giovedì 24 maggio 2012

Libertà di stampa!?

La Catena di San Libero


 

Arriva il professore, non si agita, tutto compìto e sorridente,

e in capo a un mese da oggi, pufféte, Telejato non c’è più.


di Riccardo Orioles

www.isiciliani.it/ - www.ucuntu.org


Povero Fardazza, non è riuscito a chiudere Telejato. Invece il professor Monti sì. Hai visto che fa fare la cultura? Un poveraccio qualunque, un “don” di media tacca (ma a Partinico importante) aggredisce, minaccia, fa tutto il suo onesto lavoro di boss mafioso e non conclude un tubo: Telejato continua a trasmettere e il maledetto Maniàci è ancora là. Invece ti arriva il professore, non si agita, tutto compìto e sorridente, e in capo a un mese da oggi, pufféte, Telejato non c’è più.

    E’ vero che al professore una mano l’ha data, con una furba leggina, anche il buon Berlusconi. Ma per il punteggio non conta, vale chi segna il gol, non chi gli ha passato la palla. Anche perché la leggina di Berlusconi, il professore, sostanzialmente l’ha lasciata là.

    Dei nostri valenti redattori, questo mese, uno non ha potuto fare il suo pezzo perché s’è dovuto trasferire al nord, non minacciato dalla mafia, ma dalla miseria. E’ uno che fa il giornalista da quindici anni. Un altro pezzo non è arrivato perché – ha tirato a pretesto lo scansafatiche – il suo autore era troppo stanco per scriverlo, dopo una decina di ore passate a spaccar marciapiedi come muratore precario. E’ uno che lavora con noi dall’85. Un terzo pezzo è arrivato in extremis perché il suo valente autore, che fa il giornalista circa dal ’95, solo ieri è riuscito a trovare, almeno provvisoriamente, un posto dove dormire. Parlavamo – per l’appunto – di libertà di stampa.

    A Catania, città felicissima, l’altro giorno hanno fatto una bellissima festa a tema, sul tema “Sicilia tradizionale del buon tempo antico”. La festa, difatti, si chiamava “Baciamo le mani party” ed era ospitata da uno dei più moderni e trendly locali etnei, la “Villa Paradiso dell’Etna” che certo, se fate vita mondana, conoscete.

    Sarebbe da film di Pierino (come quasi tutto ciò che riguarda i notabili catanesi) se non ci fosse il particolare che “Villa Paradiso” è anche della Famiglia Rendo, quella che secondo Dalla Chiesa “andava alla conquista di Palermo col beneplacito della mafia” e secondo Giuseppe Fava faceva parte dei “quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

    Senza questo particolare sarebbero bastati, come dicono qui, “fischi e piriti”per sbarazzarsi dei buffi personaggi. Mentre invece a questo punto è necessario l’intervento del ministro dell’interno – che è stato a Catania e sa di che si parla – per dare, con un provvedimento esemplare, certezza del diritto ai sopravvissuti catanesi onesti.

martedì 15 maggio 2012

Un frammento siloniano: In galera

Tonio Zappa, sceso a Roma dai monti abruzzesi per guadagnarsi un tozzo di pane. Finisce invece in galera. Le avventure di Tonio Zappa sono il punto in cui entra in scena il "cafone", qui ancora "capraro", figura cardine della poetica siloniana. Il racconto, nella traduzione tedesca approntata da Alfred Kurella sotto il titolo "Die Abenteuer des Tonio Zappa", uscì a puntate nel febbraio del 1932 sul quotidiano Berlin am Morgen. L’originale italiano è andato perduto. Una buona "ritraduzione" (curata da Giovanni Nicoli e Thomas Stein) è uscita nel primo volume di "Zurigo per Silone", che pubblicato con il testo a fronte della versione kurelliana nel 2002. Ne proponiamo qui alle lettrici e ai lettori un breve stralcio.

di Ignazio Silone


Spuntava appena l’alba quando fu svegliato dalla polizia.

–  “Come ti chiami?”

–  Disse il suo nome: “Tonio Zappa.”

–  “Documenti?”

    Documenti non ne aveva. Non aveva mai avuto a che fare con la polizia o le autorità. Era venuto a Roma per lavorare. Per quello non gli servivano documenti.

    Ma i poliziotti non erano del suo parere e lo dichiararono in arresto. La prima cosa che notò il nostro capraro alzandosi fu che le sue scarpe erano sparite nonostante non le avesse tolte la sera prima di addormentarsi. Cercò qua e là in tutti gli angoli ma non le trovò. La seconda scoperta fu che mancava anche il pacchetto. La terza, che non gli era rimasto nemmeno un soldo in tasca. Ma i poliziotti non avevano tempo da perdere, lo spinsero giù per la scala e lo portarono direttamente alla stazione di polizia più vicina.

    Lì fu caricato su un furgone con altri reclusi e portato alla questura di piazza del Collegio Romano. (...)

    “La polizia può fare quello che vuole. Può tenerti qui un an­no intero senza mai interrogarti. Dopo un anno può metterti in libertà senza mai dirti perché sei stato arrestato. Questo non ca­pita soltanto agli ignoranti come te, ma anche a gente istruita, che ha studiato. Spesso abbiamo qui giornalisti ed ex deputati che vengono arrestati e trattenuti in prigione senza essere interrogati. E ci sono ancora studenti e giovani operai arrestati all’epoca dell’attentato di Milano nell’aprile del 1928. Fino ad oggi non sono mai comparsi davanti al giudice istruttore o a un tribunale.”

    Chi parlava così era un operaio metallurgico arrestato per mo­tivi politici. Doveva appartenere a un’organizzazione segreta. Ma nessuno si occupava di lui, e lui stesso non sapeva nemmeno di cosa lo si accusasse. Tutti gli altri compagni di cella erano ladri e briganti.

    “Ma non si può, io non posso restare qui,” – spiegò Zappa – “è veramente impossibile. Mia madre aspetta il primo invio di soldi per la fine del mese. Mi dispiace, ma non posso veramente rimanere a farvi compagnia. Io devo lavorare…”.

    Gli altri risero.

    Ma Zappa non era in vena di ridere. Aveva davanti agli occhi la sua capanna, la madia vuota dove si tenevano le provviste; la madre e la sorella… Cosa dovevano fare se non mandava loro dei soldi?

    Corse alla porta e la tempestò di pugni. Ma nessuno vi fece caso.

    E gli altri risero di nuovo.

 

Biocca non si ravvede

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


 

Stavolta è la volta di Gramsci. Lungo saggio di Biocca, dal quale trasuda la voglia di alludere a cripto simpatie nazionaliste di Gramsci. . .

 

di Giuseppe Tamburrano


Gramsci è un autore sempre vivo. Recentissimi sono i lavori di Orsini, Lo Piparo, Vacca. Se ne scrive a proposito ma anche a sproposito. Se ne è occupato anche Dario Biocca, qualche giorno fa. E non solo a sproposito, ma anche in termini denigratori.

    Sulla rivista nuova Storia contemporanea, Biocca ha steso un lungo saggio sulla dimora romana di Gramsci nella casa dei coniugi Passarge. I signori Passarge erano di sentimenti nazionalisti e finirono con l’aderire al nazismo. Biocca infioretta il suo racconto con riferimenti a Silone e a Bellone, il commissario di polizia deus ex machina della pretesa conversione di Silone al tristo mestiere di informatore della polizia fascista.

    Un lungo saggio, quello di Biocca, dal quale trasuda la voglia di alludere a cripto simpatie nazionaliste di Gramsci (una cosa dell’altro mondo! E’ molto probabile che Gramsci abbia scelto quella casa perchè era vicina all’ambasciata sovietica dove poteva rifugiarsi rapidamente in ogni evenienza).

    Ma vi è anche l’attacco diretto a Gramsci e sulle colonne del foglio della “sinistra” liberal-democratica – la "Repubblica" – aperta ai denigratori del miglior pensiero della sinistra liberal-democratica autentica, in specie Silone.

    Biocca scrive che Gramsci ottenne la liberazione condizionale da Mussolini perchè a norma dell’art. 176 del Codice penale aveva compiuto atti di “ravvedimento”.

    Fandonie.

 

    Quando Gramsci chiese la liberazione condizionale – il 1934 – l’art. 176 del codice penale era congegnato diversamente dall’attuale e prevedeva la buona condotta. Quell’articolo fu modificato nel 1962 nella norma oggi in vigore. Biocca viene preso in castagna da Joseph Buttigieg, presidente della International Gramsci Society.

    Il quotidiano “liberal-democratico” pubblica la precisazione di Buttigieg, ma riapre le colonne al Biocca il quale riconosce l’errore testuale, epperò aggiunge che in base al decreto 602 del 1931 ai carcerati si richiedeva di fatto il ravvedimento. Consultato il regolamento carcerario in vigore negli anni in cui Gramsci era detenuto, tra le ipotesi che regolano il meccanismo delle sanzioni punitive o premiali, il ravvedimento non è mai menzionato.

    Ho aspettato a scrivere questo pezzo per poter leggere il saggio di Biocca su "Nuova Storia Contemporanea", da cui ritenevo, a rigor di logica, che fosse tratta l’anticipazione su "Repubblica". Ma, stranamente, nel lungo scritto su NSC non c’è traccia della questione del cosiddetto “ravvedimento”.