giovedì 3 marzo 2011

La nascita dell'Italia e l'affermazione dei diritti/ Amato a Zurigo

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La nascita dell'Italia e

l'affermazione dei diritti

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di Adriano Prosperi

(Scuola Normale Superiore di Pisa)

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Quest'anno la tradizionale ricorrenza della "Settimana della libertà" con cui gli evangelici italiani celebrano la concessione dei diritti civili da parte di Carlo Alberto ai valdesi del suo regno si incontra con la celebrazione del 150° anniversario della nascita della nazione italiana. E questo vale a ricordarci che fu nel segno della libertà religiosa che si ebbe il preludio dell'affermazione dell'unità nazionale. E' un dato storico che conferma la validità di un principio affermato da un grande storico, giurista e testimone civile, Francesco Ruffini (uno degli undici professori che non giurarono fedeltà al regime fascista): il principio che dice che la libertà religiosa è la prima libertà, senza la quale le altre non nascono e non si sostengono. La libertà di religione si intreccia dunque con quella religione della libertà che secondo Benedetto Croce fu il lievito dei movimenti e delle speranze ideali della storia europea dell'800. E fu "la sincera fede di Cavour nella libertà" che "generò quel suo programma di rapporti tra Stato e Chiesa sintetizzato nella formula "libera Chiesa in libero Stato": così si espresse Arturo Carlo Jemolo in un disegno dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia che è ancor oggi un testo capitale della nostra cultura storica.

Come ben sappiamo, quei principi di libertà e di distinzione tra fede religiosa e vincolo di appartenenza alla nazione e di rispetto delle sue leggi non ebbero vita tranquilla. E' stato un lungo e complicato percorso quello che ha visto continue oscillazioni tra il rispetto della libertà religiosa dei cittadini e l'impulso a ristabilire diversità di diritti tra una religione promossa a culto ufficiale dello Stato e i molti e diversi culti definiti come semplicemente "ammessi". Quando la legge delle Guarentigie collocò sullo stesso livello di gravità le offese al sovrano e quelle al pontefice romano si dovette tutelare con un apposito comma la libertà di discutere di materie religiose, al fine di evitare quell'accusa di "lesa maestà" che per secoli aveva equiparato il dissidente di religione al rivoluzionario e al ribelle politico.

I lunghi secoli della Controriforma hanno radicato nel costume e nella cultura ufficiale italiana una forma di ossequio formale al culto cattolico romano e una sostanziale indifferenza e ignoranza religiosa che riappaiono spesso come un vero "costume di casa". Ma la svolta dell'Unità italiana conserva intatto il suo valore di spartiacque tra tutta la storia italiana precedente e quella successiva: un valore che ci possiamo rappresentare al vivo ricordando quante cose cambiarono allora nelle leggi e nelle pratiche sociali del paese. Basterà un semplice episodio a raffigurarci al vivo la portata di quella svolta: un grande avvocato destinato a luminosa carriera di studioso e di criminalista, Francesco Carrara, riuscì a salvare la vita di alcuni imputati di sacrilegio nella Lucca preunitaria con l'artificio di prolungare abbastanza la durata del processo fino al momento in cui con l'Unità italiana decadde quel mostruoso codice lucchese che aveva restaurato antiche e durissime norme elaborate a tutela dell'unico culto consentito. E non fu certo per caso che Francesco Ruffini conducesse le sue ricerche su alcuni eretici italiani del '500 mentre pubblicava uno stupendo libro di solida dottrina e di vibrante passione civile nelle edizioni di Piero Gobetti nell'anno 1926: un libro che si apriva con la domanda:"Il popolo italiano continuerà a godere di quelle libertà costituzionali che lo Statuto gli garantiva... o ne sarà a un tratto spogliato?". Sappiamo quale fu la risposta della storia. E sappiamo anche che l'alleanza del regime fascista con la Chiesa cattolica aprì una ferita profonda nelle coscienze e lasciò una pesante eredità alla Repubblica italiana con quel concordato che modificava i rapporti tra le varie confessioni religiose presenti sul territorio della nazione.

Oggi nel bilancio che la ricorrenza imposta dalla "religione laica" dei centenari ci obbliga a fare, va riconosciuto alle minoranze religiose storicamente presenti e attive in Italia il merito di avere sempre combattuto per conquistare per sé e per tutti gli italiani il diritto alla libertà religiosa. La ricostruzione della partecipazione attiva dei protestanti alle lotte del Risorgimento e alla vita politica e culturale della nazione italiana nel suo primo cinquantennio quale fu portata avanti dalle appassionate ricerche di un Giorgio Spini storico e uomo di fede metodista, ha rivelato un panorama ricco di presenze fondamentali della nostra cultura, senza le quali l'inserimento dell'Italia nel contesto delle nazioni moderne sarebbe stato assai più lento e difficile di quello che di fatto è stato e l'elenco delle nostre istituzioni culturali – scuole e biblioteche, libri e riviste, circoli e luoghi di memoria – risulterebbe assai più povero.

Oggi è nel contesto di un mondo contemporaneo dove le guerre di religione divampano ancora ma lontano dai nostri confini, che possiamo guardare alla nascita dell'Italia unita come a un momento di svolta decisivo sulla via dell'affermazione dei diritti di libertà. Se nei secoli di storia del nostro paese precedenti alla nascita dell'Italia unita la lotta per la libertà religiosa fu a lungo un fatto di ristrette minoranze e di testimonianze individuali di fede e di passione, i 150 anni della nazione unita hanno radicato in profondità il costume della tolleranza e reso sempre più raro e insolito il pericolo dell'aggressione contro i diversi e i dissenzienti, mentre le presenze di religioni e di confessioni nel corpo della nostra società si vanno sempre più moltiplicando. Tutto questo permette di guardare con fiducia alla augurabile crescita dei diritti di libertà e al costume del rispetto dovuto a ogni scelta religiosa che non leda i diritti altrui. Ma se è doveroso celebrare quei lontani inizi della nazione italiana sotto la bandiera ideale dei diritti di libertà, non per questo ci si deve nascondere che nessun diritto si mantiene se non c'è una coscienza civile desta e pronta a resistere ai tentativi di sopraffazione comunque mascherati: e la realtà italiana di un regime di diritti costituzionali che ha accolto nella Carta fondamentale i Patti Lateranensi è anche la realtà di un paese che vede, come scriveva ancora Arturto Carlo Jemolo, la perenne tentazione di un "confessionismo statale" capace di alterare in concreto e di rendere meno efficace il diritto della libertà religiosa. Per questo bisogna essere grati a coloro che mantengono viva e attuale la tradizione risorgimentale della lotta per una corretta interpretazione e una concreta e sempre più ampia attuazione del principio cavouriano di "libera Chiesa in libero Stato". (nev-notizie evangeliche)

Amato a Zurigo

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Giuliano Amato, presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni del 150°, ha tenuto all'Università di Zurigo una lectio magistralis su L'Italia tra Unione Europea e nuovo federalismo: "Auspicherei che alla fine di quest'anno appaia evidente che anche l'Italia sta insieme per un unico motivo: perché gli italiani vogliono stare insieme".

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"Dottor sottile", "Eta Beta" e financo "Dracula": non si contano i nomi e i nomignoli appiopati a Giuliano Amato nel corso della sua lunga marcia attraverso le istituzioni.

Lui stesso chiede d'essere semplicemente chiamato "professore", perché ora guida l'Istituto Treccani e il Comitato dei garanti per le celebrazioni del 150°, succedendo in questa prestigiosa carica al presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.

Insieme al presidente Napolitano, Amato rappresenta per la lunghezza dell'impegno pubblico una sorta di risposta laico-progressista all'inossidabilità del divo Andreotti, con il quale il Dottor Sottile condivide la gracilità e l'acume, ma dal quale lo separa una diversa complessione intellettuale e morale.

A questa diversità, di vero accademico e di statista italiano incensurato, l'ex premier socialista deve in sostanza il suo prestigio internazionale, che si traduce in frequenti inviti nelle università di mezzo mondo.

Giovedì scorso ha parlato all'Università di Zurigo dove il decano, Bernd Roeck, storico bavarese trapiantato a Zurigo, si è profuso in elogi per l'ospite illustre e di espressioni di simpatia nei riguardi dell'Italia, per auspicare un "nuovo Risogimento dopo Berlusconi": il popolo italiano "sopravvissuto a innumerevoli catastrofi, guerre, occupazioni, terremoti, alluvioni e disastri", ha detto Roeck "riuscirà a sopravvivere anche a quest'epoca strana che chiamano del bunga-bunga".

L'illustre ospite ha incassato le bordate di sarcasmo con una smorfia quasi impercettibile di sofferenza. Forse, in altri tempi, altri decani, si sarebbero espressi con maggiore sobrietà, ma ce lo meritiamo.

Il Centocinquantesimo dell'Unità d'Italia -- a giudizio dell'ex premier --- deve aiutarci condurre a compimento il progetto anti-centralista insito nella Costituzione repubblicana.

L'Italia del Centocinquantesimo deve coniugare Unità e Federalismo, anzitutto a favore del Mezzogiorno, che non ha alle spalle una diffusa esperienza comunale, essendo rimasto soggetto per molti secoli di forme centralistiche di governo: "Credo al federalismo", ha detto Amato, "anche Mazzini e Cavour se hanno avuto ragione a non volerlo, perché non avrebbero potuto realizzarlo. Ma se l'avesserio potuto, sarebbe stato meglio per il nostro Paese".

Nell'Italia delle cento città i Comuni hanno condotto alla formazione di una società civile forte e fortemente coinvolta nel governo: un lungo training di responsabilizzazione politica che si è realizzato soprattutto nel centro-Nord e che mancava a Sud, solo in parte attivatosi con il decentramento e la nascita delle regioni.

Il gap tra Nord e Sud può e deve essere superato proprio promuovendo il Federalismo.

Dalla Spagna alla Germania, dall'Italia al Portogallo, dal Belgio alla Gran Bretagna alla stessa Francia – assistiamo in Europa al tramonto del centralismo ottocentesco, ma questo processo avviene sotto il segno di una doppiezza. Perché il "federalismo" può essere un modo per produrre tanto l'unione quanto la divisione. Anche in Italia, dove il trend federale può preludere a forme di coesione più stabile, ma anche a una progressiva secessione, ha ammesso il presidente del Comitato per il 150°, non negando il sussistere in questo senso di "due onde", nella convinzione tuttavia che "una grande onda può assorbire una onda più piccola".

Insomma, l'Italia deve raccogliere la sfida federalista (e superare il gap Nord-Sud), ma può anche permetterselo, in quanto – questa la tesi decisiva di Amato – gli italiani vogliono stare insieme.

"Ecco" – ha concluso il professore con trasparente allusione alla categoria elvetica di Willensnation – "io auspicherei che alla fine di quest'anno di celebrazioni appaia evidente che anche l'Italia sta insieme per un unico motivo: perché gli italiani vogliono stare insieme".

Gli applausi trionfali e la grande simpatia che Amato ha saputo suscitare in una platea mai facile com'è quella zurighese hanno segnato indubbiamente un punto d'immagine a favore del nostro Paese. Non è poco.

Però non si è ben compreso quale sia oggi l'altro lato della strategia federalista italiana, quello rivolto alla prospettiva europea. Eppure, mai come in queste settimane l'antieuropeismo della destra italiana mostra i suoi limiti, non meno, per altro, del centro-sinistra ancora affetto da certo antisocialismo democrat (ancora una settimana fa Giuseppe Vacca a Livorno spiegava per filo e per segno che la SPD non potrà mai più aspirare a raggiungere il 40% degli elettori; e mentre lui snocciolava queste infallibilia di fronte a Tamburrano, Macaluso, Turci e Besostri, visibilmente seccati, le agenzie di mezzo mondo battevano le anticipazioni sul ritorno alla maggioranza assoluta dei socialdemocratici nella metropoli di Amburgo).

Una buona notizia, questa del ritorno della SPD, nella Germania della signora Merkel, dove c'è chi ritiene di poter affrontare le sfide globali in forza propria. (ae)


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