendosi anzi di valorizzarle, facendone una ricchezza per tutti. Non è necessariamente per il “crogiolo” che passa la strada dell’emancipazione e della liberazione dei singoli e dei gruppi.

Piuttosto bisognerebbe tendere a una sorta di coro o di orchestra sociale. Ciascuno suona il proprio strumento e usa la sua voce, il più possibile, però, in armonia con gli altri. Offrendo al maggior numero di persone le chance e le opportunità per migliorare la propria situazione e per promuovere le proprie capacità. Facendo in modo, cioè, che il ventaglio delle opzioni e delle scelte non sia determinato soprattutto dal villaggio o dalla famiglia di provenienza.

E oggi dal Sudafrica, pure attraversato da mille tensioni e contraddizioni, ci viene una lezione di democrazia – sì, di democrazia – dai milioni di cittadini raccolti in preghiera nelle sinagoghe, nelle chiese delle varie denominazioni cristiane, nelle moschee ecc.

 

giovedì 5 dicembre 2013

La crisi impone gli Stati Uniti d'Europa

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Danilo Campanella

 

Da un’analisi della Coldiretti sulla base della "Christmas survey 2013" risulta che il 56% degli italiani ritiene che la situazione economica peggiorerà. Un altro Natale magro, quindi? Sì, ma non solo per l'Italia.

La crisi morde in Grecia, in Spagna ma anche in quella Francia che deve fare i conti con le ingenti spese sociali legate alla tutela della sussidiarietà sociale. Le opinioni euroscettiche della destra e di parte della sinistra non sono sufficienti a convincerci né del ritorno agli stati nazionali né a continuare il percorso intrapreso finora, in balia dell'economicismo europeista che, puntando l'attenzione soltanto sullo spread ritiene di poter rilanciare la crescita e gli investimenti, nuovi posti di lavoro e unità politica.

Occorre meno Europa, quindi? Tutt'altro. L'UE non ha creato la crisi, nata soprattutto con i prestiti USA erogati dalla "bolla" immobiliare a cui l'Europa ha reagito tramite strumenti di protezione sociale.

L’economia “del desiderio”, contro la quale si battevano uomini come Aldo Moro e Giuseppe Toniolo ha spalancato squarci sociali che rimarranno aperti per molto tempo. Questa mentalità che promuove il gigantismo ad ogni livello, ha portato alla costituzione di banche con un volume d’affari superiore al Pil degli Stati.

La crisi è nata da una "mancanza" o, meglio, da una "insufficienza" di Europa, nella quale il bilancino pende soprattutto da parte di quella Germania che punta tutto sulla sua autorevolezza economica, facendo coincidere performance economica con legittimazione etica.

Oggi più che mai occorrono gli Stati Uniti d'Europa.

Per contrastare il riarmo e controllare la produzione bellica si decise nel 1951 di costituire la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), istituzione che precorse i Trattati di Roma (1957) coi quali venne costituita la Comunità Economica Europea (1958), poi Unione Europea, con il Trattato di Maastricht entrato in vigore il 1° novembre del 1993. Il tutto venne ispirato dal manifesto di Ventotene, documento redatto dagli italiani Eugenio Colorni, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, in esilio come antifascisti sull’isola di Ventotene negli anni ’40.

Aldo Moro era sensibile alla necessità di un’Europa unita e partecipò a lavori, convegni e conferenze con istituzioni pubbliche e associazioni assieme al Consiglio Italiano del Movimento Europeo, fondato nel 1948 e presieduto nel ’59 da Randolfo Pacciardi. Come testimonia, fra le tante, la lettera di Moro al presidente del Movimento Europeo del 7 Agosto 1959, egli si impegnò a partecipare, come delegato italiano, ai lavori del “Comitato d’Azione per gli Stati-Uniti d’Europa sotto la guida di Jean Monnet, il quale apprezzava la Democrazia Cristiana, attiva e quotizzante, nel “Comité d’action".

Nella riunione tenuta l’11 Luglio 1960 a Parigi, nella sua ottava sessione il Comitato prese atto dei passi essenziali verso l’unificazione dei Paesi europei ravvisando nel progetto di fusione degli esecutivi della Comunità Europea del Mercato Europeo Comune composto allora da Mec, Ceca ed Euratom.

Il delegato di Moro per la DC, l’on. Mario Pedini, diede l’adesione del partito al progetto osservando, tuttavia, che la fusione degli esecutivi sarebbe dovuta procedere di pari passo con la volontà di incrementare l’autorità politica del nuovo esecutivo, salvando così il concetto di “supernazionalità”.

Pedini chiese inoltre di non cadere nella tentazione di costituire una “supernazione” autarchica, impedendo anche con una legge anti-trust l’insorgere di gruppi di potere e di pressione illeciti. Per fare ciò bisognava innanzitutto dare la parola al popolo, al popolo europeo.

Non quindi "meno" Europa, anzi, chiediamo un' Europa forte nell'unica legittimazione democratica possibile: quella popolare. (Critica liberale)

 

domenica 1 dicembre 2013

Memoria politica e album di famiglia

Da MondOperaio
 
Dell'assassinio di Kennedy seppi quasi in diretta…
 
di Luigi Covatta
 
Dell'assassinio di Kennedy seppi quasi in diretta, per quanto dirette potessero essere le informazioni cinquant'anni fa. Ero al telefono col direttore di un quotidiano. Ricevette l'Ansa mentre parlava con me. Il quotidiano era quello della Curia milanese, L'Italia, e il direttore Giuseppe Lazzati, uno dei professorini che con Dossetti aveva partecipato alla Costituente.
    Io mi trovavo a Castelveccana, sul Lago Maggiore, dove noi "fucini", insieme coi primi seguaci di don Giussani, eravamo stati mandati dalla stessa Curia per dirimere le aspre controversie che ci dividevano sul tema della laicità della politica: e di questo appunto riferivo a Lazzati, che una decina d'anni prima aveva messo il tema all'ordine del giorno col saggio su "Azione cattolica e azione politica".
    Alla notizia Lazzati reagì scartando subito la dietrologia, e puntando invece il dito contro la cultura del Far West, che a suo giudizio (non esente da eurocentrismo) permeava ancora la società americana. Me ne ricordai nelle settimane successive, quando un editore, benché avessi solo vent'anni, mi ingaggiò per compilare un instant book ante litteram sulla vicenda del presidente americano (cinquant'anni fa capitava anche questo, e capitava perfino che il lavoro intellettuale dei giovani non venisse retribuito in nero).
    Me ne ricordai anche quando un altro assassinio, quello di Moro, interruppe la linearità di un processo politico. Non che non vedessi le trame che si sviluppavano sotto il tavolo: ma capivo che senza un Moretti (o un Oswald) che agiva sopra il tavolo quelle trame non avrebbero avuto ragion d'essere. E capii anche quali sono i limiti di quella azione politica di cui a vent'anni rivendicavo l'autonomia, e che poteva essere annullata da un gesto individuale partorito dalla pancia di una cultura latente: come è quella di un album di famiglia, del Far West o del bolscevismo che sia.
    E ora capisco anche che di quei limiti, paradossalmente, non tiene conto invece l'antipolitica: che imputa ai "politici" ogni colpa – dell'alluvione sarda o del blocco dei mezzi pubblici a Genova – nella convinzione iper-politica che la politica possa cambiare ogni cosa, compresi gli album di famiglia degli abusivi "per necessità" e delle aziende pubbliche dissestate dalle assunzioni clientelari.

 

Senza oneri per lo Stato

Da vivalascuola riceviamo
e volentieri pubblichiamo
 
di Giorgio Morale
 
vivalascuola propone un intervento di Corrado Mauceri che ricostruiscele tappe che portano allo snaturamento della scuola pubblica italiana così come viene delineata dalla Costituzione:
 
 
Il sostegno economico alla scuola privata si accompagna infatti all'impoverimento della scuola statale e procede di pari passo con l'aziendalizzazione della scuola, equiparata a una azienda regolata dalla logica del profitto. Ne è corollario l'aumento dei poteri della dirigenza, a scapito degli organi collegiali e delle forme della partecipazione e della democrazia scolastica.
    Questa storia prosegue con le iniziative della ministra Carrozza, che dopo aver promesso all'inizio del suo mandato una Costituente dell'Istruzione per coinvolgere tutto il mondo della scuola, avrebbe voluto calare dall'alto come collegato alla Legge di Stabilità un provvedimento, al momento rinviato, su alcuni punti fondamentali per la scuola come stato giuridico e salari, e ridurre gli organi collegiali alla sola funzione consultiva.
    Completano la puntata materiali sull'argomento e le notizie della settimana scolastica.

domenica 10 novembre 2013

L'Italia sono anch'io.

Le idee

Pisapia e Feltrinelli i nuovi portavoce della Campagna



Roma (NEV), 6 novembre 2013 - Nuovi portavoce della Campagna nazionale "L'Italia sono anch'io" per i diritti di cittadinanza sono il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e l'editore Carlo Feltrinelli. I promotori della Campagna - tra cui figura anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) - in un incontro svoltosi il 31 ottobre nel capoluogo lombardo, hanno proposto loro di assumere tale ruolo, in sostituzione del sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, che con la nomina a ministro della Repubblica aveva preferito rimettere l'incarico.

I due nuovi portavoce, assumendo questo impegno, hanno espresso apprezzamento per il lavoro svolto dalle organizzazioni promotrici su un tema come quello della riforma della cittadinanza, oggi particolarmente sentito e urgente. Tutti hanno convenuto sulla necessità di rilanciare con efficacia i temi sollevati dalla Campagna – riforma della legge sulla cittadinanza e diritto di voto alle amministrative per gli stranieri residenti da 5 anni –, temi oggetto di due proposte di legge di iniziativa popolare sottoscritte da 200mila persone e già depositate in Parlamento. Pisapia e Feltrinelli si sono quindi impegnati a inviare una richiesta di audizione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera per sollecitare la calendarizzazione della discussione in aula e accelerare la conclusione dell'iter parlamentare.

In vista della prossima scadenza elettorale per il rinnovo dell'Europarlamento il Comitato promotore de "L'Italia sono anch'io" ha inoltre deciso di proiettare la Campagna in una dimensione europea, con un primo importante appuntamento il prossimo 18 dicembre, Giornata internazionale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti.



"L'Italia sono anch'io" è promossa da: Acli, Arci, Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Città del Dialogo, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza, Comitato 1° Marzo, Comunità di Sant'Egidio, Coordinamento nazionale degli Enti locali per la Pace e i Diritti umani, Emmaus Italia, Fcei - Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes, Legambiente, Libera, Lunaria, Il Razzismo è una Brutta Storia, Rete G2 - Seconde Generazioni, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco, Uil, Uisp. / http://www.fcei.it<http://www.fcei.it/>

martedì 5 novembre 2013

Il centrosinistra cinquant’anni dopo

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Capire il passato per immaginare il presente. Il 25 ottobre si è svolto a Bologna il convegno organizzato da Mondoperaio e dal Mulino per ricordare il cinquantesimo anniversario del primo governo di centrosinistra. Sono intervenuti tra gli altri Enzo Cheli, Emanuele Macaluso, Mariuccia Salvati, Ernesto Galli della Loggia, Piero Ignazi, Manin Carabba, Giuseppe Berta, Simona Colarizi, Gennaro Acquaviva, Luigi Pedrazzi, Paolo Pombeni, Guido Formigoni, Angelo Panebianco, Gianfranco Pasquino, Michele Salvati e Luigi Covatta. Nei prossimi giorni sarà messa in rete sul sito di MondOperaio la registrazione dell'evento. Di seguito anticipiamo una sintesi dell'intervento di Covatta.

di Luigi Covatta

Il 50° anniversario del governo Moro-Nenni non è il 25 ottobre, ma il 4 dicembre. Oggi però è il 50° anniversario del congresso del Psi che autorizzò Nenni a partecipare al governo. Alla mozione autonomista (che vedeva ancora uniti Nenni e Lombardi, benché ci fosse già stata la "notte di san Gregorio") andò solo il 57% dei voti, mentre la sinistra di Vecchietti e Valori sfiorò il 40%.

Nella Dc Fanfani era già stato sostituito da Moro, il quale, come scrisse Cafagna nel 1980, "distinguendosi abilmente […] dai dorotei, che lo avevano officiato per sostituirlo a Fanfani, riuscì a far dimenticare l'origine dorotea […] della propria affermazione politica e del mandato ricevuto, che era quello di risolvere la crisi parlamentare ottenendo l'organico concorso socialista a un governo saldamente doroteo".

Il centro-sinistra organico quindi comincia quando il centro-sinistra riformista è già finito. Secondo Cafagna così si determinò "un bel circolo vizioso: la Dc chiama dentro i socialisti non offrendo una politica riformatrice contro un sostegno, bensì, più prosaicamente, vendendo posti di governo contro un sostegno. Ma mentre in uno scambio politico del primo tipo (politica riformatrice contro sostegno) i socialisti avrebbero potuto ottenere una merce rivendibile all'elettorato di sinistra (e tentare così di rafforzarsi anche a spese dei comunisti), nello scambio svilito del secondo tipo (meri posti di governo contro sostegno) non ottenevano una merce rivendibile elettoralmente, ma una merce solo consumabile, per così dire, in casa, dal ceto politico socialista in quanto tale". Ed infatti comincia la doroteizzazione del Psi, che peserà anche sull'unificazione socialista, e che nel 1976 porterà il Psi al suo minimo storico.

Il centro-sinistra riformista non era frutto solo dell'attivismo di Fanfani e dell'illuminismo di Lombardi. Aveva alle spalle una lunga e rispettabile elaborazione politico-culturale sia in seno al mondo cattolico (Lombardini, Saraceno, Ardigò, Benevolo, Andreatta), sia nell'area laico-socialista (Giolitti, La Malfa, Momigliano, Guiducci, Zevi). Un'elaborazione che si sviluppò soprattutto nell'insostituibile crogiolo rappresentato dal Mulino, nel quale si fondevano cattolici, socialisti e liberali, oltre che nei convegni degli Amici del Mondo (meno su Mondoperaio, dal momento che non era semplicissimo passare dalla direzione di Raniero Panzieri a quella di Antonio Giolitti).

Quella elaborazione andrebbe rivisitata anche per ricostruire una genealogia del riformismo italiano, che nel secondo dopoguerra si è manifestato innanzitutto attraverso quel dialogo fra cattolici e socialisti che era disgraziatamente mancato nel primo dopoguerra. Ed andrebbe rivisitata adesso, invece di ripetere giaculatorie esorcistiche sul non volere "morire socialisti" o sul non volere "morire democristiani".

Al congresso di Napoli del 1962 Moro si augura che "nessuno nella Dc voglia sostenere la tesi qualunquista della preminenza e sufficienza del programma", mentre l'obiettivo da perseguire era "la creazione di un più stabile equilibrio in seno alla democrazia italiana", cooptando "senza rischi, ed anzi con vantaggio, il Psi per la guida politica del paese e per la difesa delle istituzioni": insomma, tutta politics e niente policies, laddove proprio sulle policies si era registrata la confluenza dei riformisti cattolici, laici e socialisti, mentre il paradigma delle politics restava l'intangibilità dell'unità politica dei cattolici e degli equilibri interni alla Dc che ne conseguivano, rispetto ai quali i bisogni del paese passavano in secondo piano: come disse Donat Cattin al convegno di Lucca del 1967, "il partito dei cattolici– proprio per mantenere il massimo delle adesioni secondo una categoria non politica – ha finito molte volte per essere il partito della non scelta o il partito della scelta ritardata e fondata sulla necessità".

Si può discutere – e molto si è discusso specialmente da quando si è affermato il pensiero unico neoliberista – sull'adeguatezza delle policies del centro-sinistra fanfaniano. La nazionalizzazione dell'energia elettrica oggi sarebbe politicamente scorretta, anche se abbiamo appena finito di celebrare un altro cinquantenario, quello del Vajont. La scuola media unica ha dato luogo a quella scolarizzazione di massa che ancora oggi è oggetto di critica da parte di èlites non necessariamente di destra. La riforma urbanistica, che non passò, può sembrare un'utopia in un paese in cui, al di là delle salmodie sui beni comuni, ci si scanna sull'Imu. E l'idea stessa della programmazione rappresentava indubbiamente la quintessenza del dirigismo.

Tuttavia quel progetto dirigista presumeva anche una qualche politica dei redditi, perseguiva il riequilibrio territoriale, pretendeva di investire sul capitale umano e sul capitale sociale. E poteva costituire per la società italiana lo stress test necessario per superare, nel tempo medio, le due principali anomalie italiane: quella rappresentata dal vasto consenso di cui godeva il Pci, e quella che impediva l'autonoma rappresentanza di una destra liberale e conservatrice. Invece col prevalere delle politics (che del resto era anche nelle corde di Nenni e del suo politique d'abord), cioè con la riduzione del centro-sinistra a formula parlamentare, si determinò, come dice Cafagna (Una strana disfatta, 1996) l'accumulo di "un ammasso di cambiali a carico delle generazioni future che fu la vera sostanza di quel che è stato poi chiamato pomposamente dai critici consociativismo".

Per Cafagna, dopo che Fanfani aveva dato vita ad una "peculiare forma di autonomia del politico", la Dc dorotea diede vita a quella altrettanto "peculiare forma di eteronomia dell'economico" che allora cominciò a svilupparsi: per cui "per il sistema delle imprese si passò dall'utilità dell'aiuto statale al bisogno parassitario di questo", fino ad affermare "una singolare modalità vampiresca di aumento dei poteri di chi gestiva la cosa pubblica e che si nutriva di dissesti aziendali".

D'altra parte il riformismo illuminista risultava "inabile a far blocco con interessi diffusi, eccentrico rispetto alla cultura popolare corrente, e quindi sostanzialmente improduttivo di consenso democratico immediato. […] In un mare in tempesta parlava di razionalizzare la nave rivolgendosi a passeggeri sordi e marinai ubriachi". Per cui, "nella feccia di Romolo della realtà economico-sociale italiana", anche da parte del Psi fu giocoforza cercare il consenso con l'assistenzialismo: "dall'arrembaggio alle casse previdenziali dei settori di lavoro indipendente protetti dalla Dc all'uso improprio delle pensioni di invalidità, alla irriflessiva trasformazione del sistema pensionistico in sistema retributivo, alla concessione di aumenti e benefici d'età fatti sotto gli sgrulloni di una minaccia elettorale, e poi del cattivo esito del risultato della stessa elezione" (Una strana disfatta).

Cinquant'anni dopo le parole del lessico politico sono le stesse: la stabilità, lo stato di necessità, la prevalenza delle politics sulle policies. E' cambiata, però, la forma del sistema politico: il che non toglie che anche oggi un terzo dell'elettorato è rappresentato da una forza antisistema: e che essa sia guidata da un guitto, e non da un rivoluzionario di professione, è solo il segno dell'ulteriore imputridirsi della "feccia di Romolo".

Anche oggi, cioè, abbiamo a che fare con un "bipartitismo imperfetto". Con la differenza che in seno all'odierna forza antisistema è impensabile che si confrontino un Amendola e un Ingrao: ma anche con la differenza che i due poli che a febbraio si sono contesi la guida del paese rappresentano, sommati insieme e a prescindere dalle loro divisioni interne, soltanto il 42,5% dell'elettorato.

Del resto anche il nuovo sistema politico nacque eludendo lo stress test sulle policies (che semmai venne lasciato volentieri ai governi minoritari e "tecnici" di Amato, Ciampi e Dini), ma invece utilizzando lo strumento iper-politico della riforma elettorale, nella convinzione (fallace) che il blocco del sistema della prima Repubblica dipendesse esclusivamente dalle due parallele convenzioni ad excludendum, quella verso il Pci e quella verso il Msi.

Anche per questo gli eredi del Pci, per dirla ancora con Cafagna, sarebbero rimasti "meri postcomunisti", e gli eredi della Dc, per dirla con Marco Follini (C'era una volta la Dc, 1995), dopo avere sperimentato nel corso dell'epopea referendaria "il bipolarismo virtuale", si trovarono a mal partito col "bipolarismo reale", rinunciando alla "possibilità di riconvertirsi nel polo moderato": per cui già allora si manifestò una forza antisistema, quale per molti versi era nel 1994 Forza Italia. E così anche oggi la "politica" prevale sulle "politiche", e dalle "politiche" peraltro non nasce una "politica": proprio come avvenne cinquant'anni fa, quando si preferì garantire la stabilità degli schieramenti dati invece di forzare il sistema verso un bipartitismo "perfetto".

 

lunedì 4 novembre 2013

Che Bes pasticcio!

di Giorgio Morale

vivalascuola questa settimana presenta un approfondimento sui BES:

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2013/10/14/vivalascuola-150/

Annunciati come una grande rivoluzione, hanno messo in allarme le scuole; poi una circolare annunciata pare ridimensionare l'ennesima "riforma epocale".
E' un esempio di quel susseguirsi, a ogni cambio di ministro, di riforme, circolari, direttive, decreti, che distrugge quello che non si è nemmeno finito di costruire. Ogni proclama si ferma allo stadio di annuncio, senza che trovi la strada della realizzazione. Il ministero emette le sue direttive, sempre più approssimative: compito degli insegnanti realizzarle, senza risorse e senza strumenti. Con aumento di carichi di lavoro e burocratizzazione. E poiché molti insegnanti prendono sul serio il loro lavoro, soffrono nell'impresa di Sisifo di realizzare quanto lo stesso ministero distruggerà quanto prima. Oltre che uno dei motivi del burn out degli insegnanti, questo è un ostacolo alla didattica e un danno per gli allievi.
In questa puntata di vivalascuola parlano dei BES, su posizioni diverse, Carlo Avossa, Tullio Carapella e Luisa Formenti.
Completano la puntata una selezione dei materiali finora usciti sull'argomento e le notizie della settimana scolastica.

martedì 29 ottobre 2013

Il filosofo Peter Sloterdijk

DA RAFFAELLO CORTINA EDITORE

RICEVIAMO E VOLENTIERI SEGNALIAMO

 

Critica della ragion cinica

Concetto genere della banalità e del male, il “cinismo” è attitudine a farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Con botto finale. Oggi come non mai. - Ritorna in libreria, vent’anni dopo l’opera degli esordi di Peter Sloterdijk, salutata da Habermas come un “capolavoro della letteratura filosofica”. L’edizione italiana dell’opera è curata da Andrea Ermano e Mario Perniola per le edizioni Cortina.

Il filosofo Peter Sloterdijk

“Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, di un’amara disponibilità a farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Ben altra natura possedeva il cinismo degli antichi, o quello che Nietzsche chiamava cynismus, una forma estrema di autodifesa che opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di sopravvivenza, la sfrontatezza vitale di una filosofia vissuta. Se il cynicus Diogene viveva in una botte, il “cinico” moderno aspira invece al potere e al successo. Critica della ragion cinica parte da questa contrapposizione per rileggere l’intera storia della filosofia, sottoponendo a una serrata analisi il rapporto tra intellettuali e apparati di potere e il relativo strascico di sangue e ideologie.

Dalle esilaranti frecciate di Diogene contro Platone alla rivisitazione del Grande Inquisitore dostoevskijano, da Nietzsche e Heidegger alle drammatiche parabole della repubblica di Weimar e della rivoluzione russa, Sloterdijk mette a nudo i rischi estremi della falsa coscienza. Sostenuto da una inesauribile e travolgente forza satirica, intreccia provocatoriamente storia del pensiero e costumi sessuali, moda. arte, ideologia e mass media. E dopo aver tracciato una lucida diagnosi della catastrofe politico-morale del nostro tempo, ci indica una possibile terapia, attraverso il coraggio sereno e consapevole di un nuovo cynismus.

Edizione italiana a cura di Andrea Ermano e Mario Perniola. Con una Presentazione di Mario Perniola.

Peter Sloterdijk, fra i protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo, insegna Filosofia ed Estetica presso la Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, università di cui è rettore dal 2001. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Devi cambiare la tua vita (2010), La mano che prende e la mano che dà (2012) e Stress e libertà (2012). / http://www.raffaellocortina.it/

 

 

IPSE DIXIT

Il funzionamento - «Il funzionamento sacrificale esige un non-sapere, che ormai non c'è più.» – René Girard

Epoche tarde - «Sono perciò predisposte al cinismo tutte le epoche caratterizzate dai gesti vani e da un raffinato “parlar coverto”, dove dietro ogni parola si celano riserve mentali, ironie, universi ostili, muti monologhi sotterranei nelle viscere di formulazioni ufficiali per penetrare le quali occorre essere un tantino co/ironizzanti, co/decadenti, collaborazionisti e, quindi, anche un po’ co/rotti...» – Peter Sloterdijk

 

sabato 19 ottobre 2013

Berlusconismo a scuola: un bilancio

Da vivalascuola riceviamo
e volentieri pubblichiamo

Sarà proprio vero che Berlusconi è finito? Forse è presto per
dirlo, comunque è certamente tempo di accennare un bilancio.

di Giorgio Morale



Ci prova la puntata di vivalascuola di questa settimana, con spunti per un bilancio della scuola nel ventennio berlusconiano:



http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2013/10/07/vivalascuola-149/



Come si è trasformata la scuola italiana in questo periodo? Quali sono state le parole più usate? Quali sono state le continuità? E discontinuità, ce ne sono state? O c'è qualche filo rosso che attraversa il periodo? Ci riflette Giovanna Lo Presti con uno sguardo che abbraccia l'inizio e la fine del ventennio, da D'Onofrio a Carrozza. Con qualche sorpresa. O forse no. Completano la puntata le notizie della settimana scolastica.

L’accumulazione e l’avidità

Da MondOperaio
http://www.mondoperaio.net/


Il capitalismo è un fenomeno di difficile definizione, per le molte implicazioni sul piano storico, politico e sociale. La sua definizione comunemente accettata si ha con la Rivoluzione Industriale, e gli economisti che concorrono a formularla lo definiscono come modo efficiente di organizzare la produzione, la distribuzione e il consumo dei beni, fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.

di Gianfranco Sabattini


Karl Marx sostiene che il capitalismo, anche se efficiente, è iniquo sul piano sociale, e pertanto insostenibile. Max Weber attribuisce al capitalismo un significato culturale e sociale legato al pensiero religioso protestante, che prescrive per gli uomini una vita proba, finalizzata a massimizzare il risparmio attraverso la rinuncia al consumo, propensioni indispensabili all'accumulazione. Secondo Weber, successivamente e autonomamente dalla religione, tali propensioni si perpetuano indipendentemente dalle volontà dei singoli, trasformandosi in una forma di ascesi resa necessaria dalla competizione.

Per John Maynard Keynes il capitalismo è una grande conquista dell'uomo, esposta però al rischio di un'auto-estinzione; esso infatti, per sopravvivere, necessita che le istituzioni in cui si incorpora siano di continuo regolate al fine di eliminarne gli effetti indesiderati sul piano sociale. Anche per Karl Polanyi è un prodotto della società umana, però storicamente datato, e non un prolungamento della naturale tendenza umana ad arricchirsi, come vuole il pensiero liberale. Quest'ultima visione è largamente accolta nel dibattito attuale sui limiti del capitalismo, inteso sia come modo di produzione che come ideologia sociale tesa a giustificarlo.

Rispetto all'origine del capitalismo come modo di produzione si discute molto sul ruolo svolto dalla formazione delle pre-condizioni che ne hanno reso possibile l'avvento. Paolo Prodi e Giacomo Todeschini mostrano come i dibattiti teologici del mondo cattolico su usura, distinzione tra capitale sterile e capitale produttivo, giusto prezzo, bene comune ed altro ancora, contribuiscono a costruire il quadro etico e normativo che ha fatto del mercato un'istituzione affidabile e stabile. Il sociologo francese Gérard Delille, in L'economia di Dio, di recente pubblicazione, integra la discussione sulla nascita del capitalismo individuando l'impatto che sulla sua affermazione hanno avuto i differenti modi in cui le tre religioni monoteiste hanno definito e regolato i rapporti parentali.

Secondo il sociologo francese la regolazione della struttura familiare e parentale nell'antichità era formulata per costruire patrimoni che le famiglie intendevano conservare al loro interno, bloccandone la circolazione. Questo sistema è rimasto anche dopo la rivoluzione industriale; ne sono prova li maggiorascato, il "maso chiuso" ed altre istituzioni simili.

Indubbiamente prima della rivoluzione industriale le istituzioni che limitavano la circolazione dei patrimoni favorivano l'accumulazione di rilevanti ricchezze in poche famiglie; il maggiorasco, del quale si conservano ancora oggi alcuni "residui storici" come ad esempio il maso chiuso, era lo strumento giuridico mediante il quale i nuclei familiari tramandavano ai discendenti i propri patrimoni. Si istituiva erede il proprio figlio maschio e primogenito, o in mancanza il proprio fratello, perché conservasse il patrimonio ereditario al fine di lasciarlo alla propria morte al proprio figlio, che a sua volta doveva trasmetterlo al suo discendente diretto, e così via.

I dibattiti e le istituzioni medioevali sulla gestione e sull'uso delle risorse hanno certamente contribuito a creare il quadro etico che ha reso affidabile e stabile il mercato e a realizzare la concentrazione di cospicui patrimoni nelle mani di pochi. Il quadro etico e la concentrazione patrimoniale, però, prescindendo dall'interpretazione weberiana, non hanno contribuito alla creazione dell'ethos del capitalismo: questo esprime non solo un ordine morale, ma anche un retaggio di competenza e di conoscenza.

L'ethos proprio del capitalismo non evoca solo l'auri sacra fames antica quanto l'uomo: esso evoca anche una particolare disposizione dell'uomo rispetto alle risorse in sé e per sé considerate, prescindendo quindi da ogni riflessione valoriale. Ciò significa che l'ethos capitalista non implica solo conservazione e concentrazione della ricchezza in poche mani: implica anche una sua continua espansione, facendo di questa una specifica vocazione professionale.

Lo "spirito" del capitalista ad espandere di continuo le risorse delle quali dispone è giustificato sul piano etimologico dalla derivazione della parola capitalismo dal sostantivo latino caput (testa, inizio, ecc.). Il termine caput sta appunto ad indicare che l'espansione del capitale deriva unicamente dallo svolgersi di un processo che ha come "testa" o "inizio" la destinazione di ciò che resta di ogni produzione, al netto della reintegrazione di quanto si è investito per ottenerla, al reinvestimento, finalizzato al continuo rafforzamento del processo stesso.

E' questo lo "spirito-propensione" proprio del capitalismo, e non una qualsiasi propensione ad accumulare fuori dalla logica implicita nell'attività di reinvestimento. Dopo la rivoluzione industriale l'affermazione della propensione ad aumentare di continuo il capitale è valsa a sostituire le vecchie istituzioni del tardo Medioevo con nuove istituzioni, quali ad esempio le "autorità antitrust" poste a garanzia della contendibilità delle risorse nei confronti dei vecchi proprietari, e le public companies per la diffusione della proprietà: tutte poste a presidio dell'eliminazione degli impedimenti alla circolazione delle risorse, al fine di favorire l'aspirazione del massimo numero di soggetti a divenire proprietari di un patrimonio per accrescerlo attraverso il reinvestimento e non attraverso la sola conservazione-concentrazione delle risorse ereditate dal passato.

Gli economisti che hanno reso rigorosa la spiegazione delle logica di funzionamento del capitalismo inteso come modo di produzione sono stati quindi affiancati da quelli che hanno inteso mettere il capitalismo e il suo "spirito" a disposizione degli uomini per liberarli dal bisogno attraverso la combinazione dell'efficienza con la giustizia sociale. L'intento è stato però frustrato dal prevalere di coloro che hanno avuto interesse ad assolutizzare la libertà posta a fondamento del mercato, prescindendo da ogni considerazione sociale.

Costoro, spesso con azioni illegali sistemiche sotto il velo della libertà, sono stati gli artefici della regressione dello spirito del capitalismo al suo contrario, ovvero all'auri sacra fames – esecranda fame dell'oro. Oggi perciò occorre ricuperare lo spirito originario del modo di produzione capitalista per finalizzarlo alla realizzazione di un mondo futuro migliore di quello attuale, e ciò prima che i rudi capitalisti attuali lo distruggano in nome di una crescita senza limiti e regole per una presunta civiltà del benessere.

giovedì 17 ottobre 2013

Sono un ingenuo?

FONDAZIONE NENNI
http://fondazionenenni.wordpress.com/

di Giuseppe Tamburrano

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Forse Berlusconi conosce questo detto di Seneca; ora certamente lo prova sulla sua pelle e meglio sulla sua libertà. Il suo futuro è una sequela di arresti, condanne: di perdita non solo del potere, ma della libertà, della rispettabilità (questa già compromessa).
Qualche tempo fa (vedi Sogno di una notte di mezza estate<http://fondazionenenni.wordpress.com/2013/09/03/sogno-di-una-notte-di-mezza-estate/#more-2301>, del 3 settembre 2013) gli ho consigliato di tagliare la corda, di stabilirsi in qualche angolo di paradiso che non estradi in Italia e di vivere da sultano gli ultimi anni della sua vita. Ora è privo di passaporto, ma non dei mezzi per un espatrio clandestino (ci è riuscito il Conte di Montecristo, di cui gli consigliamo la lettura). E ponga così fine anche fisicamente all'era Berlusconi, che altrimenti giacendo nelle patrie galere la cosa cambia per lui, non per noi!
Che cosa può accadere in Italia? Paese imprevedibile! Ma se come diceva Croce "prevedere è ben vedere il presente" mi sembra che nei primi spostamenti si intraveda la nascita di un forte movimento al centro (Casini, che sembrava scomparso è ritornato in TV) con l'apporto di un forte nucleo di berlusconiani; la coagulazione di una destra attorno ai falchi alla Santanchè, la Lega e quant'altri; la decantazione della sinistra con Letta e/o Renzi alla sua guida. E un forte movimento estremista fuori dai giochi della politica parlamentare-governativa ed in declino nella misura in cui la situazione politica si decanta.
E' quel che ho scritto tempo addietro: ma allora era in qualche modo fantastoria. Ora può diventare la storia della III Repubblica. A questo quadro manca un tassello importantissimo: la legge elettorale. Ma ora che Berlusconi non c'è più e che sul terreno sociopolitico vi sono le componenti di una nuova articolazione è augurabile che la nuova maggioranza possa operare non solo per la ripresa economico-finanziaria, ma anche per una riforma istituzionale.
Sarò un ingenuo inguaribile: ma se non c'è una speranza a che cosa serve essere cittadino? E fatemi dire tutto: in questo rinnovamento della vita pubblica io vedo un ritorno di una componente socialista autentica. Ma non mi fate sperare troppo!

Non indagate i superstiti

LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it<http://www.rassegna.it/>

Manconi (Pd) presenta un ddl per l'abolizione del reato di clandestinità. Schulz: Italia lasciata sola. L'appello dell'Asgi, dopo che la procura ha iscritto nel registro degli indagati i 155 migranti scampati al naufragio.


Scampati alla morte e adesso sotto indagine per il reato di immigrazione clandestina. È la sorte dei 155 migranti salvati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio della scorsa settimana. Al riguardo l'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) esprime "grandissime perplessità di fronte al comportamento della procura di Agrigento che ha iscritto nel registro degli indagati tutti i sopravvissuti per il reato di ingresso irregolare di cui all'art. 10 bis". Sebbene si tratti di un atto dovuto, come sostiene la Procura, l'Asgi fa notare che sfugge "il senso di attivarsi con tale celerità per criminalizzare soggetti che hanno vissuto una così immane tragedia, quando già appare evidente che gli eventuali procedimenti che si dovessero aprire nei confronti dei rifugiati sono destinati a concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, visto che essi hanno diritto a forme di protezione internazionale".

L'Asgi evidenzia "come non può affatto essere considerato irregolare l'ingresso di coloro che sopravvivono ad un naufragio, sprovvisti dei requisiti formali per l'ingresso se presentano tempestivamente domanda di asilo alle autorità, perché in tali ipotesi la condotta appare lecita fin dall'inizio". "L'evidente assurdità di detta situazione mette in luce ancora una volta come sia inderogabile l'eliminazione dal nostro ordinamento del reato di immigrazione irregolare, norma del tutto insensata e di dubbia conformità con il diritto dell'Unione, che ha inutilmente moltiplicato processi inutili e colpito proprio i soggetti più deboli e bisognosi di aiuto".

"Alla luce delle dichiarazioni riportate dalla stampa da parte di alcuni rappresentanti politici, – concludono i giuristi – sebbene non vi siano al momento in cui scriviamo indagini per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso coloro che hanno preso parte alle operazioni di soccorso, ci sembra importante ricordare che, se venissero avviate, ciò costituirebbe un vero e proprio assurdo giuridico".

Luigi Manconi, senatore del Partito Democratico, ha presentato un disegno di legge per l'abrogazione del reato di clandestinità. "Quello di clandestinità – dichiara Manconi - è un reato orribile che punisce non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Non per un delitto commesso, ma per una condizione di vita: migrante, fuggiasco, povero. E questo contribuisce a riportare il nostro ordinamento giuridico a una condizione precedente l'affermazione dello stato di diritto: sorprende che i tanti garantisti presenti nel PdL non siano finora insorti contro una norma così regressiva e liberticida. E si tratta di un reato assai pericoloso perché rappresenta l'immigrato e il richiedente asilo come un nemico". Inoltre, l'ingresso e la permanenza irregolari nel territorio dello Stato - continua Manconi - rischiano di sottrarre l'imputato alle garanzie previste dalla direttiva rimpatri che non si applica, appunto, alla materia penale. Infine, e palesemente, quel reato non contribuisce in alcun modo a contenere i flussi migratori, mentre aggrava ulteriormente il contenzioso giudiziario penale. Una ragione in più per abrogare una norma inutile e ottusa, tanto più che la Corte Costituzionale, nel luglio del 2010, ha dichiarato illegittima l'aggravante di clandestinità".

Dal fronte Pdl si registra le risposta di Carlo Giovanardi. Il senatore Pdl avanza tre proposte "per reagire alla tragedia di Lampedusa: tornare alla impostazione originale della Turco-Napolitano, confermata dalla Bossi Fini, con l'abrogazione del reato contravvenzionale introdotto con la legge 94 del 2009, che sanziona penalmente il mero ingresso e soggiorno irregolare dello straniero, creando una assurda sovrapposizione tra illecito amministrativo e illecito penale, da me inutilmente contrastato a suo tempo, come responsabile delle politiche familiari del Governo Berlusconi". E ancora: "Non scrivere libri dei sogni, ma trovare subito le risorse finanziarie per ampliare i Centri di prima accoglienza e rendere agibili e vivibili i CIE, sia dal punto di vista di un dignitoso trattamento degli ospiti che da quello della effettivita' delle espulsioni, uscendo dalla logica perversa del risparmio, introdotta dal Governo Monti, che costringe poi a spendere milioni di Euro per chiudere e ristrutturare gli ambienti distrutti dalle rivolte". "Impostare una legge navale che consenta di avere mezzi per pattugliate efficacemente le nostre coste, sia in funzione di sicurezza che di interventi umanitari, con un maggior immediato coordinamento della Marina, Guardia Costiera e mezzi navali delle varie forze di Polizia impegnate in quel Teatro", conclude Giovanardi.

"E' una vergogna che l'Unione Europea abbia lasciato così a lungo l'Italia da sola ad affrontare il flusso di migranti dall'Africa". Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in un'intervista al quotidiano tedesco 'Bild'. Per Schulz ogni Paese membro della Ue dovrà accogliere in futuro un maggior numero di migranti. "Questo significa – ha sottolineato – che anche la Germania dovrà accogliere un maggior numero di persone".

"Mercoledì sarò a Lampedusa per ribadire la solidarietà dell'Unione europea e per vedere" la situazione. "Andrò a dire che bisogna fare di più a livello europeo per rispondere a queste situazioni e prevenire simili tragedie". Lo ha detto José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea.

Teologia della liberazione e Chiesa dei poveri

Da MondOperaio
http://www.mondoperaio.net/


di Gianfranco Sabattini



Con l'ascesa al pontificato di Papa Francesco ha ripreso slancio e vigore il dibattito sulla "teologia della liberazione", una corrente ecclesiale nata dal "matrimonio della Chiesa con i poveri", come afferma Leonardo Boff, ex frate francescano, teologo e scrittore brasiliano. L'attività pubblica di Boff è sempre stata orientata alla difesa dei poveri, e il suo fermo impegno nella lotta contro l'oppressione dei popoli latino-americani lo ha portato a scontrarsi con le gerarchie vaticane, sino a condurlo nel 1992 ad abbandonare l'ordine dei francescani.

Per comprendere il significato della riproposizione oggi della teologia della liberazione è utile tener presente il processo attraverso il quale, dopo essere nata ai tempi del Concilio vaticano II (1962-1965), essa è venuta evolvendo, non senza contrasti, all'interno del mondo ecclesiastico.

Il suo corpo centrale esprime un impegno pastorale della Chiesa coincidente in toto con il significato e la pretesa dell'umanesimo socialista; questo, come l'umanesimo predicato da Cristo, afferma che l'affrancamento dei poveri e degli oppressi dal loro stato di minorità non può essere realizzato se si prescinde dalla comprensione e dalla rimozione delle condizioni che sottendono l'organizzazione del sistema sociale e dalla natura dei prevalenti rapporti materiali esistenti tra tutti i suoi componenti. Se non fosse così, che significato simbolico si dovrebbe assegnare al gesto con cui Cristo, salendo le scale del Tempio, getta a terra il denaro dei cambiavalute rovesciandone i banchi, se non quello di aver voluto con quel gesto reagire ai prevalenti rapporti materiali di un sistema sociale che, per via della sua natura, consentiva che gran parte della popolazione del suo tempo fosse conservata nell'indigenza, nella povertà e nella sofferenza?

Boff, in La Chiesa dei poveri, racconta che alla fine del 1965 quaranta vescovi di tutto il mondo, ispirandosi a Papa Giovanni XXIII, si sono riuniti nelle catacombe di Santa Domitilla, fuori Roma: questo è stato l'antefatto che ha determinato nel 1968, in occasione della Conferenza episcopale latino-amaricana tenutasi a Madellin, l' "irruzione" nella coscienza ecclesiale della centralità dei poveri e degli oppressi e l'urgenza di un impegno pastorale da parte della Chiesa per la loro liberazione. Da questa presa di coscienza ecclesiale, afferma Boff, è nata la teologia della liberazione; per mezzo delle sue pratiche, "nei sindacati, nei partiti politici di indirizzo popolare, nelle comunità cristiane, nei movimenti di resistenza e fino allo scontro con le forze di controllo e di repressione del regime allora dominante in America Latina", i movimenti popolari di protesta e di resistenza si sono imposti come nuovi protagonisti e come nuovi attori sociali.

Negli anni Settanta la teologia della liberazione ha orientato il proprio impegno verso il "povero e l'oppresso materiale, sociale e politico"; la loro liberazione doveva passare per le "liberazioni storico-sociali", senza le quali non sarebbe stato possibile riscattarli dal loro stato di alienazione. Negli anni Ottanta l'impegno è stato orientato verso la comprensione della condizione del povero e dell'oppresso culturale, riflettendo non solo sulle condizioni materiali, sociali e politiche dei poveri e degli oppressi, ma anche sulla cultura che sottendeva il perpetuarsi della loro condizione di alienazione. Negli anni Novanta, infine, la teologia della liberazione ha allargato il paradigma della sua riflessione teologale e della sua azione pastorale, considerando i pericoli derivanti a tutta l'umanità dalla crisi ecologica, nella consapevolezza che la Terra non era più in grado di sopportare la dilapidazione delle sue risorse: non esistendo più un'arca di Noè utile per trarre in salvo alcuni, abbandonando gli altri al loro destino, era necessario un impegno dei cristiani e con loro di tutti gli uomini di buona volontà per una liberazione integrale della Terra.

Il peso della teologia delle liberazione, afferma Boff, si è fatto sentire durante il suo sviluppo, per cui la crescente espansione nella coscienza ecclesiale all'interno dell'apparato centrale della Chiesa non ha tardato a richiamare l'attenzione su due possibili pericoli: la riduzione della fede alla politica e l'uso acritico dell'analisi del marxismo nella cura delle condizioni esistenziali dell'uomo. Ne è prova il fatto che negli anni Ottanta l'allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, non ha condannato la teologia della liberazione, ma quelle sue deviazioni che avevano perso di vista il soprannaturale per divenire solo una sovrastruttura di un progetto marxista.

Per molti ecclesiastici conservatori – incluso il cardinale Gerhard Müller, attualmente al vertice dell'ex Sant'Uffizio – Ratzinger, con la sua condanna degli anni Ottanta, ha preparato la strada a una vera teologia della liberazione, legata alla dottrina sociale della Chiesa, che oggi con l'ascesa al pontificato di Papa Francesco è pronta a levare la propria voce.

Una delle prime dichiarazioni di Papa Francesco, infatti, è stata quella di volere "una Chiesa povera per i poveri", memore del fatto che nella sua formazione spirituale da gesuita aveva avuto, e continua ad avere, una parte importante la "teologia del popolo argentina". I conservatori, annidati all'interno dell'Opus Dei, avrebbero voluto che la teologia del popolo, pur schierata dalla parte dei poveri e degli oppressi, si caratterizzasse per il non uso dell'analisi marxista dei problemi sociali e per l'uso, in sua vece, di un'analisi che privilegiasse i problemi storico-culturali: come dire sì alla cura dello stato dei poveri e degli oppressi, ma senza alcuna attenzione all'origine sociale e politica della povertà e dell'oppressione.

Le preoccupazioni degli ecclesiastici conservatori sembrano destinate a non avere alcun peso sul futuro del movimento: tanto che Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Gustavo Gutiérrez, teologo domenicano peruviano, uno dei cofondatori della teologia della liberazione e autore di un recente libro dal titolo che non ammette fraintendimenti: Dalla parte dei poveri. Teologia delle liberazione, teologia della Chiesa. La vicinanza di Papa Francesco a Gutiérrez vale a dimostrare che anche la teologia del popolo argentina è lontana dall'idea che la dimensione sociale e politica dell'azione pastorale della Chiesa possa fare correre il rischio che si perda di vista il rapporto tra uomo e Dio. Anzi, per la Chiesa universale e per tutti i suoi credenti, questo rapporto potrà costituire realmente il fondamento del riscatto dalla povertà e dall'oppressione dell'uomo solo se tale riscatto sarà realizzato non attraverso un atto caritatevole, ma attraverso la rimozione delle cause sociali e politiche della povertà e dell'oppressione. Ma per rimuovere tali cause occorre conoscerle, e la loro conoscenza è strumentale al conseguimento delle finalità di tutte le forme di umanesimo socialista, tra cui quella dell'umanesimo marxiano, tradito dai suoi rudi interpreti, e quella dell'umanesimo cristiano. Accedendo a questa prospettiva diventa possibile, come afferma padre Gutiérrez, sfatare l'ironica battuta dell'arcivescovo brasiliano Hélder Câmara: se si dà un pane a una persona affamata, si dice che si è santi; mentre, se si chiede perché una persona ha fame, si dice che si è comunisti.

In chiusura, viene fatto di osservare che nel mondo del cristianesimo, come in quello secolarizzato dell'economia e per certi persi della società secolarizzata tutta, i tedeschi sembrano compiacersi d'essere i leader del conservatorismo, sotto le mentite spoglie dei "cani da guardia" della tradizione. Che sia solo un caso?

Tre primi passi

Da CRITICA LIBERALE
riceviamo e volentieri pubblichiamo


Brevissima a papa Francesco


"La Chiesa si spogli delle sue ricchezze". Così pare che Ella voglia dire, nel Suo prossimo discorso, che terrà nella città del frate dal quale ha voluto prendere il nome per il Suo pontificato.

Detta in questi termini, appare un'affermazione semplice, perfino condivisibile; ma non è esattamente così. Quali sono infatti, le ricchezze della Chiesa? Ci si riferisce alla liquidità dello IOR o anche a tutti i capolavori dell'arte e della cultura che appartengono alla Curia o alle sue infinite emanazioni territoriali? Alle ostentazioni della Curia stessa o anche ai malcelati supporti imprenditoriali dell'ecclesia, siano essi editoriali, ricettivi o di refezione?

Noi impenitenti laici problemisti e critici diffidiamo delle affermazioni di larghissima massima e non riteniamo che una Chiesa debba necessariamente spogliarsi di tutto. Ci accontentiamo di molto di meno.

Guardando al nostro cortiletto di casa, a quell'Italia che pure, lo riconoscerà, la Chiesa ha condizionato politicamente per secoli, ci accontenteremmo di due o tre decisioni di puro buonsenso e di impeccabile stile, che ci pare possano essere nelle Sue corde.

Non le chiediamo ora di disdettare unilateralmente il Concordato, rinunciando di punto in bianco ai tanti privilegi che concede alla Chiesa Cattolica con i denari dei contribuenti, anche di quelli laici, dei fedeli di altre religioni, di quegli "anticlericali" tra i quali sorprendentemente, ma correttamente (non era forse anticlericale Gesù quando si scagliava contro i "sepolcri imbiancati"?), ha ritenuto di potersi, a tratti, annoverare.

Chiediamo tre piccoli primi passi, per favorire un inizio di percorso comune tra credenti e non credenti che vada oltre le parole.

Rinunci a tutti gli introiti che alla Chiesa, a corretti termini di legge, ma contro ogni logica, provengono dal sistema dell'8 per mille attraverso il cosiddetto "inoptato", ovvero come pura regalia dello Stato da un monte finanziario che nessun cittadino ha espressamente deciso di versare alla Sua Chiesa. Limiti la Chiesa Cattolica a ricevere il frutto delle sole opzioni espresse dei contribuenti.

Chieda di scomputare dai versamenti annuali dello stato alla Chiesa un importo pari alle retribuzioni degli insegnanti di Religione nelle scuole di Stato, se proprio non vuole, per ragioni pastorali, portare coerentemente alle sue conseguenze la Sua recente affermazione contro il "proselitismo". Chieda altresì di scomputare da quegli stessi versamenti le retribuzioni dei cappellani militari, recentemente parificati ai diversi gradi della carriera dei combattenti, con ulteriore crescita dell'onere per l'Erario.

Promuova Ella sua sponte un censimento delle attività economicamente profittevoli di enti e istituzioni ecclesiastiche e dia una direttiva inderogabile in ordine al pagamento, su di esse, di ogni tassa e contributo, da quelle sugli immobili a quelle sul lavoro.

Non chiediamo nulla che non sia rettamente accettabile in termini di puro buon senso, senza rimettere in discussione fondamenti del rapporto tra Stato e Chiesa che pure noi, da sempre, riteniamo revocabili in dubbio, Concordato innanzitutto (ma chissà che un giorno non se ne possa laicamente discutere, con un Papa che mostra aperture non trascurabili al concetto di laicità).

Chiediamo questo in maniera non provocatoria e senza secondi fini. Nell'auspicio di un confronto che non sia solo dialogico ma rimetta nei termini corretti delle responsabilità reciproche il rapporto tra laici e cattolici in Italia.

Critica liberale

http://www.criticaliberale.it/settimanale/164587#sthash.3f2OpUFb.dpuf