martedì 13 dicembre 2016

Ripartiamo dalla Sinistra o da una Sinistra Socialista?

La lettera

 

Rilanciare la "questione socialista" senza nostalgie né preconcetti

 

di Aldo Ferrara

 

La sinistra italiana deve ridefinire obiettivi, scelte politiche, equilibri interni, identità. La loro mancata definizione ha impedito che si incidesse anche nel palcoscenico internazionale, europeo e non. Sarebbe, tuttavia, sbagliato pensare che scelte di ristrutturazione di partiti della sinistra siano tali da comportare, per sé, una sorta di cancellazione della "questione socialista", che certo fa parte della storia politica italiana, ma che non per questo si può pensare di archiviare e che, anzi, mantiene una sua attualità in rapporto alle prospettive di profonda trasformazione della società contemporanea. Né si deve ritenere che si tratti di questione da risolvere tutta all’interno del PD ma sono in gioco gli sviluppi futuri della sinistra italiana nel suo complesso. Il concetto di sinistra deve coniugarsi per esistere con il sostantivo socialismo umanitario.

    Ogni tentativo di collocare il socialismo in altri versanti o di creare una sinistra a-socialista è clamorosamente fallito.

 

Il passato alle spalle - La vitalità della sinistra, di matrice e ispirazione socialista, si misura dalla sua capacità di progettare il futuro, partendo dai bisogni del presente piuttosto che dall’incapacità di regolare i conti del passato. Nella fase storica apertasi dopo il 1989, sono da ricercare le ragioni di una ricomposizione unitaria delle correnti politiche che a quella matrice fanno riferimento, lasciando alle nostre spalle e agli approfondimenti dell’indagine storiografica le divisioni, anche drammatiche, prodottesi nel corso del ‘900.

    Intendiamo essere parte di una sinistra non solo europea ma internazionale dichiaratamente socialista, espressione del mondo del lavoro, capace di interpretare, in termini di trasformazione sociale e di liberazione del lavoro umano, le sfide della globalizzazione, rifiutando ogni riferimento ad un generico e velleitario radicalismo antagonista. Nel confronto che intendiamo aprire non c’è spazio per nostalgie. Se proprio dobbiamo guardare al passato, si tratta di riesaminare in una prospettiva storica i rapporti tra comunisti e socialisti e dei socialisti tra loro nel secolo scorso: dalla rottura livornese del 1921 all’impegno nella lotta antifascista, dal Fronte popolare alla rottura di Palazzo Barberini, dalla Rivoluzione Ungherese alla Primavera di Praga, dal primo centro-sinistra al compromesso storico, dalla concezione etica della militanza politica e dell’impegno nelle istituzioni alla mancata soluzione del problema dei costi della politica e del malcostume corruttivo. Tra una improbabile catarsi purificatrice e la rimozione sistematica di nodi critici e contraddizioni, noi scegliamo di occupare lo spazio in cui si pratica l’esercizio dialettico della memoria, proprio perché rifiutiamo di rivolgere il nostro sguardo perennemente al passato e miriamo alla costruzione di un futuro sulla base di ciò che ci unisce. Ciò implica la necessaria elisione di termini "comunista" e "socialista" per importare il termine sostantivante di " sinistra sociale".

 

Il futuro - Un "socialismo umanitario" rinnovato nella sua visione del mondo, nei suoi obiettivi generali, nella sua stessa concezione della democrazia, non può limitare il proprio orizzonte ad una prassi politica politicienne, che tutto riduce ad un’ansia di partecipazione ai vari livelli istituzionali di governo, ma deve saper interpretare e rappresentare la voglia di cambiamento che emerge da parti sempre più estese della società, a fronte del fallimento delle politiche liberiste, neoliberiste e conservatrici nonché dell’ideologia totalizzante del mercato, che tutto mercifica, dalla salute alla cultura, ai sentimenti, alle stesse relazioni interpersonali.

 

Ambiente ed Energia - La prassi dominante, ispirata dal pensiero omologato dagli interessi finanziari, spesso meramente speculativi, produttivi delle multinazionali, militari e di potenza non ha risolto uno solo dei grandi problemi dell’umanità: sottosviluppo, miseria, fame, analfabetismo nonchè le epidemie letali per enormi masse umane; le crescenti minacce all’integrità dell’ambiente e alle risorse, energetiche e non, del nostro pianeta. Si assiste ad un progressivo dominio di pochi sui tanti popoli del terzo e quarto mondo: il 22% della popolazione mondiale esercita il suo potere sul restante 78%, per quanto attiene la disponibilità delle fonti energetiche e lo sfruttamento della stesse risorse idriche e alimentari.

    Questi problemi non sono lontani dal nostro quotidiano: i drammatici cambiamenti climatici e l’epocale fenomeno delle migrazioni di massa toccano ciascuno di noi e mai, come in questo periodo, cresce una paura del futuro, che se non sarà contrastata e guidata razionalmente, verrà strumentalizzata dalla demagogia e da fanatismi di ogni tipo e di qualsivoglia ispirazione ideologica, religiosa, etnica o localista che sia.

    L’attuale ordine mondiale non garantisce il bene primario della pace, mortifica l’affermarsi dei diritti fondamentali dell’umanità, che dovrebbe comportare l’eliminazione del lavoro servile, in particolare dei minori, eguali opportunità e diritti di cittadinanza per donne e uomini, la messa al bando della pena di morte e di ogni discriminazione dovuta a differenze etniche, religiose o di orientamento sessuale.

 

Più Stato nello Stato - Solo quando questi problemi risulteranno chiari in tutta la loro drammaticità e occuperanno la priorità che loro spetta nell’agenda politica, solo allora si potrà ragionare in termini di compatibilità di bilancio o di rispetto di parametri e vincoli esterni come quelli di Maastricht, di cui respingiamo la rigidità e la logica puramente monetaria. Dobbiamo dare risposte concrete alle grandi sfide epocali attraverso interventi che privilegino la crescita dell’economia reale e produttiva, in cui la qualità del lavoro, la ricerca e lo sviluppo tecnologico svolgano un ruolo prioritario rispetto agli interessi puramente finanziari. Un ruolo importante spetta, altresì all’intervento pubblico in economia, troppo spesso superficialmente ed aprioristicamente demonizzato, alla funzione di coordinamento e controllo delle autorità pubbliche ed alla partecipazione cittadina. Lo esigono i nostri valori e il senso che attribuiamo al nostro agire politico.

 

Giù le mani dalla Costituzione - Intendiamo occuparci precipuamente dell’oggi e del futuro, ben sapendo che, nella realtà sociale e politica del nostro Paese, l’avversario da battere è costituito principalmente dalla diffusa presenza di tendenze ultraliberiste in economia e populiste in politica, che hanno trovato nel "fenomeno Berlusconi" e successivamente nell’esperimento Renzi le chiavi di volta di un progetto di governo, di cui abbiamo ampiamente sperimentato gli effetti nefasti. Di quel progetto, ha fatto e tuttora fa parte integrante la volontà di rimettere in discussione la Costituzione repubblicana, nei suoi stessi principi ispiratori. Quella Costituzione, nata dalla Resistenza antifascista, resta per noi un riferimento fondamentale e motivo di ispirazione della nostra iniziativa politica. Con particolare riferimento agli articoli 1, 3, 11 e 21 della Costituzione repubblicana, indichiamo come prioritari per la nostra iniziativa politica i temi del lavoro, della piena occupazione e delle pari opportunità d’accesso sia all’istruzione sia al lavoro, da garantire specialmente ai più giovani, nonché la libertà d’espressione.

    Più in generale, vanno estesi e garantiti i diritti di cittadinanza per tutte e per tutti. Il diritto all’istruzione e quello alla salute devono essere riportati alla dignità costituzionale di diritti inalienabili, pienamente garantiti dallo Stato. Analogamente va rivendicato allo Stato un ruolo primario nell’organizzazione e nella regolazione di servizi essenziali, che incidono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini, cogliendo e realizzando tutte le potenzialità offerte dall’art.32 della Costituzione.

    Dalla piena applicazione del dettato costituzionale dovrà nascere una forte e diffusa ripresa della partecipazione democratica, che veda protagonista il cittadino in quanto "persona unica, irripetibile e titolare di diritti", a partire da quello legato all’espressione del proprio voto, che deve vedere riaffermato il principio inderogabile dell’eguaglianza ("una testa un voto") e dunque l’attuazione di un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale, con gli opportuni correttivi tecnici.

    In riferimento all’art.11 della Costituzione, occorre dar vita ad un nuovo internazionalismo pacifista, che ci veda impegnati attivamente nel recupero delle risorse umane del terzo e quarto mondo (attualmente 214 milioni di bambini non raggiungono i 5 anni d’età, per mortalità infantile), puntando al superamento dell’attuale europeismo e del suo economicismo esasperato, perché si dia vita ad un’Europa capace di darsi finalmente un’anima politica.

    Sempre la Costituzione ci guida nella separazione netta tra Stato e Chiesa, in una rigorosa concezione della laicità delle Istituzioni che non ammette interferenze delle gerarchie ecclesiastiche nelle scelte del Legislatore.

    Va ripensato in profondità, per riportarlo all’originario spirito della Costituzione, il ruolo dei partiti politici al pari di quello degli eletti nei diversi livelli istituzionali.

    Va riportata la politica alla sua dignità di servizio alla collettività, liberandola da ogni personalismo, carrierismo, aspirazione fine a se stessa a gestire poteri politici o amministrativi.

    Va collocato, in questo quadro e in un ritrovato costume di rigore e di sobrietà, il tema dei costi e dei finanziamenti della politica.

    In Italia, anche negli anni del più duro confronto a sinistra, c’è sempre stato un tessuto unitario nei sindacati, nel movimento cooperativo, nell’associazionismo culturale, sportivo e ricreativo, per non parlare dei governi municipali, provinciali e regionali. Questo è il passato che più ci piace guardare, ricavando da esso il filo rosso della nostra storia utile a tessere e a disegnare il futuro: questo è il compito che assumiamo, nella consapevole certezza che resta del tutto attuale la missione del socialismo umanitario, come idea e prassi politica per una società più libera, più democratica, più solidale, più giusta.

mercoledì 19 ottobre 2016

Poco adagio. Cantabile. Il “Lied der Deutschen” di Haydn, l’inno che ha accompagnato un secolo di storia tedesca

di Marco Morosini

Vi prego, ascoltate questa musica. Il Poco adagio. Cantabile del "Kaiswerquartett" opera 76 di Haydn mi ha svegliato dalla radio tedesca all'alba del 3 ottobre, "Giorno dell'unità tedesca". E' una delle melodie più soavi che conosca. Come ha potuto celebrare anche i trionfi della Germania nazista? Questa musica infatti è quella dell'inno nazionale tedesco, ininterrottamente dal 1922.

    «Questa lirica – ne scrisse Jost Hermand nel 1979 – ha non solo un'intenzione ma anche una ricezione. E questa è chiaramente negativa. Dal 1914 è stata talmente caricata e esaltata con significati sbagliati che le sue origini sono diventate sempre meno importanti». Il germanista si riferiva probabilmente alle parole. E le note? Si può argomentare verbalmente contro le parole. Ma si può argomentare musicalmente contro le note: o meglio contro la loro percezione storicizzata? Lo fece Karlheinz Stockhausen con la composizione Hymnen del 1966-1967: storpiò la melodia come in un disco che balbetta. Eppure neanche un tale sfregio mi distoglie dal continuare a riascoltare – qui a Vienna a pochi passi da dove furono composte 220 anni fa – queste note rasserenanti. Può una musica implicare una percezione dell'assoluto? Può presupporre un'ispirazione ultra-umana come sembra che pensasse Pitagora e come pensa chi dà una risposta metafisica all'eterna domanda: Perché la musica è così bella? ("Warum denn ist Musik so schön?")?

    La melodia del "Poco adagio. Cantabile" di Haydn proviene da una canzona croata. Echeggiò già in Telemann e Mozart. Haydn l'amò tanto da suonarla ogni giorno al pianoforte. La usò in un'opera, una messa, un concerto, e nel 1797 per il Kaiserlied, un regalo di compleanno all'Imperatore. Mentre in Austria fu inno imperiale, in Germania "La canzone dei tedeschi" (Nota bene: 'dei tedeschi', non 'della Germania'") fu canto popolare. Musicò più di sessanta testi diversi. Forse solo la melodia de "La paloma" vanta un così grande numero di adattamenti a testi così diversi e spesso antitetici. La melodia di Haydn divenne infine famosissima da quando musicò "Das Lied der Deutschen". Il suo primo verso recita "Deutschland, Deut­schland über alles" ("Germania, Germania, sopra tutto"). August Heinrich Hoffmann von Fallerleben, germanista, patriota e autore di canzoni popolari, la concepì come canto patriottico di libagione (un Trinklied) evocando nella seconda strofa anche le donne, il vino e il cantare dei tedeschi. Insomma in Europa queste note dilagarono prima del '900 quasi nell'aria. Ma negli anni '40 dilagarono nel solco dei carri armati e delle bombe del Terzo Reich. Le ascolto e riascolto in questi giorni. Mi chiedo come ciò fu possibile.

    Nel 1922 le tre le strofe divennero inno nazionale tedesco proclamato dal presidente della Repubblica di Weimar, il socialdemocratico Friedrich Ebert. Fu un gesto di omaggio alla Germania popolare, come lo fu l'adozione della bandiera repubblicana giallo-rosso-nera dei liberali rivoluzionari del 1848. In effetti, nel 1841 la prima strofa di Hoffmann "Deutschland Deutschland über alles, über alles in der Welt" ("Germania, Germania sopra a tutto, sopra a tutto nel mondo") esprimeva un anelito risorgimentale prerivoluzionario teso all'unificazione dei popoli di lingua tedesca, allora divisi in una quarantina di principati. Quell'über alles non era un "sopra a tutti" ma un "soprattutto": i patrioti unifichino la Germania. Il regime nazista adottò come inno nazionale solo la prima strofa, sempre seguita dall'inno del partito nazista, dandole un significato d'istigazione a dominare il mondo, che non aveva. La Germania del dopoguerra, invece, adottò come inno nazionale solo la terza strofa "Einigkeit und Recht und Freiheit für das deutsche Vaterland!" ("Unità, diritto e libertà, per la patria tedesca!"). Il "nuovo vecchio inno" fu ri-adottato due altre volte, nel 1952 e nel 1990, alla riunificazione della Germania, dopo dibattiti nazionali ai quali parteciparono con carteggi ufficiali Cancellieri e Presidenti quali Heuss e Adenauer nel 1950 e von Weiszaecker e Kohl nel 1990.

    Eppure occorre sapere tutto questo? In una mattina viennese di primo autunno quelle note sublimi non riuscivano a uscirmi dalle orecchie. "Poco Adagio. Cantabile", una melodia-teflon cui niente può restare attaccato? Un prêt-à-porter per tutte le stagioni? La sua fortuna intangibile dipende dalla forza della musica o dalla debolezza degli uomini? Cerco ancora una risposta.

martedì 28 giugno 2016

Il restauro del monumento ai Rosselli di Bagnoles de l'Orne

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Il restauro del monumento ai Rosselli di Bagnoles de l'Orne e le prossime iniziative  del 27-28-29 giugno

 

di Valdo Spini

 

Nell’agosto dello scorso anno 2015 ero stato a Bagnoles de l’Orne e avevo trovato il monumento, opera di Carlo Sergio Signori, ivi collocato nel 1949, ben tenuto e in buone condizioni. Lo scorrere del tempo però aveva offuscato il biancore del marmo di Carrara mentre l’iscrizione era diventata praticamente illeggibile.

   Avevo quindi rivolto un appello per il suo restauro e questo appello era stato accolto da Francesca Nicòli, direttore dell’omonimo laboratorio di scultura di Carrara, proprio quello in cui l’opera era stata scolpita e da dove era partita nel 19549 alla volta di Bagnoles de l’Orne. Il laboratorio Nicòli aveva inviato un suo operatore, che aveva proceduto al restauro con il supporto del Comune di Bagnoles , restituendogli tutto il bianco proprio del marmo di Carrara e ripristinando la scritta.

    Si avvicinava il 79esimo anniversario dell’uccisione dei fratelli Rosselli (9 giugno 1937) e l’inaugurazione del restauro mi sembrava il modo migliore di ricordarlo.

    Nell’occasione avevo anche accettato l’offerta di Giovanna Cec­catelli Gurrieri  (Edizioni Clichy) di curare  per i fratelli Rosselli uno dei volumetti della sua collana Sorbonne, ciascuno dei quali è dedicato a personaggi di rilievo. Ne è scaturito Carlo e Nello Rosselli. Testi­mo­ni di Giustizia e Libertà  a cura di Valdo Spini, Firenze Clichy 2016..

    Lo abbiamo presentato a Parigi il 3 giugno, alla Maison d’Italie della Cité Internationale Universitaire di Parigi. Sono intervenuti Michele Canonica (Presidente del Comitato di Parigi della Società Dante Alighieri), Roberto Giacone (Direttore della Maison de l'Italie), Stefano Montefiori (Corrispondente a Parigi de Il Corriere della Sera), Eric Vial (Professore di storia contemporanea all’Université de Cergy-Pontoise) e, naturalmente, l’autore.

    Sabato 4 giugno, alle ore 15. OO a Bagnoles de l'Orne, sul luogo dell'uccisione di Carlo e Nello Rosselli, è stato inaugurato il restauro del monumento ai Rosselli, compiuto dallo studio Nicòli di Carrara, dove il monumento, opera di Carlo Sergio Signori, venne scolpito nel 1949.

 

Da Parigi, per parteciparvi, è partito un pullman con quattordici per­so­ne a bordo: Maria Paola Antolini; Francesca Nicòli con la figlia Be­renice e Vittorio Prayer; Giuseppe Giorgetti con la moglie Veronica e il loro figlio; Maria Cristina Morello e Mariachiara Verrigni , rispet­tivamente Presidente e Segretaria del Circolo Anpi di Parigi intitolato ai fratelli Rosselli, Michele Mioni dottorando alla Sorbonne Francesca Tortorella ricercatrice a Strasburgo ; Ibis Ismail, Lucilla e Valdo Spini.

    In macchina sono arrivati Monica Rosselli, in rappresentanza della famiglia Rosselli insieme al cugino Ca’ Zorzi e la sua famiglia. Con la loro vettura, sono pure arrivati. l’ambasciatore d’Italia Giandomenico Magliano e il Console a Parigi, Andrea Cavallari.

    All’ora prevista si è svolta una cerimonia sobria ed essenziale sul luogo dell’uccisione, il bosco di Couterne, a quattro chilometri da Bagnoles,  con discorsi dell’Ambasciatore Magliano, mio, e un saluto di Monica Rosselli a nome di tutta la famiglia. Sono stati deposti fiori dall’Ambasciata e il consolato d’Italia, dalla Fondazione Circolo Rosselli, dal Comune di Bagnoles, dall’Anpi di Parigi.

    Presenti le autorità locali e municipali. Regia inappuntabile della Direttrice Generale dei Servizi della Municipalità, Marie-Christine Delage

    Una grande emozione!

    C’è un filmato delle varie fasi della cerimonia, ripreso da Giuseppe Giorgetti

    Dopo la cerimonia, ci siamo recati a piedi nel vicino castello di Couterne (XVI-XVII secolo) dove il proprietario, erede della famiglia originaria, Monsieur Edouard de Frotte ci ha invitato per il vin d’honneur che ci è stato offerto, presenti i consiglieri municipali. Hanno preso la parola le Maire Olivier Petitjean, le Maire deleguè e consigliere dipartimentale, Jean Pierre Bloue, lo stesso Monsieur de Frotte. Questi, bambino piccolo all’epoca dei fatti, poteva comunque ricordarsi dell’eco che ne era seguita. Ha anche aggiunto di avere avuto due fratelli morti in deportazione in Germania.

    Ci ha mostrato il libro d’onore del 1949, con gli intervenuti alla cerimonia di inaugurazione del monumento (con emozione abbiamo visto la firma di Ferruccio Parri) e abbiamo firmato la nostra pagina del 2016.

    Terminato il vin d’honneur abbiamo ripreso il viaggio alla volta di Parigi.

    Come giornali ci hanno seguito La Stampa, Il Corriere Fiorentino, il Manifesto, La Nazione, e i francesi l'Ouest e Le publicateur libre. Come televisioni il programma Rai Storia e il Tg3 della Toscana, Ha parlato di noi anche la rubrica della mattina di Italia 7. L’Ansa e La Presse e l’Adn Kronos hanno fatto comunicati di agenzie e così Stamptoscana..

    La documentazione cartacea e iconografica, è disponibile sul sito della Fondazione www.rosselli.org o sulla pagina fb della Fondazione o comunque presso la Fondazione:tel 055 2658192.

 

martedì 21 giugno 2016

La scuola del malessere

       

Da vivalascuola riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

La scuola del malessere

 

Un bilancio dell’annno scolastico 2015-2016…

 

di Giorgio Morale

 

vivalascuola presenta un bilancio dell'anno scolastico 2012-2016, a firma di Tullio Carapella:

 

https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2016/06/06/vivalascuola-209/

 

Si tratta di un bilancio all'insegna del malessere, malessere che non è solo uno stato d'animo ma un chiaro sintomo di una politica.

    Nell’affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena si vedono i cittadini vivere nell’ordine e nell’armonia, mentre nell’affresco del Cattivo Governo si vede al centro la Tirannide, circondata da Avarizia, Superbia, Vanagloria. Gli effetti sono una città in rovina, dove dominano la divisione e la miseria.

    La “Buona Scuola” di Renzi è una città in rovina, quindi uno specchio del cattivo governo. Lungi dal creare ordine e armonia, essa ha portato nelle scuole competizione e conflittualità. La miseria c’era già da tempo.

    Questa è l’ultima puntata del 2015-2016, a meno di necessità impreviste vivalascuola riprenderà a settembre. Per intanto, invitiamo a firmare per i referendum abrogativi di 4 commi della Legge 107, finché c’è tempo – entro fine giugno.

    Con un grazie di cuore a collaboratori e lettori e auguri di una buona estate a tutti.

       

   

 

Da CRITICA LIBERALE  riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Liberali per il NO

 

No alla deforma costituzionale

 

Care amiche e cari amici, sabato 25 giugno a Roma è convocata l'assemblea dei Liberali per il NO alla deforma costituzionale.

    Sarà un momento di confronto e dibattito per approfondire le criticità di questa riforma, ma anche per pensare a proposte concrete positive, per non essere tacciati di conservatorismo, perché, se alcuni dicono che la nostra è” la costituzione più bella del mondo”, noi pensiamo: “anche no”.

    Ci sarà modo di confrontarci e pensare a quali contenuti e quali forme dare alla nostra campagna e magari, se insieme lo riterremo opportuno, anche ad una organizzazione più operativa e capillare.

    L'incontro si terrà dalle 10, 30 alle 17,00 presso la sede di Critica liberale, in via delle Carrozze, 19.

    Per meglio organizzare i nostri lavori, e soprattutto per darci la possibilità, se dovessimo essere troppo numerosi, di trovare una sede più capiente, è obbligatorio confermare la propria presenza rispondendo a questa mail o, per ulteriori informazioni e chiarimenti, telefonando al 3931474040.

    Vi preghiamo fin da ora di segnalarci la vostra intenzione di portare un contributo al dibattito o la vostra disponibilità a dare una mano organizzativa, qualora per quel giorno non potrete essere presenti.

 

Vai al sito di Critica liberale

      

            

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

 

Segnalazione

 

Il Leopardi politico nello Zibaldone

 

Giacomo Leopardi, "Lo Stato libero e democratico". La fondazione della politica nello Zibaldone – a cura di Fabio Vander (Milano, Mimesis, pp. 106).

 

È uscito il volume: Giacomo Leopardi, "Lo Stato libero e de­mo­cra­tico". La fondazione della politica nello Zibaldone (Milano, Mimesis, pp. 106).

    Curatore, oltre che autore delle note a commento dei singoli passi dello Zibaldone, è Fabio Vander, uno dei pochi intellettuali di sinistra oggi sopravvissuti in Italia e distintosi per notevoli contributi storici (sul trasformismo e sulla prima guerra mondiale) come pure filosofici (sulla ita­lian theory e il pensiero della contraddizione in Aristotele).

    In questo nuovo volume si punta a una ricostruzione del filo con cui Leopardi cerca di rifondare i termini della politica moderna, dopo la Rivoluzione e dopo la Restaurazione.

 

Per chi vive a Roma il volume è disponibile presso la libreria Arion di piazza Montecitorio. Altrimenti è possibile rivolgersi all’editrice Mimesis: tel +39 02 24861657 ; +39 02 2441638; fax +39 02 89403935; mimesis [at] mimesisedizioni.it.

        

 

mercoledì 15 giugno 2016

Per Andrea Rocchelli - Monumento e documento di ciò che si vorrebbe “rimosso”

La fotografia è proprio questo: "monumento e documento, diventando testimonianza, individuale e collettiva nello stesso tempo, di un avvenimento che l'ordine del potere pretenderebbe di occultare o censurare o distorcere". Il discorso d'apertura del convegno zurighese su Andrea Rocchelli.

 

di Emilio Speciale, Società Dante Alighieri Zurigo

 

Ho l'onere e, come si dice, l'onore di aprire questa mattinata dedicata alla memoria di Andrea Rocchelli e alla sua attività di fotografo. Porgo i saluti a tutti voi da parte della Società Dante Alighieri di Zurigo, che collabora al progetto della mostra. Con Andrea Ermano abbiamo incominciato a parlare di questo progetto già dall'anno scorso e ora siamo arrivati ad una fase importante della sua realizzazione.

    Oltre a commemorare la figura del giovane fotografo, l'iniziativa parte dalla convinzione che sia necessario ribadire il valore di testimonianza di ogni opera artistica. Sia che guardiamo all'oggetto artistico come monumento, apprezzandone le forme e l'estetica, sia come documento, veicolo di idee e informazioni utili per comprendere un'epoca storica, è indubbio che entrambe le prospettive fanno riferimento alla nozione di testimone.

    Nel primo caso espressione di un gusto, di uno sguardo soggettivo sul mondo, nel secondo caso registrazione "giuridica" e oggettiva di un momento preciso della storia. La fotografia, come arte e come fissaggio visivo dell'evento, si colloca esattamente nella convergenza di monumento e documento, diventando testimonianza, individuale e collettiva nello stesso tempo, di un avvenimento che l'ordine del potere pretenderebbe di occultare o censurare o distorcere.

    Una verità scomoda, insomma, quella verità che da decenni ci viene ripetuta: cioè che viviamo in una Europa pacificata e opulenta. Come se Ucraina, Bosnia, Libia, Palestina, Iraq, Siria ecc. ecc. appartenessero ad altri continenti o addirittura ad altri pianeti, come se colonialismo e capitalismo non avessero avvelenato l'economia e prodotto povertà e sempre più povertà.

    Ecco credo che il lavoro di Andy Rocchelli sia stato tutto nel senso di una testimonianza che disveli queste verità finte e per questo merita tutta la nostra attenzione e i nostri ringraziamenti. Buon lavoro.

mercoledì 1 giugno 2016

Premiati al Senato Tamburrano, Angeli e Lucano

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

L’auspicio finale è stato bello e commovente. Il socialismo italiano ed europeo hanno una sola maniera per riuscire a ritrovare quella forza e quella identità che gli hanno consentito di essere protagonista negli anni migliori del dopoguerra, quelli non a caso chiamati i “trenta gloriosi”: inerpicarsi sulle spalle di “questo gigante”, cioè Pietro Nenni, e guardare verso l’orizzonte. A Giuseppe Tamburrano è stato consegnato ieri il Premio Nenni “per l’alto valore dell’impegno espresso nella cultura e nella politica italiana valorizzando con passione e rigore scientifico le ragioni e la storia del socialismo”. Così recita la parte iniziale della motivazione letta alla presenza della vice-presidente del Senato, Valeria Fedeli. L’artistica ceramica faentina lega il riconoscimento al lavoro storico, scientifico e politico compiuto da Tamburrano accanto a Nenni. Per tutto l’universo accademico, Tamburrano è il “biografo” del leader nato a Faenza (il rapporto con la città natale non è mai stato semplice, come ha sottolineato il senatore Stefano Collina, ma negli ultimi tempi l’amministrazione comunale ha intensamente lavorato proprio per riannodare i fili della memoria anche in collaborazione con la nostra Fondazione).

    Non a caso nella motivazione si legge ancora: “Con gratitudine profonda per aver mantenuta viva la memoria di un grande protagonista del socialismo e della libertà come Pietro Nenni attraverso la costituzione della Fondazione sostenuta da un’opera sapiente ed encomiabile di raccolta e conservazione di una documentazione preziosa accompagnata da importanti iniziative di spessore culturale e storico. Con un ringraziamento sincero per il suo amore in valori fondamentali per la convivenza civile e democratica testimoniata dal suo lavoro di politico e storico”.

    Al tavolo della presidenza, ascoltava la lettura della motivazione il nipote di Nenni, Pierpaolo. E’ stata una giornata di riflessione, di commozione e di celebrazione, quella di ieri nella sala Koch al Senato. Terza edizione del Premio Nenni organizzata attraverso lo sforzo congiunto delle Fondazioni Nenni e Buozzi, la Uil, il Comune di Faenza e i senatori del Pd, sotto il patrocinio di Palazzo Madama. Sotto la presidenza di Giorgio Benvenuto e la conduzione della giornalista televisiva Dania Mondini (che ha letto un messaggio dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano), al microfono si sono avvicendati politici e attori. Perché il Premio Nenni è stata anche l’occasione per presentare due grandi avvenimenti culturali. Il progetto teatrale “Vivà” che metterà in scena (basandosi sul libro scritto dal nostro Antonio Tedesco) la tragica vicenda di Vittoria Nenni, morta ad Auschwitz (un commovente brano è stato letto da Azzurra Martino: la lettera dell’amica che nelle ultime ore fu accanto a Vivà nell’inferno del lager); e il film “confinati a Ponza” che narra la paradossale vicenda di Pietro Nenni e Benito Mussolini che dopo la caduta del regime e la nomina di Badoglio si ritrovarono, tutti e due da prigionieri, sull’isola. In sala il regista e interprete (nel ruolo di Mussolini) del film, Francesco Maria Cordella, e l’interprete principale femminile (una donna misteriosa che si aggira sulla scena, un po’ spia e un po’ femme fatale) Debora Caprioglio. Ma ha fatto sentire la sua voce, attraverso un video, anche Peppino Mazzotta (il Fazio del “Commissario Montalbano”) che nelle vesti del leader socialista ha narrato il dramma personale legato alla perdita della figlia, al dubbio di non aver fatto tutto il possibile (la storiografia si è lungamente misurata sul rapporto tra Nenni e Mussolini, nato negli anni della comune militanza socialista) per salvarle la vita.

    La Fondazione ha voluto anche assegnare due premi speciali. E’ toccato a Pierpaolo Bombardieri, segretario organizzativo della Uil, consegnare a Mimmo Lucano, sindaco di Riace, un riconoscimento estremamente significativo. Proprio lo scorso anno i sindacati decisero di celebrare il 1° maggio a Pozzallo per esprimere solidarietà nei confronti degli immigrati, per chiedere nuove politiche per il lavoro, unico antidoto contro questi esodi biblici, per promuovere vere politiche di accoglienza. Bombardieri, peraltro, nel suo intervento, aveva sottolineato quanto il lavoro sia scomparso dalle agende della politica. Lucano, in un territorio non facile come la Calabria, tra minacce (ieri due bossoli sono stati recapitati al suo vice, Maurizio Cimino; lui stesso, peraltro è stato nel passato destinatario di espliciti messaggi minatori) e difficoltà strutturali, ha avviato una politica dell’accoglienza trasformando il paese, come dice la motivazione, in “uno splendido esempio di solidarietà e di integrazione con gli immigrati che sono stati inseriti nella comunità, vivendo e lavorando per realizzare insieme agli abitanti del luogo una convivenza che rende tutti migliori e da positive prospettive di vita”. Il sindaco ha lanciato un messaggio di fiducia sottolineando come la Calabria che è spesso ultima in tante classifiche nazionali, in questo caso, invece, occupi il primo posto.

    Una storia di coraggio, quella di Lucano; una storia di coraggio quella della giornalista de “la Repubblica”, Federica Angeli che ha denunciato con i suoi articoli l’inquinamento mafioso di Ostia. Nonostante le intimidazioni lei è rimasta a vivere nel quartiere del litorale perché, come ha sottolineato, come loro, i vari capibastone che dominano in quella zona, sono per lei un fastidio, allo stesso modo lei intende essere un fastidio per loro. Un riconoscimento, insomma, “per aver dimostrato con coraggio che la professione giornalistica può rappresentare anche una testimonianza di valori civili essenziali”.

Rivista storica del socialismo

Riceviamo e volentieri segnaliamo

  

Presentazione del primo numero della nuova serie della Rivista storica del socialismo

 

Milano – Martedì, 7 giugno ore 18

Fondazione Feltrinelli - Via Romagnosi 3

 

Partecipano:

Paolo Bagnoli,

David Bidussa,

Maria Grazia Meriggi,

Andrea Panaccione,

Jacopo Perazzoli

 

domenica 29 maggio 2016

Recuperata la lettera sulla scoperta dell'America

 La missiva, stampata nel 1493, viene ritenuta di eccezionale pregio storico-archivistico. Ha fatto la stessa strada del suo autore, cinquecento anni dopo: dall'Europa all'America… e ritorno. 
 
(Roma, 18.5.2016 / Ansa-ADL) - Rubata a Firenze, sostituita da una copia, e poi rivenduta al mercato nero delle opere d'arte, è stata recuperata dai carabinieri dei beni culturali (Tpc) la lettera con la quale Cristoforo Colombo annunciava la scoperta del "Nuovo Mondo". 
    Il prezioso documento, hanno ricostruito gli investigatori, era stato venduto all'asta negli Usa nel 1992 e acquistato da un privato, il quale aveva poi lasciato il reperto alla Library of Congress di Washingtion, cioè alla grande istituzione bibliotecaria collegata al parlamento degli Stati Uniti, che non aveva, dunque, "comprato" la lettera di Colombo, ma ricevuta attraverso una donazione. 
    In Italia l'indagine si è aperta nel 2012, partita da una denuncia di furto della Biblioteca Nazionale di Roma. Infatti, anche nella Biblioteca romana è stata trafugata una seconda copia del volume contenente la lettera, sostituito anch'esso da una sofisticatissima riproduzione. 
    Il ritorno del prezioso documento in Italia, hanno convenuto il ministro della Cultura Dario Franceschini e l'ambasciatore Usa in Italia John R. Phillips, è "un fatto simbolico che segna l'amicizia e la totale collaborazione che c'è tra i Paesi". Ma, a ben vedere, esso evidenzia anche il ruolo del "pubblico" nel riparare alle derive criminali insite nel "mercato".

Per la coesione culturale dell’Europa

 
Nel numero di maggio dell'edizione cartacea della nostra rivista abbiamo pubblicato un dossier ("Europa sconnessa") che dà conto del seminario promosso dal Gruppo europeo di Torino tenutosi nell'ambito del Prix Italia il 17 settembre 2015. Di seguito riportiamo il testo integrale del documento conclusivo del seminario stesso.
 
Il Gruppo europeo di Torino, costituito, su iniziativa di Infocivica nel settembre 2009 da alcuni accademici specialisti nel campo della comunicazione sociale di una decina di paesi europei, ha svolto i suoi lavori basandosi su rapporti tematici, settoriali e nazionali, e su dibattiti con i propri membri svoltisi in occasione di sei seminari a Torino nell'ambito del Prix Italia e un seminario a Lisbona. In base agli studi alle discussioni di questi ultimi sei anni,  ai quattro rapporti di base e al rapporto di sintesi finale  presentato e discusso lo scorso settembre a Torino, e tenendo conto delle proposte illustrate in Italia dall'Associazione Infocivica, nonché di quelle, in Portogallo, del Gruppo di ricerche e documentazione dell'Università Nova di Lisbona, e in Spagna del Gruppo di ricerche di Teledetodos, è pervenuto alle seguenti conclusioni e proposte operative, concordate con i propri membri.
    Il tradizionale modello duale europeo, che ha costituito un esempio di equilibrio virtuoso tra la concezione del servizio pubblico e le dinamiche commerciali, si trova di fronte ad un doppio e grave pericolo: da una parte il servizio pubblico, riconosciuto costituzionalmente in alcuni paesi europei (ma non in tutti) per il proprio carattere essenziale per il modello sociale europeo, sta attraversando la peggiore crisi della sua storia, tanto in termini di governance che  di offerta e di adattamento al nuovo ambiente digitale e che in termini finanziari e di ascolto.
    D'altra parte anche il settore privato (l'altra metà del sistema "duale") è messo duramente alla prova dall'arrivo di nuovi concorrenti e dal restringersi delle risorse complessive a disposizione. L'intero sistema televisivo e il futuro stesso dell'audiovisivo europeo, sono minacciati dall'espansione incontrollata di nuovi giganti globali e agenti audiovisivi digitali che – approfittando di importanti falle nel modello di legislazione dell'Unione europea – presentano un rischio grave per il settore della produzione, econ essa per l'identità e la diversità europee.
    Nella sua analisi il Gruppo europeo di Torino rileva che questa combinazione negativa di elementi e di processi, in corso, audiovisivi, sociali e tecnologici (ma anche economici e politici) è stata propiziata dalla mancanza di aggiornamenti e di coerenza sul piano della regolamentazione, e di politiche attive, nazionali ed europee in materia audiovisiva che, pur  mantenendo in questo campo una dottrina generale e una linea teorica corrette, non hanno saputo o potuto adattarsi alle grandi trasformazioni della comunicazione audiovisiva contemporanea: in particolare ai processi generalizzati di convergenza digitale e alla sua globalizzazione inarrestabile.
    Così, pur beneficiando della politica regionale attiva più longeva al mondo (sono ormai passati 26 anni dall'approvazione della prima direttiva europea e dal varo del programma MEDIA), i progressi nella costruzione del tanto auspicato mercato comune dell'audiovisivo rimangono modesti, e l'industria audiovisiva europea incontra crescenti difficoltà nel competere – nei propri mercati e sulla scena mondiale – con quella  statunitense e con quella dei paesi e delle regioni emergenti del pianeta.
    Inoltre la storia dell'integrazione europea manca di quei mezzi di comunicazione in grado di costruirla e diffonderla, capaci di porre in gestazione una sfera pubblica europea autenticamente democratica. In altri termini, si assiste al crollo dell'idea dei "campioni europei" che ha caratterizzato la politica industriale europea sin dalla nascita del Mercato unico: una politica che – soprattutto nel settore audiovisivo – ha mostrato la sua profonda inefficacia e dannosità, visto che gli ultimi tre decenni dimostrano che i media restano saldamente ancorati alle tradizioni linguistiche e culturali di ciascun paese. In questi trent'anni, contrariamente alle aspettative, nessun "campione europeo" (nè tantomeno globale di origine europea) è emerso nel settore dei media. In particolare, i nostri studi hanno verificato eccezionali asimmetrie nell'attuale normativa europea che tendono a sbilanciarne ogni volta i singoli elementi, e le componenti collegate tra loro: la tendenza diffusa a esercitare un ferreo controllo sul finanziamento del servizio pubblico, soprattutto per le sue attività on line, coincide con le omissioni da parte dell'Unione europea di iniziative sul piano normativo per assicurare la sua  indipendenza editoriale, la sua autonomia nei confronti dei governi e il suo adeguato finanziamento.
    Questo stesso sforzo, che tende a considerare il ruolo del servizio pubblico come sussidiario e complementare a quello esercitato dagli operatori commerciali, risulta in contraddizione con il lassismo in materia di verifica di conformità per gli operatori commerciali circa i loro obblighi in quanto servizi di interesse generale nel campo della produzione di origine europea e indipendente o della tutela dei consumatori per quanto riguarda i messaggi commerciali.  Soprattutto abbiamo accertato la gravità delle ripercussioni di un trattamento spesso ingiusto esercitato verso i radiodiffusori classici off line rispetto a quello nei confronti dei cosiddetti "service a richiesta" on line (che con il pretesto di voler incentivare il commercio elettronico stanno mettendo al riparo i nuovi entranti extraeuropei dagli obblighi propri del settore dei media): una decisione sorprendente dell'Ue che sta vanificando tre decenni di politica europea dei media e sta ponendo i radiodiffusori europei in posizione di inferiorità competitiva nei loro mercati, sollevando al contrario le attività degli attori globali dal rispetto di tutti gli obblighi in materia audiovisiva e nei confronti dei consumatori dai quali estraggono gran parte dei loro profitti, e portando per di più a situazioni di nuovi monopoli su scala europea (ben peggiori di quelli nazionali dell'era analogica), ad esempio nel settore della pubblicità on line, con punte di concentrazione fino all'80% per un solo operatore.
    Non solo: ma in seguito al fenomeno della convergenza fra media, telecomunicazioni e industria elettronica di consumo questo aggiramento delle norme europee da parte di attori extraeuropei sta portando ad una serie di dispute intersettoriali fra gli attori nazionali che finiscono per indebolire tutti i settori europei nel loro insieme: le telecomunicazioni contro i broadcastersper accaparrarsi porzioni di spettro e per poter distribuire contenuti senza l'impiccio dei diritti d'autore; la carta stampata contro i media elettronici nel tentativo di mantenersi in esclusiva il mercato dell'on-line; le televisioni commerciali contro quelle pubbliche per toglier loro la pubblicità. Una serie di battaglie di tutti contro tutti che stanno producendo come unico risultato quello di indebolire l'insieme dei settori esposti dalla convergenza alla concorrenza globale.
    Di conseguenza, il Gruppo europeo di Torino si rivolge alle istituzioni europee con una serie di proposte e raccomandazioni che consideriamo essenziali per discutere con urgenza come affrontare su basi concettuali nuove (che superino il concetto dei "campioni europei" e il Protocollo di Amsterdam) la progressiva costruzione di un efficace sistema audiovisivo europeo comune, che non sarebbe solo un grande mercato ma costituirebbe anche uno spazio pubblico di democrazia fondato sul pluralismo e sulla diversità delle nostre culture, di vitale importanza per la costruzione europea.
1.                Elaborazione di un Libro bianco per contribuire a definire e differenziare le rispettive competenze delle istituzioni dell'Ue e delle autorità nazionali in materia di servizio pubblico audiovisivo, ripensando tutta la normativa e le politiche attive in materia audiovisiva tenendo in considerazione l'evoluzione del sistema delle comunicazioni nel suo complesso.
2.                Superamento del Protocollo di Amsterdam del 1997 con un documento adattato all'era digitale e revisione profonda della comunicazione della Commissione del 2009 sul finanziamento dei servizi pubblici per promuovere la loro piena transizione verso il mondo online, con un proprio valore e in equilibrio con l'offerta commerciale .
3.                Realizzare una Conferenza europea sul servizio pubblico, con la partecipazione degli Stati, della Commissione e del Parlamento Europeo, ma anche delle associazioni, delle realtà professionali e del mondo della ricerca più vicine alle questioni del servizio pubblico. Il principale obiettivo di tale iniziativa dovrebbe essere quello di dibattere e definire, in un documento di valore rifondativo, una nuova politica industriale europea propria al settore dei media, al cui interno è indispensabile definire un nuovo quadro per gli obiettivi, l'offerta, il finanziamento e le norme che regolano i media di servizio pubblico in Europa, specialmente per quel che riguarda la "necessaria presenza del servizio pubblico nella società dell'Informazione". In particolare bisognerebbe in tale Conferenza definire un patto per lo sviluppo economico e democratico digitale fra servizi pubblici e Unione europea, da raggiungere attraverso una serie di progetti strategici per l'Europa digitale su cui lavorare insieme: dalla digitalizzazione e messa in rete degli archivi aallo sviluppo di progetti tecnologici di ricerca sul multilinguismo, la traduzione e l'indicizzazione automatica dei contenuti audiovisivi. In particolare sostituendo il concetto di "campione europeo" con quello di "messa in rete" degli attori nazionali, rafforzando tutti i meccanismi che favoriscano cooperazione, sinergie e collaborazioni transnazionali e plurilingue, a partire da piattaforme comuni Ott.
4.                Capacità legale per la Commissione e il Parlamento europeo di definire le condizioni elementari sine qua non per garantire media di servizio pubblico democratici in ogni Stato membro , e ciò al fine di evitare sperequazioni fra cittadini di serie A (quelli che possono accedere a servizi pubblici indipendenti, forti e di qualità) e cittadini di serie B (quelli che vivono in paesi dove l'interferenza dei partiti o di forze economiche è tale da limitare la qualità dell'offerta dei broadcaster pubblici.
5.                Definizione degli obblighi e delle missioni del servizio pubblico attraverso uno strumento legale efficace in ciascun paese (possibilmente anche attraverso la "costituzionalizzazione" dei servizi pubblici nazionali nei paesi dove ciò non è ancora avvenuto) ed attraverso la definizione del diritto di ogni cittadino europeo a ricevere un'informazione equilibrata e completa.
6.                Mandati e Convenzioni con scadenza a medio-lungo termine e Contratti di programma e/o di servizio a breve-medio termine approvati dai Parlamenti nazionali (con il coinvolgimento della società civile) per fissare le missioni di servizio pubblico.
7.                Proporzionalità del finanziamento pubblico al costo netto del servizio pubblico e trasparenza contabile sottoposta periodicamente a verifica, con possibilità di verifica ed intervento comunitario non solo (com'è avvenuto finora) nei casi di finanziamento eccessivo, ma anche in quelli (ben più numerosi) di sottofinanziamento. L'abolizione del Public Value test – per gli effetti distorsivi che sta producendo nei vari mercati nazionali – potrebbe essere un primo passo nella giusta direzione..
8.                Controllo esterno della gestione del servizio pubblico da parte di Autorità di controllo davvero indipendenti dai governi, con competenze specifiche sull'audiovisivo, dotate di mezzi e finanziamenti adeguati per perseguire questi compiti

giovedì 19 maggio 2016

100 anni dopo Kiental - Uscire dai confini

Alla vigilia della Prima guerra mondiale le masse che si erano opposte alla guerra si trovarono a combattere su fronti opposti. Lo stesso movimento operaio e socialista passò dall’internazionalismo alla logica della ragion di Stato e nella sua maggioranza votò i crediti di guerra.

 

di Felice Besostri

 

Alla vigilia della Prima guerra mondiale le masse che si erano opposte alla guerra si trovarono a combattere su fronti opposti. Lo stesso movimento operaio e socialista passò dall’internazionalismo alla logica della ragion di Stato e nella sua maggioranza votò i crediti di guerra. Quella scelta rappresentò la fine dell’Internazionale socialista, un’organizzazione già percorsa da divisioni ideologiche provocate dal revisionismo da un lato e dalle tendenze rivoluzionarie dall’altro: una sfida all’ortodossia socialdemocratica e al suo marxismo minimo.

Una crisi politica, che significava crisi morale e rinuncia ai valori tradizionali di solidarietà di classe per adeguarsi al nazionalismo patriottardo.

    Come allora la crisi fu più acuta in Europa, la culla del movimento operaio e socialista, anche oggi è in crisi la sinistra in tutte le sue espressioni a cominciare da quella una volta dominante ed egemonica o, comunque, maggioritaria nella parte occidentale: il socialismo democratico. La caduta dei regimi comunisti non ha rafforzato la sinistra, ma l’ha indebolita complessivamente, basta fare un confronto tra la UE a 15 negli anni novanta del XIX e quella a 28 del secondo decennio del XX secolo.

    Certamente le insufficienze sono datate da tempo: inesistenza di una politica economica alternativa a quella imposta a livello planetario dal capitalismo finanziario e dalle multinazionali, quando con la crisi economica e finanziaria ha reso impossibile il mantenimento dello stato sociale. Tuttavia è ancora una volta nel tradimento dei principi di umanità e solidarietà sociale, come 100 anni fa del pacifismo e dell’internazionalismo, che segnano la crisi della sinistra e che la travolge in tutte le sue espressioni, comprese quelle più radicali.

    E’ un dato non contestabile che la perdita di consenso elettorale dei Partiti del PSE, soltanto in minima parte è andato a beneficio di formazioni alla loro sinistra, piuttosto ha alimentato l’astensione e/o il populismo xenofobo ed identitario o i partiti conservatori al limite reazionari come in Ungheria o in Polonia. Dove l’ignavia del PSE ha colpito in primo luogo il suo partito membro, come il Pasok in Grecia, l’alternativa di sinistra non ha raggiunto mai la maggioranza assoluta e ha dovuto accettare compromessi che ne hanno minato l’unità e costretta ad alleanze con formazioni di centro-destra.

    La più solida e consistente anche temporalmente, come la Linke in Germania, non è mai uscita dai Länder della ex DDR, ad eccezione della Saar, e comunque i governi che si basavano su un’intesa SPD- Linke, meno di quelli numericamente possibili, non hanno quasi mai trovato una conferma elettorale democratica alla scadenza. Soltanto in Spagna si era profilata una possibile intesa tra sinistra tradizionale PSOE e nuova (Podemos e sue varianti), fallita e rimandata ad una prova d’appello, molto più difficile, se non vengono sconfitti l’autosufficienza socialista andalusa e il secessionismo a egemonia borghese della Catalogna. A differenza di 100 anni fa alle frontiere non si scavano trincee dalle quali spararsi reciprocamente, ma si erigono muri verso masse di disperati e si stipulano accordi di contenimento, come con la Turchia, con costi economici, per non parlare di quelli umani, superiori a quelli di un’integrazione programmata e una politica di corridoi umanitari. Su questo l’Europa si gioca il suo futuro, ma il fallimento di quest’Europa, che l’ha cercato e meritato, non aprirà nuovi spazi alla sinistra, ma alla destra come dimostrato dai successi della FPÖ al primo turno delle presidenziali austriache.

    La sinistra aveva un progetto federalista europeo, che trova il suo fondamento, nel Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, da adeguare alle sfide epocali e planetarie dei cambiamenti climatici e alle migrazioni di massa, ma non riscoprire il nazionalismo ammantato da sovranità democratica e monetaria. L’ex ministro greco delle finanze Yanis Varoufakis indica una strada di riforma dell’Europa senza tentazioni nazionaliste, continua una tradizione di federalismo socialista, la cui massima utopia di era espressa con la parola d’ordine degli Stati Uniti Socialisti d’Europa nell’immediato secondo dopoguerra mondiale.

    Soltanto l’immaginazione romanzesca di Guido Morselli in Contro-passato prossimo aveva legato la vittoria dell’Austria-Ungheria nella Prima Guerra mondiale ad una rivoluzione che avrebbe trasformato la doppia monarchia nella prima Federazione Socialista Europea, centro della trasformazione socialista mondiale al posto dell’arretrata Federazione Russa: un trionfo dell’austro-marxismo sullo stalinismo. Quelle utopie non hanno più rapporto con la realtà quando e impossibile distinguere i socialdemocratici austriaci e slovacchi da un fascistoide come Orban, leader di un partito del PPE.

    Cento anni fa i socialisti che avevano rifiutato la guerra seppero tentare almeno un riscatto morale e politico organizzando a Zimmerwald nel 1915 e a Kiental nel 1916 due conferenze internazionali, grazie a compagni come gli svizzeri Robert Grimm, e Ernest Paul Graber o gli italiani Oddino Morgari, Giuseppe Emanuele Modigliani, Costantino Lazzari e Giacinto Menotti Serrati, ma guidati dall’ebrea ucraina, naturalizzata italiana, Angelica Balabanoff.

 

Ebbene il centenario di quell’evento è stato ricordato dall’associazione degli storici svizzeri dell’Università di Berna e da una Conferenza lo scorso 30 aprile del Partito del Lavoro svizzero. Vogliamo tentare, uscendo dai nostri confini identitari, di ricostruire una sinistra cui debbono concorrere tutti i suoi filoni ideali storici, socialista, comunista e libertario, arricchiti dal pensiero ambientalista, femminista e dei diritti umani. Filoni ideali, perché se scendiamo sulle realizzazioni storiche dobbiamo constatare che sono fallite o esaurite. Pura utopia? Ma c’è un’alternativa?

    Cominciamo da dove viviamo, dalle nostre città, a cominciare dalle metropoli come Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna, facendo delle differenze una ricchezza. La difesa della democrazia dalle leggi elettorali come l’Italicum e dalla deforma costituzionali sono un collante forte di una sinistra capace di coniugare libertà, lavoro, democrazia e giustizia sociale. E chiediamo dal basso una conferenza internazionale come quella di cent’anni fa.