lunedì 29 febbraio 2016

Laicità concreta o simbolica?

LAICITÀ

dal sito di Italialaica

 

L'“unione civile” fra persone dello stesso sesso, che già rappresentava un compromesso rispetto a quel matrimonio fra tali persone ormai vigente in vari paesi, passa per un evidente ridimensionamento con l'esito cui, in Senato, si avvia il relativo disegno di legge.

 

di Attilio Tempestini

 

In effetti il fronte a difesa del testo originario mostrava, varie falle. Cominciando dal Presidente del Consiglio il quale è venuto sì, come fa abitualmente, a dichiarazioni del genere “noi tireremo dritto” -ignora probabilmente, chi fu a dire così prima di lui- ma ha pur sempre partecipato anni fa alla manifestazione organizzata, contro una proposta di legge in materia, durante il governo Prodi. Vi è davvero da chiedersi se il governo Renzi si impegnerebbe su questo tema, se l'Italia non fosse stata chiamata ad agire dalla Corte di Strasburgo.

    Quanto poi, al Movimento 5 Stelle, nulla da ridire sul suo rifiuto di forzature nel dibattito parlamentare. Ma è stato davvero clamoroso il suo revirement, dall'impegno a votare per tale disegno di legge purché non ridimensionato, al disimpegno rispetto a quell'adozione di un figlio del partner che ne rappresenta il nodo maggiore: e che si avvia, a venire stralciata.

    Peraltro, su vicende come quella delle unioni civili, le istanze laiche trovano pur sempre più spazio che allorché da questioni “concrete”, nel senso di investire direttamente rilevanti gruppi sociali, si passa a questioni “simboliche” come quelle che si sono recentemente poste in due città italiane. A Bologna, il TAR ha annullato la delibera con cui una scuola accettava una benedizione pasquale, della scuola stessa. Ebbene rispetto a tale sentenza (motivata, in termini di classica laicità) la responsabile del PD per la scuola ha manifestato dissenso. Mentre non mi risultano commenti in merito, del Movimento 5 Stelle.

    Nelle stesse settimane, a Torino un consigliere comunale del PD ha fatto sì che venisse messa ai voti la proposta di rimuovere dall'aula di tale Consiglio, il crocifisso che vi si trova esposto. La proposta ha ottenuto solamente tre voti; fra i quali per il PD vi è stato unicamente il voto del proponente, per il Movimento 5 stelle il voto di uno soltanto dei suoi due consiglieri -e non è quello, anzi quella, che si candida a sindaco-. C'è poi, chi ha scelto di uscire dall'aula: come i due consiglieri di SEL, per i quali il capogruppo ha dichiarato che in materia di laicità a contare sono non simili questioni, ma questioni come la legge sulle unioni civili…

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lunedì 22 febbraio 2016

O la Repubblica o il caos

Convegno di Mondoperaio www.avantionline.it/

Nel febbraio di settant’anni fa, fu la scelta di Pietro Nenni ad essere decisiva perché il governo convocasse, contestualmente alla già prevista elezione dell’Assemblea costituente, il referendum popolare sulla forma istituzionale dello Stato. Fino ad allora l’opzione delle sinistre era favorevole ad attribuire la scelta fra Monarchia e Repubblica alla stessa Assemblea costituente, mentre gli Alleati preferivano che a pronunciarsi fosse il popolo. La scelta del referendum sulla Repubblica e il ruolo di Pietro Nenni, sono al centro di un convegno organizzato dalla rivista Mondoperaio presso la biblioteca del Senato. Al convegno – O la Repubblica o il caos. Pietro Nenni e la fondazione della Repubblica italiana – sono intervenuti Riccardo Nencini, Luigi Covatta, Piero Craveri, Ugo Intini, Cesare Pinelli. Presenti Pia Locatelli, capogruppo dei Psi alla Camera e il deputato socialista Oreste Pastorelli.

 di Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio

 La sera del 2 giugno 1946 Nenni la passò da solo, a casa sua, leggendo un libro di Arthur Koestler. Lo colpirono le battute di due detenuti politici che confrontavano le rispettive concezioni del senso dell’onore. Per il primo l’onore era “vivere e morire per le proprie convinzioni”. Per l’altro “rendersi utile senza vanità”. Nenni annota: “Sento alla maniera del primo, penso come il secondo”… Chissà se la nostra Repubblica sarebbe mai nata senza il suo sentimento e senza il suo pensiero?

    Senza il suo sentimento, certo: perché la fede repubblicana, come sappiamo, era per Nenni una specie di a priori. Ma soprattutto senza il suo pensiero. “O la Repubblica o il caos”, per esempio, non era una minaccia insurrezionalista, come dicevano i monarchici più settari. Al contrario, era la sintesi del lucido ragionamento di uno statista al quale, fortunatamente, non mancava neanche una marcata dimensione tribunizia.

    È il ragionamento che Nenni fece proprio settant’anni fa, alla vigilia di quel 25 febbraio in cui il governo, innanzitutto per merito suo, decise di convocare, contestualmente alle elezioni per l’Assemblea costituente, un referendum popolare per scegliere la forma istituzionale dello Stato.

La decisione, come sappiamo, non era scontata. Le sinistre, in particolare, preferivano lasciare la scelta all’Assemblea, nel timore di una deriva plebiscitaria a favore della monarchia. Ma Nenni, pur sapendo che per i monarchici il referendum era “un sostituto del plebiscito”, osservò che poteva “anche divenire un’altra cosa, se contestuale alle elezioni per la Costituente”. E soprattutto ammonì che il prolungarsi delle polemiche in seno al governo avrebbe potuto determinare “un sussulto della piazza contro le nostre lentezze e diatribe”: senza escludere “l’intervento degli Alleati, e forse un intervento non soltanto politico”.

    Questo significava, in quel mese di febbraio di settant’anni fa, “O la Repubblica o il caos”. E significava anche che ad evitare il caos non avrebbe comunque potuto provvedere una dinastia che aveva tradito la fiducia del popolo per quasi vent’anni, dal 10 giugno del 1924 all’8 settembre del 1943. E pazienza se ora Umberto gli mandava a dire che la monarchia britannica poteva sopportare un governo socialista, mentre nella Repubblica italiana l’egemonia sarebbe inevitabilmente toccata alla Dc. E pazienza anche se Maria Josè faceva sapere che il 2 giugno avrebbe votato per Saragat.

    Fin d’allora il giudizio politico di Nenni trascendeva le ragioni partigiane per privilegiare la stabilità del sistema politico. E perciò, quando nacque la Repubblica e l’Avanti! titolò giustamente “Grazie Nenni”, Ignazio Silone non volle celebrare una gloria di partito, ma la salvezza e la rinascita della nazione..

    Non è quindi un caso che una delle prime iniziative per celebrare il 70° anniversario della Repubblica sia stata presa dalla rivista fondata da Pietro Nenni: una rivista che anche ora, nel suo piccolo e dopo tanti disastri, cerca di tenersi lontana dal parocchialismo e si sforza di contribuire al rinnovamento ed al consolidamento della nostra democrazia.

    Ovviamente questa iniziativa non sarà l’unica che prenderemo. Per il 2 giugno usciremo con un numero speciale in cui cercheremo anche di capire per quali motivi e attraverso quali percorsi una Repubblica che era nata come alternativa al caos ora rischia di precipitare a sua volta nel caos. E per tutto questo settantesimo anno dell’Italia repubblicana scandiremo le tappe del percorso che abbiamo alle spalle: senza cedere a nostalgie o a recriminazioni: ma senza cedere nemmeno ad un “presentismo” senza memoria che giorno dopo giorno sta erodendo le fondamenta della nostra stessa identità nazionale.

 MondOperaio - http://www.mondoperaio.net/

SU RAI STORIA “Pietro Nenni, Anima socialista”

FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/

    Il 9 febbraio 1891 nasce Pietro Nenni, uno dei protagonisti del Novecento italiano e della sua politica, con una lunga militanza socialista. A lui "Italiani", il programma di Rai Cultura con Paolo Mieli dedica il documentario di Enrico Salvatori "Pietro Nenni – Anima socialista", in onda martedì16 febbraio alle ore 21.30.

    Il racconto parte dal fatidico 1956, l'anno della scelta di Nenni della rottura con Mosca e con i comunisti italiani a seguito dell'invasione dei carri armati sovietici in Ungheria. Si avviano le convergenze parallele con la DC di Moro e Fanfani, che porteranno alla grande stagione del centrosinistra.

    E c'è anche, a ritroso, il Nenni delle origini: nato in una famiglia di contadini inurbati, è testimone fin da bambino, degli sconvolgimenti sociali della fine secolo, i moti del 1898 e il regicidio del 1900. Repubblicano prima della Grande Guerra, socialista militante poi, vive in Francia gli anni dell'esilio fascista, divenendo uno dei punti di riferimento del movimento antifascista internazionale, Spagna compresa.

    Nel 1943 viene arrestato in Francia e dopo un passaggio in Germania viene consegnato dalla Gastapo alla polizia italiana e tradotto nelle carceri italiane fino al confino a Ponza. Scarcerato con la caduta del fascismo, è animatore della lotta partigiana e uno dei protagonisti della ricostruzione democratica dell'Italia che riassume nella frase: "O la Costituente e la Repubblica o il caos".

    È figura di spicco anche dopo i suoi ottant'anni, vivendo una tenace maturità politica, dimostrata fino all'ultimo: apre la VIII legislatura del 20 giugno 1979, per evitare che sia un senatore neofascista a farlo, prima di morire la notte del 1° gennaio 1980.

    Il film è arricchito dai documenti dell'Archivio storico della Fondazione Nenni e dalle testimonianze di Giuseppe Tamburrano, biografo e presidente emerito della Fondazione (1985-2015); Giorgio Benvenuto, presidente della Fondazione Nenni dal 2015; Paolo Mattera, storico del socialismo italiano; e Maria Vittoria Tomassi, nipote di Pietro Nenni e figlia della quartogenita Luciana.

       

Bello. Ma ancora più bello sarebbe se la Rai consentisse al pubblico

di rivedere il documentario sul suo sito internet.  La red dell'ADL

mercoledì 17 febbraio 2016

STORIA SUDATA DI UN SUCCESSO

Politiche d’integrazione e relazioni Italia-Germania

 

Conferenza di Laura Garavini al Goethe Institut di Roma: “La storia dei Gastarbeiter in Germania rimane di grande attualità anche per l’Europa di oggi”.

 

“Pericolosi, rumorosi, arroganti”: così venivano percepiti i Gastarbeiter nella Germania degli anni Cinquanta. Quattordici milioni in tutto, arrivati dal 1955 al 1974 nella Repubblica Federale Tedesca alla luce degli accordi bilaterali stilati con numerosi paesi di immigrazione. Tra questi c’era l’Italia, ma anche la Turchia, il Marocco, la Tunisia. Una massa enorme di giovani, spesso uomini, temuti e guardati con sospetto dalla cittadinanza.

    Settecentomila all’ anno, in media, provenienti da culture diverse, spesso da condizioni di estrema povertà e frequentemente anche di religione musulmana. Situazioni certamente diverse da quelle dei rifugiati attuali, ma con tante analogie”. Così Laura Garavini, deputata eletta in Europa, componente PD della Presidenza alla Camera, intervenuta oggi alla conferenza “Da Gastarbeiter a EU-Worker” organizzata dal Goethe Institut di Roma.

 

Insieme a lei, al dibattito ha preso parte il Professor Oliver Janz, ordinario di storia contemporanea alla Freie Universitaet di Berlino.

    “Eppure quella storia, quella dei "Gastarbeiter" è una storia di successo”, ha rimarcato Garavini. “Innanzitutto circa il 90% di loro sono rientrati e hanno contribuito con i loro guadagni ad arricchire le zone di origine. Quelli che sono rimasti, invece, in linea di massima si sono integrati bene in Germania, nonostante le difficoltà. La storia dei “Gastarbeiter” in Germania rimane di grande attualità anche per l’Europa di oggi”.

    “L’integrazione dei “lavoratori ospiti” in terra tedesca – ha ribadito la parlamentare Pd – si è rivelata nel tempo un percorso di successo, nonostante gli errori e i ritardi nel mettere in campo idonee politiche di integrazione. Conoscere questa storia significa avere gli strumenti per combattere una visione apocalittica del mondo, che vede nell’immigrazione solo un problema da eliminare. Non è così, per fortuna. L’emigrazione è una grande opportunità di arricchimento reciproco. A chi intende alimentare la paura dei cittadini europei dobbiamo rispondere che un grande “film”, quello di 14 milioni di migranti in Germania, dagli anni cinquanta agli anni settanta, è andato a finire bene. E non c’è motivo per cui anche i “film” di oggi, quelli in cui i rifugiati sono protagonisti da immigrati nei paesi membri dell’UE, non vadano a finire altrettanto bene”.

    “Quello che è importante – ha concluso – è imparare dagli errori del passato e prevedere, da subito, una serie di misure volte a promuovere una piena integrazione dei migranti, prevedendo anche risorse sufficienti a garantire questi processi, a partire dalla scuola”. (aise/ADL) 

 

martedì 9 febbraio 2016

Confessionalismo politico in crisi

Da Italia Laica Vai al sito di Italia Laica

 

 L’incalzante urgenza dei drammatici recenti episodi di violenza islamista in Siria e in Nigeria e l’esplosione xenofoba nel nord Europa non hanno impedito che, per un giorno, l’attenzione dei media si concentrasse sulla marcia su Roma degli integralisti cattolici contrari all’approvazione della legge sulle “unioni civili”.

 

di Marcello Vigli 

 

Entusiasti gli uni e ostili gli altri si sono scontrati sul numero, comunque significativo, dei partecipanti e sulla valutazione dei  possibili esiti della manifestazione sul dibattito che si avvia in Senato.

    C’è, però, da rilevare una convergenza nel riconoscere la radicale diversità nei confronti dell’analoga adunata in piazza San Giovanni nel 2007. Quest’anno sono mancate fra i promotori importanti associazioni laicali come l’Azione cattolica, le Acli, l’Agesci e la stessa Comunione e Liberazione. Anche l’Opus Dei si è dissociata:  un suo esponente  ha pubblicamente criticato la manifestazione. Più esplicite le dichiarazioni del Movimento Noi Siamo Chiesa delle comunità cristiane di base, da sempre all’opposizione, che contestano l’uso dell’appellativo “cattolici” per definire soggetti che esprimono, pur legittimamente,  idee e posizioni condivise solo da “alcuni”.

    Ampiamente rappresentati sono stati, invece, i neocatecumenali e altre organizzazioni integraliste a cui si sono aggiunti anche militanti di Casa Pound. La gerarchia ecclesiastica italiana è sembrata poco coinvolta, ma la Cei ha formalmente sponsorizzato l’iniziativa, mentre il Vaticano è stato del tutto assente: L’Osservatore romano  ha ignorato la notizia. Sconsolato Antonio Socci scrive: Confesso che – pur avendo espresso tante critiche all’operato di Bergoglio – non ero mai arrivato a temere che egli potesse addirittura provare tanta ostilità per noi cattolici, fedeli al Magistero di sempre della Chiesa. Ancora più significativo considera tale silenzio Valerio Gigante che commenta su Adista: evidentissimo: anche per la Chiesa i “valori non negoziabili” non esistono più. Ormai anche i più decisi oppositori della legge non si dichiarano contrari al riconoscimento per coppie di omosessuali di alcuni diritti tipici dell’istituto matrimoniale,  si concentrano invece sulla condanna senza appello della possibilità per un omosessuale di adottare il figlio del convivente e ancor più del diritto di una coppia di omosessuali di adottare figli specie se nati in “utero un affitto”.

    Pare evidente che dall’episodio emerge non solo una, magari significativa, manifestazione di dissenso nei confronti della gerarchia, ma anche una sempre più profonda frattura fra episcopato italiano e papa Francesco le cui conseguenze sulle dinamiche della politica in Italia non sono facilmente individuabili; anche perché vanno a sommarsi scontrandosi col sempre maggior peso dell’integralismo clericale in sedi istituzionali: ha imposto in una trasmissione televisiva della Rai il  rinvio in seconda serata della parte della trasmissione televisiva di Iacona dedicata all’educazione sessuale dei giovani (v. puntata “Il tabù del sesso”).

    A sua volta  il cardinale di Milano Scola interviene a suggerire, per non urtare la sensibilità dei fedeli all’Islam nel nostro Paese, di inserire nelle scuole iniziative loro gradite per legittimare, ovviamente,  i privilegi già riservati ai cattolici. Se da un lato è un invito a incrementare la presenza delle religioni nella scuola pubblica, dall’altro è un ulteriore sintomo dell’intento di indirizzare il processo di scristianizzazione non verso un’ulteriore secolarizzazione della vita sociale, ma verso un più pesante confessionalismo.

    In ben altra direzione va il coinvolgimento di cattolici nella costituzione dei Comitati  per il No nel referendum costituzionale avviata per iniziativa dei costituzionalisti che si sono contrapposti al proposito  renziano di cambiare la Carta Costituzionale. Hanno rivelato che le modifiche costituzionali da lui condivise, unite all’Italicum, legge elettorale  da lui imposta, contribuirebbero a stravolgere l’assetto istituzionale disegnato dalla Costituzione compromettendo i fondamenti democratici della Repubblica. Il loro appello a ripetere l’esperienza della straordinaria mobilitazione nei referendum del 2011 per impedire la privatizzazione dei servizi idrici e il rilancio dell’uso dell’energia nucleare, riflette l’esigenza di garantire il massimo di impegno unitario di chi intende difendere la Costituzione e garantire un sistema elettorale rappresentativo.

    Un contributo alla sua realizzazione viene indubbiamente dalla crisi del confessionalismo come ingrediente del dibattito politico e condizionatore delle scelte elettorali dei cittadini.

 

 

 

Segnalazione

 

Ricordando Giordano Bruno

Roma - Piazza Campo dei Fiori

17 febbraio 2016 – ore 17.00

 

ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEL

LIBERO PENSIERO “GIORDANO BRUNO”

 

Nel nome di Giordano Bruno

Senza Laicità non c’è Democrazia

Libertà  Diritti  Dignità Uguaglianza

 

www.periodicoliberopensiero.it

 

lunedì 1 febbraio 2016

La Giornata della Memoria e i silenzi sul passato

Da Avanti! online www.avantionline.it/

  

Ogni anno, in occasione della giornata della Memoria escono articoli sulla nobile figura di Pio XII. Questo scrissi alcuni anni fa su papa Pacelli e confermo.

 

di Tiziana Ficacci

dal blog liberelaiche

 

Il giudizio sulla figura di Pio XII dovrebbe tenere conto del suo silenzio su tutta la storia d’Europa fin dall’ascesa del fascismo in Italia e del nazismo in Germania.

    Pio XII diventa papa nel 1939, ma prima è stato Segretario di Stato e in questo ruolo ha attuato il concordato con il regime nazista nel 1933. Non risulta essersi mai speso in quegli anni a favore dei tedeschi che si opponevano a quel regime, cattolici e non. Anzi, l’allora cancelliere Bruening scrive nelle sue memorie che il Segretario di Stato Eugenio  Pacelli, futuro Pio XII, premette per un intervento di Hitler a fianco dei falangisti nella guerra civile spagnola.

    Tra i primi atti del suo pontificato è documentato l’avvicinamento a Charles Maurras (i cui scritti erano stati messi all’indice durante il pontificato di Achille Ratti-Pio XI) promotore del gruppo francese di estrema destra e antisemita Action Francaise. La Santa Sede si riserva di aprire gli archivi bloccando la ricerca storiografica, ma al momento risulta che nessuna parola sia stata scritta da papa Pacelli contro la creazione dei campi di concentramento e poi di sterminio, in cui dieci milioni di ebrei europei, zingari, omosessuali, cittadini russi trovarono la morte. Una precisazione doverosa perché la stampa vaticaliana tende ad accreditare che l’unico silenzio di Pio XII abbia riguardato il treno che trasportava più di 1000 ebrei romani rastrellati il 16 ottobre ’43 mentre contemporaneamente salvava qualche centinaio di ebrei facendoli ospitare, spesso dietro cospicui compensi, in chiese e conventi di Roma.

    È vero invece che il suo silenzio ha riguardato milioni di ebrei e non, vittime del nazismo.

    La beatificazione di Pio XII riguarda solo gli ebrei?  Sicuramente sul piano dei fatti storici sono i più coinvolti emotivamente, ma sul piano religioso la questione dovrebbe riguardare i cattolici ai quali viene indicato a modello una figura come minimo controversa.

    Le gerarchie cattoliche  insistono che il silenzio di Pio XII sarebbe stato motivato dal fatto che un intervento pubblico da parte del Vaticano,  anziché frenare, avrebbe ulteriormente intensificato lo sterminio in atto nel cuore dell’Europa. Ma questo argomento non spiega perché, neanche dopo la fine della guerra e nel lungo periodo del pontificato (il papa morì nell’ottobre del 1958), non sia mai arrivato alcun riferimento a quanto accaduto. E soprattutto non si comprende perché un analogo timore non frenò il papa, nel luglio del 1949, dallo scomunicare comunisti e socialisti nonostante l’enorme potere allora esercitato dall’Unione Sovietica. Sono domande che dovrebbero porsi tutti, e non solo gli ebrei come accade…

 

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