mercoledì 27 maggio 2015

IPSE DIXIT

L’italiano medio - «Uno dei difetti principali dell’"italiano medio", si dice sempre, è la tendenza a scaricare le responsabilità, ossia la convinzione che del conto debba sempre occuparsi qualcun altro. "Qui nessuno paga le tasse!", denuncia l’artigiano mentre ripone in un cassetto i contanti incassati al nero. "Qui nessuno rispetta le regole!", inveisce la signora parcheggiando sul posto riservato ai disabili, forte del pass d’un vecchio zio che non esce di casa da un lustro. Bene, la mia ipotesi è la seguente: non l’unica causa, certo, ma almeno una delle cause del declino italiano consiste nel fatto che, a partire soprattutto da Tangentopoli, la politica non solo non ha contrastato questa propensione – per così dire – all’auto-deresponsabilizzazione, ma l’ha potentemente alimentata.» – Giovanni Orsina

 

Esortazione ai vescovi italiani - «La sensibilità ecclesiale… comporta anche di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza sul loro futuro, e soprattutto emarginando i deboli e i bisognosi.» – Francesco

 

Nella Curia - «Le parole pronunciate lunedì da Francesco all’apertura dei lavori della Conferenza episcopale italiana hanno lasciato tracce profonde; e fatto riaffiorare riflessioni amare. Sono state vissute come la conferma di una severità che da mesi viene avvertita con dolore e sorpresa: quasi fosse l’onda lunga di un Conclave che nel 2013 rivelò una maggioranza ostile a qualunque ipotesi di papato italiano e curiale. Il rischio è di accreditare l’idea di un Pontefice convinto che la Chiesa cattolica si salvi allargando il fossato con una nomenklatura ecclesiastica sospettata di essere collusa con il potere… Si avverte un disagio che tocca direttamente l’episcopato italiano, in affanno nel capire le coordinate culturali di Jorge Mario Bergoglio; e convinto che gli ultimi anni tormentati di Benedetto XVI, con gli scandali e le lotte intestine nella Roma papale, abbiano sedimentato un pregiudizio anti-italiano difficile da scalfire… Il fossato tra il pontefice del popolo e la Chiesa-istituzione rimane. I vescovi sentono di essere oscurati e surclassati da Francesco. E additano come un rischio la sua tendenza a guidare la Chiesa con una specie di "governo ombra". Ma forse, dovrebbero domandarsi se l’"oscuramento" non sia una conseguenza di responsabilità e mancanze almeno di alcuni di loro. E quando chiamano in causa il "governo ombra", alludendo a Casa Santa Marta, mostrano di non vederlo più come luogo-simbolo della rottura virtuosa di Francesco con i palazzi degli intrighi vaticani.»Massimo Franco

 

mercoledì 13 maggio 2015

Uno sguardo sul futuro della sinistra

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Nel nuovo libro di Giacinto Militello (Ediesse) il racconto di una nuova sinistra possibile. Capace di difendere i più deboli ma anche di porsi alla guida dei grandi processi di cambiamento in atto nel mondo per non lasciarli in mano alle destre. Solo il lavoro congiunto del pensiero liberale e del pensiero socialista e di quello dei cattolici democratici può fondare una moderna prospettiva liberalsocialista capace di far rinascere il paese. È questo uno degli assunti de "La prospettiva liberalsocialista. Uno sguardo sul futuro della sinistra", l'ultimo volume di Giacinto Militello, figura storica della sinistra politica e sindacale in Italia, pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro). Giacinto Militello, figura storica della sinistra politica e sindacale in Italia, ha pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro) un pamphlet appassionato e ricco di informazione e documentazione.

    "Il pensiero liberalsocialista – ha spiegato l'autore nel corso di un intervista andata in onda su RadioArticolo1 – distingue nettamente la tradizione socialista da quella comunista, la tradizione liberale da quella liberista: è cioè il tentativo di mettere assieme libertà e giustizia sociale, libertà dell'individuo e uguaglianza. Si tratta di un'impresa enorme. Bobbio, a questo proposito, suggerisce di non tentare una sintesi filosofica rispetto a queste due grandi tradizioni, quella liberale e quella socialista, ma piuttosto un incontro di interessi, una soluzione politica per mettere insieme queste due grandi tradizioni democratiche del pensiero politico italiano".

  

L'intervista di www.rassegna.it

 

    Solo il lavoro congiunto del pensiero liberale, del pensiero socialista e di quello dei cattolici democratici può fondare una moderna prospettiva liberalsocialista capace di far rinascere il paese. Questa è la tesi di fondo dl suo libro, nel quale viene spesso evocata la differenza tra liberalismo e liberismo. Ma in Italia la "rivoluzione liberale" di Gobetti è stata evocata anche a sproposito.

    Militello Mi fa piacere che si citi Gobetti. Perché la rivoluzione liberale di Gobetti era affidata soprattutto alla classe operaia, vista e proposta come classe dirigente del paese. Mentre la rivoluzione liberale di cui ha parlato Berlusconi era soltanto un modo per fare i propri interessi e non certo per portare i deboli e gli operai alla guida del paese. Sono due concetti completamente diversi.

    Quali sono, in sintesi, le asticelle che separano liberalismo da liberismo?
    Militello Il liberismo tende a ignorare o addirittura, come abbiamo visto, a colpire i diritti dei più deboli e a consacrare un'idea di società basata sul denaro, sul profitto, sulle diseguaglianze. Il pensiero liberale invece è tutta un'altra cosa: comprende bene che per inverare il concetto di libertà si ha bisogno di coniugarlo con quello di giustizia sociale e di eguaglianza di tutti i cittadini e di progresso della democrazia.

    Quale ruolo ha nella costruzione di questa prospettiva progressista il sindacato?

    Militello Nel sindacato ho passato 30 anni della mia vita: lo considero la mia famiglia. Per me è un bene prezioso e una grande conquista democratica dei lavoratori che va assolutamente difesa, oggi e domani. Tuttavia attualmente il sindacato corre il pericolo di subire pesanti sconfitte. Pur essendo ancora capace di mobilitare masse, di organizzare grandi manifestazioni e di incontrare il popolo, rischia di non avvertire che nella società si stanno sviluppando due processi opposti: da una parte c'è effettivamente la deindustrializzazione e il declino dell'assetto produttivo e sociale del paese, ma dall'altra parte c'è anche il cambiamento, l'innovazione tecnologica, l'automazione, e il lavoro che diventa sempre più consapevole e capace di affrontare problemi complessi. Se il sindacato tenta di fermare il declino senza però capire che deve guidare e promuovere il cambiamento diventa conservatore e si indebolisce. Il risultato è che questo cambiamento verrà guidato dai liberisti. Per queste ragioni, la fase attuale per il sindacato è sicuramente molto difficile.

    A proposito del lavoro che cambia e della conoscenza, in Cgil sei stato tra i primi a occuparti di professioni…

    Militello Sì, e anche questo è un tema importante e ricco di prospettive: non si può pensare che l'unica dimensione sia quella, pure importantissima, del conflitto in fabbrica. La società è molto più complessa. Ci sono, appunto, i lavoratori autonomi, che hanno una propria cultura, una professione, una volontà di affermarsi nella società con il loro sapere e le loro conoscenze. Il futuro del sindacato e quello del lavoro sono sempre più legati al livello di conoscenza che ogni singolo lavoratore immette nel processo produttivo. Il futuro del lavoro sta nel suo matrimonio con la conoscenza, con l'esperienza e con la formazione. Più fa questo e più il lavoratore diventa autonomo, anche se magari è inquadrato come dipendente. L'innovazione tecnologica non è un'invenzione dei padroni ma un bisogno e una tappa della civiltà verso la modernità. Certo l'innovazione tecnologica purtroppo crea anche il digital divide, gli esclusi, tanto lavoro puramente esecutivo, poco dignitoso e pagato sempre meno. Ecco, allora, che il grande compito del sindacato è difendere i più deboli, i più poveri e quelli che hanno meno conoscenza ma, contemporaneamente, trovare nuove alleanze sociali e nuovi strumenti organizzativi per stare insieme ai lavoratori della conoscenza. Questo è il futuro, e se non ci si prepara ad affrontarlo si resta indietro. Lo scenario attuale tiene insieme povertà e innovazione e a tutti e due questi poli dobbiamo trovare una risposta adeguata, altrimenti si finisce per restare inesorabilmente indietro.
    Quindi la sinistra è forte se è in grado di rappresentare insieme i deboli e i poveri…

    Militello Proprio così. Dobbiamo rappresentare e stare con i deboli, ma per vincere la battaglia e per guidare il cambiamento abbiamo bisogno anche di altre forze sociali. Dobbiamo interrompere questo andazzo deprimente che negli ultimi tempi ha offuscato la luce della sinistra, diventata ceto politico senza più riferimenti sociali. Se non lo faremo saranno tecnocrazia e populismi di destra a guidare i processi in atto.