mercoledì 23 dicembre 2015

Da Collodi al Quarto Stato

Da Critica Sociale

 

AL CANDIDATO DI CRITICA SOCIALE L'AMBROGINO D'ORO 2015 ASSEGNATO DAL SINDACO PISAPIA

 

Giacomo, classe 1925 e chiamato così in onore di Matteotti, davanti al Quarto Stato nel Museo del '900 dove ora lavora dopo aver iniziato con una Trattoria al lato della Camera del Lavoro per 33 anni

    Giacomo Bulleri, conosciuto a Milano come “Da Giacomo”, è uno tra i principali ristoratori del capoluogo lombardo.

    Nato a Collodi, fa parte dell’emigrazione che dalla Valle della lucchesìa (sebbene la sua provincia sia Pistoia) giunge a Milano negli anni ’50.

  Partito 60 anni fa con una Trattoria al lato della Camera del Lavoro, ora presidia col suo lavoro l’ospitalità nelle maggiori istituzioni culturali di Milano, da Palazzo Reale con le sue Mostre, al Museo del Novecento con il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo.

    Socialista, figlio di socialisti, suo padre lo chiamò Giacomo in memoria di Matteotti con il cui nipote egli combattè fianco a fianco durante la Prima Guerra.

    Nato nel ’25, oggi a 90 anni riceve il riconoscimento dell’Ambrogino dal sindaco Giuliano Pisapia, selezionato tra le 15 medaglie d’oro assegnate su una proposta di oltre 150 candidati.

    La nostra rivista, che ottenne il riconoscimento oggi dato anche al suo candidato, già una prima volta nel 1966 e in seguito al suo direttore Giuseppe Faravelli nel 1971, ha promosso la mozione di candidatura assieme ai lavoratori del gruppo - ormai un migliaio - per due ragioni: restituire una “quota parte morale” a chi ha dato valore con il lavoro e con la creatività a quello che oggi si definisce il “Brand Milano”. La scuola del ristoratore-amico dei sindacalisti milanesi ed italiani per 30 anni, così come degli artisti che hanno frequentato la sua trattoria alla camera del lavoro, è infatti la stessa che oggi attira nei suoi locali personalità da tutto il mondo. Iniziando con Di Vittorio, Luciano Lama, Giorgio Benvenuto, oggi da lui siedono – dopo i Kennedy – Michelle Obama e John Kerry. Ma Giacomo non cambia.

    E infatti, a differenza di molti che trovando successo nella vita si dimenticano di dove vengono, (questa è la seconda ragione della nostra iniziativa di candidarlo) egli non ha rinnegato la sua disponibilità a farsi tramite dei simboli che comunicano, anche in modo inconscio al pubblico, una fede socialista che non esita apertamente a riaffermare usando anche la propria notorietà, in particolare all’estero.

    Questo il duplice messaggio dell’Ambrogino da noi tentato e promosso. E riconosciuto dal Sindaco Pisapia e dal Consiglio Comunale all’unanimità.

 

Vai al link l’intervista all’AdnKornos prima della premiazione

 

mercoledì 16 dicembre 2015

Salvini, Salvini, non approfittare dei bambini

 In Veneto si discute sull’opportunità o meno di celebrare il Natale nelle scuole, e subito Salvini si precipita a esaltare il Natale come simbolo dell’occidente cristiano. Non è proprio così : il giorno fondante del cristianesimo è la Pasqua, perchè a tutti capita di nascere, ma di risorgere no. Tutti i 4 vangeli parlano della Pasqua, solo Luca fa un accenno al Natale  ...

    Certo, il Natale, come il Ferragosto, appartiene alle feste antichissime dell’emisfero settentrionale, il Natale festeggia le giornate che cominciano a allungarsi, il ferragosto la ripresa della caccia e il ritorno alla carne fresca.

    Anche come giorno per il frenetico scambio di regali il Natale è di recente diffusione, insieme alla civiltà dei consumi: in alcuni paesi si scambiavano il giorno dell’Epifania ( in cui in effetti anche il Bambino ha ricevuto regali), in molte nazioni era più importante San Nicola, poi (forse per le pari opportunità...) diventato Santa Klaus. Prima che Salvini scenda in campo a difendere pure Babbo Natale come campione della nostra civiltà, sarà bene segnalargli che l’attuale raffigurazione nasce nell’ufficio pubblicità della Coca Cola, che un giorno di dicembre degli anni 20 si accorse di aver ordinato troppo panno rosso per una manifestazione aziendale, e si inventò il simpatico grassone con la barba bianca, i due colori della Coca Cola...

    Ma siccome Salvini cerca elettori anche al Sud, tra breve metterà tra le tradizioni della civiltà cristiana la processione del santo protettore del paese, con inchino della statua davanti al balcone del boss...

 Claudio Bellavita, e-mail

        

        

LETTERA

 A cinquant’anni dal Concilio

 La “Dichiarazione di Roma” è disponibile sul sito dell’associazione di base “Noi siamo Chiesa”

 Oggi è stato diffuso, a 50 anni dalla conclusione del Concilio, la “Dichiarazione di Roma” , cioè il documento che riassume i contenuti dell’incontro internazionale “Council50” che si è tenuto il 20-22 novembre a Roma. E un testo importante che esprime le opinioni dei principali movimenti che, nel mondo, si richiamano al Concilio Vaticano II, che vedono ora ripreso da papa Francesco dopo un lungo periodo di abbandono del suo spirito e dei suoi propositi riformatori. Il testo completo, con i firmatari, si può leggere sul sito di noisiamochiesa.

 Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

 

Un progetto europeo contro lo sfruttamento dei migranti

LAVORO E DIRITTI a cura di www.rassegna.it

 Il progetto Agree coinvolge sindacati e centri di ricerca in Italia, Romania e Spagna. Il 14/12 la Fondazione presenta in Cgil i risultati di due anni di lavoro

 A cura della Fondazione Giuseppe Di Vittorio

www.fondazionedivittorio.it

 Favorire la creazione di una nuova cultura del lavoro agricolo contro lo sfruttamento, il caporalato e l’illegalità è l’obiettivo di fondo che negli ultimi due anni ha portato  avanti il progetto Agree, che giunge a conclusione con la conferenza finale del 14 dicembre a partire dalle ore 9, presso la sede della Cgil nazionale (Corso d’Italia 25 – Sala Santi).

    Il progetto, co-finanziato dalla Direzione Affari Interni della Commissione europea, ha visto la realizzazione di studi e percorsi formativi ad opera di sindacati e centri di ricerca in Italia, Spagna e Romania. La Fondazione Giuseppe Di Vittorio (capofila del progetto) e Cittalia-Anci Ricerche hanno studiato gli effetti dello sfruttamento lavorativo dei migranti sulla coesione sociale dei territori, con particolare riferimento alla zona dell’Agro-Pontino al centro di un’azione di networking, formazione e sensibilizzazione degli operatori locali.

    Le azioni locali e l’analisi comparativa tra politiche e esperienze condotte nei tre paesi del progetto sono state l’elemento di partenza per la definizione di proposte di policy sui temi del contrasto allo sfruttamento dei lavoratori migranti, che saranno ufficialmente presentate nel corso della conferenza finale alle istituzioni europee e ai diversi stakeholder coinvolti nel fenomeno.

    All’incontro parteciperanno, tra gli altri, il capo del Segretariato europeo della Cgil Fausto Durante, il segretario generale della Flai-Cgil Stefania Crogi, il presidente di Cittalia-Anci Ricerche Leonardo Domenici, il presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni, il presidente dell’Asgi Lorenzo Trucco e Albin Dearing dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea.

    Il rafforzamento delle reti locali degli attori sociali coinvolti nel settore e l’armonizzazione di politiche e interventi in favore degli immigrati e di contrasto al caporalato sono alcuni degli obiettivi realizzati dal progetto Agree attraverso una serie di azioni innovative di formazione degli operatori e di sensibilizzazione dei consumatori verso produzioni agricole realizzate in maniera etica e socialmente sostenibile.

    Creare consapevolezza tra l’opinione pubblica su tutte le forme di sfruttamento e illegalità nel settore agricolo rappresenta, secondo i partner del progetto europeo, il primo passo per favorire un reale contrasto del fenomeno dal basso, da unire alla necessaria riforma di normative europee e nazionali sulle modalità di organizzazione della produzione e sulle forme di intermediazione del lavoro.

 

Causeranno nuove ondate di profughi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 “La nostra avidità di energia ci spinge a intensificare sempre di più le esplorazioni e le estrazioni. Ci dimentichiamo tuttavia che le emissioni di gas serra di oggi saranno le principali cause degli esodi di domani.” – Per gentile concessione dell’Autore rilanciamo di seguito questo testo, originariamente apparso in lingua inglese su e poi, in italiano, su Internazionale.

 di Marco Morosini *)

 Mentre a Parigi si svolge la Cop21 (dal 30 novembre all’11 dicembre), quanti disperati cercheranno di raggiungere l’Unione europea per mare? Quanti purtroppo moriranno? Quest’anno quasi un milione di migranti hanno affrontato le acque del Mediterraneo meridionale a bordo di imbarcazioni precarie. Migliaia di loro sono morti annegati. Intanto, sotto quelle stesse acque, la scoperta di nuovi tesori d’idrocarburi alimenta la sete di un’accelerazione della crescita della produzione, dei consumi e del pil dell’Europa, il continente più ricco del pianeta. 

L’euforia con la quale il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha recentemente annunciato la scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo ha trovato un ironico contraltare durante l’apertura della Cop21, durante la quale ha vantato il ruolo dell’Italia nella lotta contro i cambiamenti climatici. Da un lato si piangono le vittime dei “gommoni della morte”, dall’altra si esulta alla notizia della scoperta di nuove riserve di combustibili fossili. In pochi colgono il tragico legame tra questi due fenomeni. 

    Secondo i demografi, da qui a qualche anno, le attuali migrazioni in direzione dell’Europa ci appariranno assai modeste rispetto a quelle, future e probabili, di decine di milioni di migranti climatici. 

    La combustione di carbone, petrolio, gas fossile e legname rilascia nell’atmosfera sempre più anidride carbonica, il principale gas responsabile delle alterazioni climatiche causate dall’uomo, dopo il vapore acqueo. Queste alterazioni producono un numero talmente elevato di sconvolgimenti sociali, ecologici ed economici che quest’articolo non basterebbe per elencarli. Un unico esempio: in molti paesi, soprattutto i meno ricchi, il terreno diventa arido, i deserti si allargano, il bestiame muore e le risorse idriche diminuiscono o si contaminano. 

    L’attuale ritmo di emissioni potrebbe provocare un innalzamento di oltre un metro del livello dei mari in questo secolo, ma anche solo un innalzamento di qualche centimetro colpisce centinaia di milioni di persone, favorendo le inondazioni e causando l’ingresso d’acqua salata nelle falde freatiche d’acqua dolce. 

    Una proposta dalla Svizzera - In molti paesi, milioni di ex agricoltori o ex allevatori migrano verso le città, spesso provocando tensioni sociali. Rivolte e repressione determinano, a loro volta, ondate di violenza. La Siria, per esempio, ha conosciuto la sua peggiore siccità tra il 2006 e il 2011. Buona parte del bestiame è morta e uno o due milioni di abitanti hanno lasciato le campagne per riversarsi, senza lavoro, nelle città. L’acqua è diventata una merce rara e difficilmente accessibile. Le proteste della popolazione sono state represse nel sangue, il che è stato una delle cause della guerra civile per cui la popolazione siriana sta abbandonando il paese. 

    Se i rifugiati politici sono riconosciuti e protetti dalla Convenzione di Ginevra del 1951, i migranti vittime della degradazione dell’ambiente non godono di protezione giuridica. Per risolvere questa situazione, i rappresentanti di 75 stati si sono riuniti il 12 e 13 ottobre scorso a Ginevra per una conferenza globale durante la quale è stata presentata un’ “agenda di protezione” dei rifugiati climatici e vittime di catastrofi naturali. Quest’agenda è il risultato di consultazioni regionali portate avanti dalla Nansen Initiative, un organismo creato da Svizzera e Norvegia nel 2012. 

    Secondo il centro di ricerca svizzero Foraus, la Svizzera dovrebbe dare seguito alla Nansen Initiative per promuovere un adeguamento del diritto internazionale che permetta di riconoscere e proteggere i rifugiati ambientali. Parallelamente, Foraus incoraggia a ridefinire la migrazione come un fenomeno dalle molteplici cause, spesso provocato dall’interazione di fattori sociali, economici, politici e ambientali. 

    Il dramma dei rifugiati esige tre azioni ugualmente necessarie: il soccorso, la fine di alcuni comportamenti di cittadini, aziende, eserciti e governi dei paesi ricchi che provocano la fuga e la migrazione di milioni di disperati e, infine, la diffusione tra i cittadini europei di informazioni sulle cause vicine o lontane delle migrazioni forzate. Se si dimenticano le ultime due azioni, la prima diventa sempre più difficile. 

    Se la stampa, gli insegnanti e le personalità del mondo istituzionale e culturale ci ricordassero più spesso le nostre responsabilità passate e presenti nelle disgrazie che colpiscono il “sud”, forse un numero maggiore di cittadini sarebbe meno ostile nei confronti dei rifugiati e la loro antipatia potrebbe lasciare spazio a comprensione e generosità. 

    La triplice responsabilità dell’occidente - La responsabilità dell’occidente nelle migrazioni è triplice: il colonialismo, la globalizzazione e lo sconvolgimento climatico. Le invasioni militari finalizzate all’esercizio di un dominio politico, la tratta degli schiavi e lo sfruttamento delle risorse naturali hanno prodotto il colonialismo. Per fare un esempio, lo storico Stuart Laycock ha documentato come il Regno Unito, se si escludono 22 paesi, è intervenuto militarmente in tutto il mondo. 

    A volte abbiamo sfruttato i conflitti etnici a nostro favore, abbiamo arbitrariamente creato frontiere e stati, sviluppando delle strutture economiche solo a nostro vantaggio. Le numerose conseguenze dei crimini coloniali si fanno sentire ancora oggi e non sono compensate da certi apporti coloniali di modernizzazione né dai nostri modestissimi aiuti allo sviluppo. Al colonialismo è seguito il neocolonialismo: protezionismo economico, pratiche e accordi economici iniqui, esportazioni di armi verso i peggiori regimi, corruzione, lobbying nei confronti dei governi, sostegno ai dittatori, colpi di stato contro democrazie, bombardamenti e invasioni militari hanno destabilizzato interi paesi. 

    La globalizzazione, che è in buona parte americanizzazione ed europeizzazione, ha cambiato il mondo sia nel bene sia nel male. La sua ricetta è un mercato unico di beni di consumo uniformi, un mezzo di comunicazione dominante (internet), una lingua e una cultura ugualmente dominanti (anglosassoni) e infine un pensiero economico unico. Investendo centinaia di miliardi di euro in pubblicità, i paesi ricchi inondano il pianeta, compresi i paesi poveri, d’immagini mercantilistiche che promuovono uno stile di vita idealizzato, apparentemente accessibile a tutti e sinonimo di felicità e gioia. Come stupirsi allora che, tra i miliardi di poveri che finora si accontentavano di poco, centinaia di milioni siano pronti a tutto pur di raggiungere quest’eldorado? Volevamo consumatori, arrivano profughi. 

    Infine, gli effetti degli stravolgimenti climatici provocati dall’uomo sono una causa sottovalutata e sempre più importante degli esodi e delle migrazioni. Sfortunatamente, le popolazioni che sono più vittime del cambiamento climatico sono anche quelle che hanno meno contribuito a crearlo. In media pro capite, le loro emissioni di gas serra sono tra cinque e dieci volte minori di quelle cittadini dei paesi industrializzati. 

    Dal punto di vista scientifico e politico, non dovremmo considerare solo le emissioni antropiche recenti, ma anche quelle verificatesi dall’inizio della rivoluzione industriale, perché i loro effetti si trascinano per secoli. Considerando dunque le emissioni di cui sono storicamente responsabili i paesi industriali, lo scarto tra le responsabilità degli abitanti dei paesi ricchi e di quelli dei paesi poveri è ancora maggiore. Per questo motivo alcuni economisti e alcuni paesi spingono affinché le responsabilità e i diritti d’emissione di gas serra siano attribuiti indipendentemente dal luogo e dal tempo in cui un abitante del pianeta è vissuto, vive o vivrà. 

    Troppe energie fossili da bruciare – Un numero sempre maggiore di scienziati, tecnici ed economisti ritiene necessaria e possibile, nell’arco di vari decenni, la sostituzione di combustibili fossili con un misto di energie rinnovabili. Secondo i geologi, il limite delle riserve accessibili di combustibili fossili non è il loro esaurimento a breve termine. Ritengono infatti che l’umanità ne abbia estratti meno della metà. Il vero limite riguarda le catastrofiche conseguenze climatiche che si verificherebbero se bruciassimo tutti i combustibili fossili disponibili sul nostro pianeta. 

    “Il problema è che abbiamo troppi combustibili fossili”, dichiarava recentemente Marco Mazzotti, direttore dell’Energy science center del Politecnico federale di Zurigo. Nonostante i climatologi ci raccomandino di lasciare i combustibili là dove sono, la nostra avidità di energia ci spinge a intensificare sempre di più le esplorazioni e le estrazioni. Ci dimentichiamo tuttavia che le emissioni di gas serra di oggi saranno le principali cause degli esodi di domani. 

 

Traduzione di Federico Ferrone Versione italiana apparsa su Internazionale

 

*) è Senior Scientist in Sustainability Research presso il  Politecnico federale di Zurigo (ETH). Ha un blog sulle edizioni dell’Huffington Post in otto diversi paesi. Ha scritto per Le Monde, la Neue Zürcher Zeitung, per il teatro e la televisione.

mercoledì 9 dicembre 2015

L’odio, letame delle guerre

FONDAZIONE NENNI - http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

di Edoardo Crisafulli

 

Rischiamo di scivolare giù per la china: fanno di tutto affinché li odiamo con la stessa perversa intensità con cui loro odiano noi. Per fortuna non ci sono avvisaglie di pogrom antislamici. Ma episodi di intolleranza, quelli sì che accadono. E da cosa nascono, se non dall'odio o dal disprezzo verso un gruppo di nostri simili, umani come noi, ma denigrati perché colpevolmente diversi? Il bidello che in una scuola riminese avrebbe aggredito una bambina musulmana — per un garantista il condizionale è d'obbligo – urlandole "tornatevene a casa", è una faccenda odiosa, che dovrebbe azionare un campanello d'allarme.

    Non mi risulta che le bambine tedesche, figlie dei turisti che calavano a frotte sulla Riviera romagnola negli anni Sessanta, venissero insultate o guardate in cagnesco sulle nostre spiagge. Eppure appena un quindicennio prima milioni di soldati tedeschi avevano seminato morte e distruzione in tutta Europa. La seconda guerra mondiale, scatenata scientemente da Hitler e dai suoi numerosi scherani (il partito nazista contava milioni di iscritti), ha causato cinquanta milioni di morti, di cui una decina gassati o fatti morire di stenti nei campi di sterminio. Hitler, tra l'altro, era cattolico e ci sarebbe molto da dire sulle radici religiose dell'antisemitismo nazista, che sfocerà nella soluzione finale (per secoli, nella cristianità europea idealizzata dagli intellettuali teo-con, antigiudaismo teologico e persecuzioni antiebraiche sono andati a braccetto) – ma andrei fuori tema.

    Fatto sta che nessuno ha mai chiesto seriamente di scacciare i tedeschi dall'Europa nel dopoguerra. Li abbiamo denazificati e ce li siamo tenuti. Decisione saggia oltreché giusta: la Germania è oggi uno dei pilastri più solidi dell'UE.

    Tornando all'odio e al disprezzo: sul web dilaga il culto postumo di Oriana Fallaci, Cassandra inascoltata, povera vittima della sinistra radical-chic e salottiera. Dopo le stragi io non ho cambiato idea: ero contro ogni fanatismo e intolleranza prima, e lo sono ancora; ero a favore di un multiculturalismo urbanizzato prima, e lo sono ancora. Ho sempre trovato insopportabile la demonizzazione della Fallaci, che, bisogna ammetterlo, proviene da una storia di sinistra: da ragazza fu partigiana nelle formazioni di Giustizia e Libertà, e la sua cultura politica è una sorta di anarchismo illuministico (il che dimostra che l'intolleranza non è appannaggio della destra e dei fanatici religiosi: ce n'è anche in certe pieghe nascoste della cultura laica). Non mi è mai andato a genio neppure il modo furbesco con cui la destra più retriva, quella guerrafondaia, l'ha arruolata per fomentare le sue campagne d'odio antislamiche.

    Sono d'accordo con Galli Della Loggia su un punto: è moralmente degna "una collera della giustizia". Questo genere di rabbia è liberatrice ed energetica: ci stimola a reagire all'ingiustizia. Ma, prosegue Della Loggia, di fronte a certi crimini contro l'umanità, anche l'odio è plausibile, quasi d'obbligo. "Non era forse giusto odiare i Kapò dei campi di sterminio, i carnefici di Nanchino o gli organizzatori della carestia artificiale in Ucraina?" ("Gli europei smarriti di fronte alla violenza", Corriere della Sera, 23/11/2015). Certo, questa è una reazione umanissima. Avremmo tutto il diritto di odiare anche i terroristi che uccidono innocenti. Attenzione, però: l'odio, che ci viene più spontaneo dell'amore, è un sentimento ribelle e prepotente. E' impossibile addomesticarlo. L'odio reclama vendetta, non giustizia. L'odio è cieco: colpisce a casaccio, senza guardare in faccia a nessuno.

    Proprio gli scritti della Fallaci esemplificano bene come l'odio, una volta evocato, sia impossibile da circoscrivere. "Ho e devo avere il diritto di odiare chi voglio". Lei però non odiava solo i Bin Laden e i kamikaze, cosa umanamente comprensibile. No, lei odiava anche i Noam Chomsky, i Michael Moore, personaggi della sinistra radicale apostrofati come "collaborazionisti", "traditori", "complici" dei terroristi. Questo è lo stesso linguaggio e lo stesso immaginario fideistico dei giacobini e degli estremisti — laici o religiosi non importa>>> Continua la lettura sul sito

 

martedì 1 dicembre 2015

Parole d’autore

FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/

  

Una nuova rubrica arricchisce il Blog della Fondazione Nenni. Grazie alla studiosa Francesca Vian ogni settimana sarà analizzata una "parola d'autore" di Pietro Nenni. Nel campo della politica, è nota la creatività oratoria del socialista Pietro Nenni, a cui sono riconosciute ardite e colorite doti di innovatore in campo lessicale e nel campo della comunicazione politica: a lui, ad esempio, sono ricondotte invenzioni linguistiche come, tra le altre, "stanza dei bottoni", "vento del Nord", "tintinnar di sciabole", "politica delle cose", ma non solo; sono tantissime le parole d'autore di Pietro Nenni. Un lavoro straordinario quello della dottoressa Vian che ci riserverà molte sorprese. Cominciamo con la parola "partigiano". 

 

di Francesca Vian

 

Pietro Nenni è il padre della parola partigiano, sia come sostantivo, sia come aggettivo. Gli assegna la paternità di questo termine il Grande dizionario italiano dell'uso, diretto da Tullio De Mauro.

    Nenni introduce la parola russa partizan in Italia, nell'accezione di "membro di gruppi armati irregolari che si battono contro i tedeschi", e insiste per farne il nome dei combattenti.

    Nell'agosto-settembre del 1941 scrive in "Lo stato operaio": "L'aggressione hitleriana contro l'Unione Sovietica; la guerra che ne è derivata, e nella quale l'esercito rosso e i "partigiani" bolscevichi hanno già scritto pagine memorabili di eroismo e di gloria". Partigiani è fra virgolette nel testo, segnale che Nenni sapeva di utilizzare una parola nuova, e voleva farlo. Una parola nuova per una drammatica circostanza "nuova", a scanso di equivoci. L'anno successivo, nel 1942, anche Palmiro Togliatti utilizza la voce partigiano.

    Dal 1943, Nenni cerca poi di imporre la parola. Non è facile stabilire quale nome assumere nella guerra contro i nazisti; i combattenti vengono chiamati in tanti modi, primo fra tutti "patrioti", ma questa guerra "non è affatto nazionalista o imperialista", scrive Nenni in "Una sola parola d'ordine", nell'Avanti! clandestino del 15 dicembre 1943. Nello stesso articolo insiste con la voce "partigiano": "Né è un caso che il popolo italiano si ponga spontaneamente in linea con le esigenze della guerra partigiana e assuma da solo, nell'assenza di ogni autorità costituita, l'iniziativa e la responsabilità della condotta di questa."

    "Esso si schiera idealmente al fianco dei partigiani dei territori occupati."

    "il Partito mobilita i compagni di tutta Italia e addita a essi una precisa direttiva da seguire: impiegare ogni energia, ogni uomo, ogni momento per la lotta partigiana". >>> Continua la lettura sul sito