venerdì 30 novembre 2012

Insegnare filosofia oggi

Riceviamo da vivalascuola

e volentieri pubblichiamo

di Giorgio Morale

Questa settimana vivalascuola propone un tema didattico che abbiamo rimandato da tempo: insegnare filosofia oggi.

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/category/viva-la-scuola/

Punto di partenza delle testimonianze proposte un brano di un libro di Leone Parasporo: «Dobbiamo fare la stessa cosa che faceva Protagora: convincere i giovani che studiando la filosofia "si diventa ogni giorno migliori". Ma oggi, chi ti crede più? (...) I giovani ateniesi sapevano che Protagora non bluffava e che li avrebbe guidati per davvero verso il successo e il potere. Ma questi, guardali: che possono aspettarsi da noi? Niente… insegnare la filosofia, oggi, significa farsi complici del Grande Inganno».

   Da queste affermazioni prendono le mosse gli interventi di Giuseppe Panella, Bruno Milone, Nicola Fanizza, Guido Panseri, Alessandra Paganardi, Katia Tomarchio e Franco Toscani sull'insegnamento della filosofia oggi.

    Completano la puntata le notizie della settimana scolastica: una settimana che ha visto una straordinaria mobilitazione della scuola: riferiamo di candelotti lacrimogeni che cadono dai palazzi dei ministeri, delle pillole di sapere che ci propone il Miur, di nuovi tagli in programma, dell'iter della ex legge Aprea...

P.S.: È in preparazione la puntata prenatalizia di vivalascuola, che proporrà brevi recensioni di libri sulla scuola (romanzi, saggi, storia, attualità, ecc.) da consigliare: invito chi volesse contribuire con un proprio scritto a comunicarmelo a questo indirizzo, indicando il titolo del libro scelto.


“La catastrofe ha evitato il peggio!”

di Nino Cavaliere

Istituto Fernando Santi Napoli

La frase che mi sembra possa meglio rappresentare la situazione attuale in cui versa il nostro paese è quella detta da un antico saggio indiano, che di fronte all'ennesima esondazione del Gange, che aveva spazzato via i poveri villaggi sorti sulle sue rive, affermò: "La catastrofe ha evitato il peggio!" Il peggio a cui l'anziano si riferiva era l'epidemia di colera che serpeggiava da tempo tra le povere capanne di quei villaggi.

    Per molti, Monti rappresenta una catastrofe, e purtroppo per noi, i dati generali del nostro paese, al termine di un anno del suo Governo, sono una conferma di questa definizione. Tutti gli indicatori sono negativi e non ci sono, al momento, segnali che ci possano confortare per il futuro.

    Ma il peggio che abbiamo lasciato era un Presidente del Consiglio ricattabile da qualsiasi delinquente di strada, come gli ultimi avvenimenti confermano, poco considerato sul piano internazionale e dalle dubbie frequentazioni con capi di Stato di pochissima reputazione e scarsa considerazione politica, come il presidente di Panama, lo scomparso dittatore libico e Putin, discusso e potente leader russo.

    Il peggio è stata l'ubriacatura sociale e culturale che ha vissuto il nostro paese da quando il Cavaliere è sceso in campo ed ha portato il paese alla rottura della coesione nazionale.

    Il compito che tutti noi dobbiamo assolvere è quello di sconfiggere il peggio ed uscire dalla catastrofe. Dovremo superare il fallimento della politica liberista del centro destra e ricostruire una politica di sviluppo, che un commissario liquidatore come Monti non poteva e non potrà mai fare.

    Tutti coloro che immaginano una continuazione di Monti al Governo, dimostrano di preferire il paese sottoposto ad una recessione senza fine, con i conti sempre a posto, ma con un debito pubblico in lento, ma in costante aumento. L'Italia, non può consentirsi di vivere in una catastrofe continua, le alluvioni passano, per quanto possano essere drammatiche e per quanti danni possono aver provocato, per fortuna passano. Tutti noi siamo chiamati a ricostruire il nostro paese.

    Dovremo soprattutto immaginare una politica che dia nuovi obbiettivi ai cittadini, che non siano quelli del consumismo sfrenato e dell'illusione della ricchezza per tutti, prodotta da una finanza spregiudicata e senza alcun controllo,  senza fatica e senza lavoro produttivo.

    Occorre innanzi tutto non fare più confusione politica e culturale e confondere in questo modo i cittadini: non si combatte il liberismo con il liberalismo, ne si sconfigge il consumismo con il semplice  solidarismo cattolico! Bisogna affermare con forza che senza la giustizia sociale non è possibile nessuna crescita. Se non vengono messi al centro della nostra discussione politica i bisogni degli ultimi, non saremo in grado di far ripartire il nostro paese. Al centro della nostra iniziativa politica ci devono essere i giovani, le donne, i lavoratori, i disabili e gli anziani poveri, gli immigrati. Al liberismo sfrenato e corrotto di questi anni deve essere contrapposto una coerente azione sociale, che lavori per la coesione del paese, per il superamento di antagonismi anti storici tra Nord e Sud, che rimetta al centro la politica.

    Alle teorie liberiste bisogna contrapporre le idee e gli obiettivi di un socialismo democratico che in Europa si afferma come unico possibile strumento di ripresa economica e sociale.

    Per tutti coloro, che hanno sempre lottato per l'affermazione dei diritti, della libertà e per la democrazia, la politica significa soprattutto garantire sempre più ampi spazi di partecipazione democratica dei cittadini nella vita delle istituzioni, per assicurare a tutti che le scelte assunte siano le migliori possibili alla collettività.

    Uno dei ritornelli, della destra al Governo, maggiormente ripetuto era che la democrazia era depositata nel voto espresso dai cittadini che avevano assegnato la maggioranza a Berlusconi ed al suo schieramento e che doveva, quindi, governare senza impedimenti di sorta. Al massimo, la cultura liberale, imponeva la "trasparenza degli atti della politica", che spesso si traduceva in mera osservanza delle disposizioni amministrative.

    La trasparenza, spesso è stata confusa con una politica di comunicazione ossessiva, in cui conoscevamo tutto in tempo reale, senza mai avere l'impressione di capire veramente quello che avveniva. Ma soprattutto, non eravamo in grado di intervenire in nessun modo. La politica era ridotta a mera rappresentazione e noi tutti eravamo solo degli spettatori inermi, impossibilitati ad esprimere le nostre idee e le nostre posizioni.

    La partecipazione democratica dei cittadini è ben altra cosa, è innanzi tutto non sottoscrivere deleghe a tempo indeterminato agli eletti, perché uno degli elementi fondanti della politica è il controllo sugli atti di Governo. Da una parte partecipare alle scelte, dall'altra controllare l'attività dei rappresentanti liberamente eletti.

    La trasparenza è un atto dovuto, ma è il controllo democratico, che ne è rappresenta la logica conseguenza.

    Questi sono i principi previsti dalla nostra Costituzione, che devono e possono essere arricchiti dalle innovazioni che si dovessero rendere necessarie, con il cambiamento delle condizioni sociali del paese. Le primarie che domenica andremo a celebrare, rappresentano una innovazione politica, che nel corso di questi ultimi anni il centro sinistra italiano ha saputo costruire, attraverso molte perplessità, ripensamenti e difficoltà. Eppure, ogni volta che le primarie sono state fatte, hanno rappresentato un grande momento di coinvolgimento democratico dei cittadini, che hanno espresso il loro voto per un candidato, per un programma, per una coalizione.

    Questo sistema democratico e popolare, contraddistingue la sinistra italiana in questa fase tanto complessa che stiamo attraversando. Tutti siamo consapevoli, che non esistono ricette a tavolino per superare il peggio di questi ultimi anni, ma la garanzia che la strada sia quella giusta la può dare solo l'ampiezza del coinvolgimento dei cittadini alle scelte da fare. La prima garanzia del possibile successo della sinistra, per la ripresa economica, è la democrazia!  Le primarie del centro sinistra sono una innovazione politica importante, che vale molto di più di qualsiasi piazza telematica.

    E' questo il  modo che abbiamo scelto tutti insieme di praticare, che rappresenta il primo antidoto alla catastrofe che stiamo vivendo.  

    Noi ci apprestiamo a scegliere il nostro prossimo candidato alla guida del Governo dopo Monti e pensiamo che Pierluigi Bersani sia il candidato giusto da votare e da sostenere domenica prossima ed in primavera. Noi pensiamo che anche le catastrofi possano essere utili, se riusciamo ad immaginare come ricostruire in maniera più solida, più sicura il nostro futuro, il nostro possibile sviluppo.  Bersani è per sostenere le ragioni dell'unità del paese, dentro una Europa politica, più forte e meno ricattabile dalla finanza internazionale. Bersani, porta avanti un deciso programma di rilancio del lavoro, della occupazione e dello sviluppo del Sud, che noi riteniamo indispensabile ed indilazionabile. L'Istituto Fernando Santi di Napoli si è occupato per anni della emigrazione e della difesa e dei  diritti dei  lavoratori italiani all'estero, difendendo al tempo stesso la nostra cultura e le tradizioni del nostro paese. Pensavamo, alla fine degli anni 90, di dover abbandonare questa nostra missione, che ci aveva coinvolto in mille azioni ed interventi. Pensate, tra il 1951 ed il 1974, furono  ben 4 milioni e duecentomila i meridionali che lasciarono le nostre terre per andare a lavorare in Europa e nelle Regioni del nostro nord. Si arrivò a medie annuali spaventose, fino a duecentoquarantamila (240.000) all'anno. Pensavamo, che non avremmo rivisto più questa diaspora di meridionali, sparsi per il mondo a cercare un po' di lavoro e di dignità. Purtroppo, questo fenomeno è in grave ripresa, già oltre 200.000 giovani formati e preparati nelle nostre regioni meridionali, sono stati costretti, in questi ultimi tre anni , a lasciare i nostri territori.

    A discapito di tutte le dichiarazioni, fino ad ora non si notano provvedimenti per affrontare questo fenomeno che è al limite della emergenza sociale.

    Il lavoro ai giovani, alle donne, ai disabili è il principale obiettivo che vogliamo consegnare al nostro candidato Bersani, che voteremo con convinzione, perché ci coinvolgerà tutti in un grande percorso di riscatto sociale ed economico che ci faccia guardare con serenità al nostro futuro e ci faccia riprendere il nostro ruolo in Europa, con il rispetto che meritiamo, per la dignità che il nostro lavoro e la nostra cultura rappresentano.


Napoli, 23/11/2012


La Chiesa cattolica e il Cinquecentenario della Riforma protestante

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Mezzo millennio nel

segno della libertà

di  Fulvio Ferrario,

docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese

Sembra stia diventando un chiodo fisso: il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, torna sul tema della Riforma o, più precisamente, della "divisione" che essa avrebbe determinato nel XVI secolo: "il teologo ed ecumenista Wolfhart Pannenberg afferma che la Riforma ha fallito e il risultato di questo fallimento sono state le sanguinose guerre di religione nel XVI e XVII secolo".

    Lutero aveva buone intenzioni, ma volerle unire alle "conseguenze terribili della Riforma nella stessa celebrazione festosa, mi sembra molto difficile". Responsabili del fallimento, tuttavia, sarebbero "entrambe le parti"; si potrebbe, dunque, commemorare insieme il Cinquecentenario della Riforma nel 2017 con una "celebrazione penitenziale comune nella quale riconosciamo insieme le nostre colpe". Mi permetto di dirlo con franchezza: un valdese italiano, che apprende da un esponente della curia romana che, ad esempio, la "soluzione finale" del problema protestante in Italia, tentata appunto tra XVI e XVII secolo, sarebbe una "conseguenza terribile della Riforma", ha qualche difficoltà a esprimere un commento sereno.

    Dopo aver tirato un profondo respiro, tuttavia, si può forse provare a ragionare pacatamente. Da qualche decennio, Lutero è diventato "buono". Che però esista, in Occidente, un altro modo di essere chiesa, questo no; e se c'è, non è tale "in senso proprio". Sentirselo dire, può non far piacere. In fondo però, che la chiesa della Controriforma la pensi così, non dovrebbe stupire; e che poi in questo contesto sia possibile citare un teologo luterano come Pannenberg, dispiace ancora di più, ma nemmeno questo meraviglia del tutto. Ma vediamo di entrare nel merito.

    In un certo senso, anzi, in più di uno, si può certo affermare che la Riforma abbia fallito. Ha fallito in quanto non è riuscita a rinnovare l'intera chiesa, a causa della reazione papale; ha fallito, soprattutto, come fallisce ogni impresa umana, anche la più santa e benedetta, in quanto comunque segnata dal peccato; la Riforma non ha riformato abbastanza e non ha sempre riformato bene; e la chiesa riformata secondo la Parola di Dio può riconoscere tali fallimenti, perché non soffre del delirio dell'infallibilità. Da questo punto di vista, la dimensione penitenziale non deve certo mancare nemmeno nel 2017: ogni trionfalismo sarebbe fuori luogo.

    Il contrario del trionfalismo, in questo caso, è un'immensa, infinita gratitudine. Gratitudine a Dio per il dono della Riforma: per il dono di una fede vissuta, per quanto indegnamente, nel segno della libertà; per il dono della Scrittura letta in una comunità di sorelle e di fratelli; per il dono dell'annuncio di un Dio sconsideratamente misericordioso, talmente misericordioso da voler trarre anche me dalla mia fogna di peccato; per il dono di una chiesa rinnovata, dove non ci si interroga sul "ruolo dei laici", ma nella quale i "laici" (e le laiche) sono la chiesa; per il dono di poter vivere l'etica nella responsabilità, sapendo di poter sbagliare, ma tentando appassionatamente di non farlo e rischiando vie nuove, anche a costo di scandalizzare i benpensanti (esistono precedenti autorevoli); per il dono di una teologia che può pensare e parlare con franchezza, senza l'incubo di un'occhiuta sorveglianza di polizia spirituale, che si arroga il monopolio di ciò che essa chiama "servizio alla verità"; per il dono di un ministero che anche le mie sorelle condividono, aiutandomi nel tentativo di uscire dalle pastoie di una mentalità maschilista che soffoca anche i maschi. E' probabilmente vero che il protestantesimo di questo inizio del XXI secolo attraversa una fase di grave difficoltà: la libertà dell'evangelo gli consente di riconoscerlo senza nascondersi in un gergo chiesastico e falsamente pio e anche di lasciarselo dire dalle gerarchie romane, lasciando tranquillamente aperta la questione se esse abbiamo o meno i titoli per farlo. Ma che oggi ancora esista una chiesa della Riforma, anzi, molte chiese diverse e in comunione (una realtà, questa, che il card. Koch e altri con lui faticano a comprendere e che per questo rimuovono), questo è un dono grande, che si può ricevere solo con commozione e passione di fede, e che cambia la vita, riempiendola di gioia.

    Per questo io spero che le chiese protestanti di tutto il mondo sappiano ricordare il quinto centenario della Riforma della chiesa secondo la parola di Dio, nel 2017. Mi si dice che molti ambienti evangelici tengono parecchio a che ciò accada insieme alla chiesa di Roma. Sarebbe bello, io credo, se si potesse, insieme, rendere grazie dal profondo dell'anima al Dio che ha riformato la chiesa aprendole un futuro che milioni di donne e uomini hanno vissuto e possono vivere con passione grande. Non sono sicuro, leggendo le reiterate affermazioni del card. Koch, che lo spirito delle gerarchie romane sia esattamente questo. In tal caso, la gratitudine per la Riforma potrà essere solo la nostra. Senza polemica, senza astio, senza rivendicare, contro altri, alcuna "pienezza" protestante "dei mezzi di grazia". Ricorderemo la Riforma senza celebrarla: essa, infatti, voleva celebrare Cristo soltanto. (nev-notizie evangeliche 47/12)


MILANO BENE COMUNE

Dal MOVIMENTO MILANO CIVICA

riceviamo e volentieri pubblichiamo


DA PRINCIPIO FILOSOFICO AD AZIONE

POLITICA - CONSIDERAZIONI E ORIENTAMENTI

Per decenni si è affermata una visione della società come somma di individui, ciascuno teso a perseguire i propri obiettivi personali, senza tener conto di quelli generali dei cittadini.

    Ora è il momento di promuovere e attuare una visione radicalmente diversa, riconoscendo che per soddisfare esigenze fondamentali di convivenza civile, quali la giustizia sociale, la diffusione della cultura, l'affermazione dell'uguaglianza delle opportunità, la diffusione del benessere a chi ne è escluso, il riconoscimento del merito, la salvaguardia del territorio è necessario porre di nuovo al centro della riflessione culturale e dell'azione politica la società nel suo insieme.

    Il bene comune rappresenta il patrimonio comune di una società, costituito dai suoi valori fondanti, dalle risorse fisiche, economiche, culturali, professionali di cui dispone, dalla spinta ideale che anima i cittadini, dalla loro capacità e volontà di condividere ideali, obiettivi, scelte politiche, risorse.

    Il Movimento Milano Civica con il convegno "Bene comune: da principio filosofico ad azione politica" riconosce e afferma l'esigenza di un rinnovamento culturale, in primo luogo della società e conseguentemente della politica, che faccia emergere con forza il principio che una risposta efficace alle esigenze del convivere civile si può avere solo ponendo al centro della riflessione e della prassi la cura per tutto ciò che è patrimonio comune dei cittadini, per difenderlo, accrescerlo, renderne partecipe tutta la comunità.

    Il bene comune si afferma e si consolida se si diffonde il senso di responsabilità di ciascun cittadino, verso se stesso e verso la comunità. La responsabilità è l'elemento fondante che consente di creare valori e realizzazioni condivise, di cui tutti possano essere portatori e fruitori, ed è fondante anche della democrazia, come assunzione personale e reciproca di impegno a costruire il bene comune.

    Responsabilità significa inoltre il dovere di rendere conto delle proprie azioni in ogni ambito che non sia puramente individuale, in particolar modo di quelle che hanno ricadute sulla comunità, soprattutto dei pubblici amministratori.

    Il Movimento Milano Civica intende tradurre questa visione della convivenza civile e dei principi che ne sono alla base in iniziative politiche che vadano oltre i confini entro i quali si è finora realizzata la sua attività, la città di Milano, riconoscendo che l'affermazione dell'idea di bene comune e la sua attuazione pratica devono applicarsi a un ambito più vasto, a partire dall'Area Metropolitana, per estendersi alla Regione Lombardia, in quanto intrinsecamente vantaggiosi per tutti i cittadini.

    La prossima scadenza elettorale è l'occasione per un rinnovamento profondo della dirigenza politica e dei criteri di gestione del patrimonio comune dei cittadini, nonché degli interessi dei diversi gruppi sociali, sostituendo al predominio che alcuni di questi hanno esercitato nell'ultimo ventennio una gestione della cosa pubblica fondata sul riconoscimento della pari dignità di tutte le componenti della società.

    Occorre cioè creare una discontinuità rispetto alla gestione politica degli ultimi decenni, una vera alternanza.

    Per raggiungere questi obiettivi occorre creare una nuova rappresentanza politica che li condivida e se ne faccia portatrice.

    Il Movimento Milano Civica si propone come promotore del coordinamento di tutte le esperienze presenti in Lombardia che condividono i suoi valori di partecipazione politica e insieme ad esse organizzerà un Forum nella prospettiva di dar vita a una Lista Civica che si presenti alle prossime elezioni regionali in appoggio al candidato del centrosinistra Umberto Ambrosoli.

    Il primo incontro dedicato a sviluppare questa nuova aggregazione di cittadini si terrà ad Abbiategrasso, martedì 4 dicembre.

    Infine, il Movimento Milano civica si impegna a portare ai cittadini le indicazioni emerse dal convegno "Bene comune: da principio filosofico ad azione politica, così come a diffondere la conoscenza della Costituzione della Repubblica nonché i valori e i principi ai quali si ispira.

MOVIMENTO MILANO CIVICA

www.movimentomilanocivica.it

Milano, 25 novembre 2012


PRIMARIE: PIU’ CHE RADDOPPIATA LA PARTECIPAZIONE ALL’ESTERO

Italiani all'estero

di Eugenio Marino,

Coordinatore per le primarie all'estero

È aumentata del 138% la partecipazione degli italiani all'estero rispetto alle primarie del 2009, a conferma della fiducia dei nostri connazionali nella buona politica del centrosinistra.

    All'estero hanno votato 15.523 persone in 136 seggi dislocati in 113 città di 19 paesi, coprendo un territorio che tocca tutti e cinque i continenti dell'intera Circoscrizione estero.

    Tra questi elettori 5.585 hanno potuto votare online direttamente da casa con una modalità che ha consentito di partecipare a questo importante passaggio democratico anche a chi viveva in luoghi ove era impossibile allestire un seggio.

    Hanno votato 6.911 italiani in Europa 1.766 in America Meridionale, 721 in America Settentrionale e centrale, 540 in Asia-Africa-Oceania-Antartide e 5.585 con il sistema online.

    Tra questi il 42,03% dei consensi è andato a Bersani con 6.525 voti, il 26,91 a Renzi con 4178 voti, il 25,85 a Vendola con 4012 voti, il 4,14 a Puppato con 643 voti e lo 0,68 a Tabacci con 105 voti.

    Uno straordinario risultato di partecipazione che ci incoraggia a continuare il lavoro di radicamento e coinvolgimento delle nostre comunità nel mondo e per il quale ringraziamo le migliaia di nostri iscritti, militanti e volontari in tutto il mondo che, anche in condizioni di disagio e di disaffezione alla politica, sottraggono tempo alle proprie famiglie e ai propri hobbies per dedicarlo all'Italia.


Oltre l’austerità

taliani all'estero


Quali proposte per uscire a sinistra dalla crisi? Quale alternativa all'austerità? Cosa deve fare un eventuale governo di centrosinistra per uscire dalla crisi senza scaricarne i costi sui ceti popolari?

    Il prossimo 14 Dicembre a Londra, il circolo Radio Londra di SEL organizza una giornata di riflessione sulle proposte di politica economica per uscire "da sinistra" dalla crisi.

    Alla presenza di Gennaro Migliore, della segreteria nazionale di SEL, e di economisti, ricercatori e studenti, verranno analizzate le principali idee dell'economia "alternativa" alla ricerca di soluzioni utili per fare uscire il paese dal pantano della crisi.

di Andrea Pisauro (SEL UK)

A quattro anni dall'inizio della crisi, tre dal suo "contagio" in Europa e il conseguente avvio della stagione "dell'austerità", si sta pian piano affermando una consapevolezza diffusa del fatto che le ricette imposte ai paesi dell'area Euro dall'asse conservatore Bruxelles-Francoforte-Berlino non stanno affatto funzionando. Anzi, contribuiscono all'aggravarsi della situazione economica dei paesi periferici della zona Euro dove la disoccupazione continua a crescere e gli effetti della crisi vengono scontati quasi interamente dai ceti popolari.

    Questa consapevolezza è arrivata a lambire templi sacri dell'ideologia neoliberista, come il Fondo Monetario Internazionale che arriva a riconoscere il devastante impatto dell'austerità sulla crescita, e riecheggia perfino nelle parole del Berlusconi che rivendica un suo veto sul "Fiscal Compact" ai tempi in cui era Presidente del Consiglio, attaccando Monti e la sua "recessione senza fine". D'altronde, che il concetto di austerità espansiva (cioè benefica per l'economia) fosse debole sia sul piano teorico sia su quello pratico, era chiaro già da tempo agli economisti che, in Italia, piu' di due anni fa scrissero una lettera aperta, rimasta inascoltata, che metteva in guardia dai pericoli di deflagrazione della zona Euro e aggravamento della crisi generati dall'austerità e a quelli che più recentemente, nell'ebook "Oltre l'austerità" pubblicato su micromega, hanno abbondamente documentato il fallimento della strategia dei tagli, proponendo una molteplicità di importanti chiavi di lettura alternative.

    D'altro canto questo mutamento di prospettiva non si è ancora tradotto in atti concreti se si considera che anche il recente piano di acquisti illimitati dei titoli di stato (OMT), varato a Settembre dalla BCE (il cosiddetto Bazooka) pur permettendo agli spread di Spagna e Italia di respirare un pochino, presenta numerose limitazioni ("forche caudine" per accedere al piano, che implicheranno sottostare a ulteriori pesanti imposizioni di austerità, e sterilizzazione degli acquisti di titoli) che non lasciano presagire nulla di buono per i prossimi mesi e rischiano solo di aver comprato un po' di tempo.

    Del resto, con l'approvazione del Fiscal Compact che subordina le scelte economiche nazionali al dogma del pareggio di bilancio e della riduzione a ritmi esasperati del rapporto debito/PIL, uscire dal tunnel dell'austerità è più facile a dirsi che a farsi, come ha dovuto constatare anche Hollande in Francia e come in generale è dimostrato dalle difficoltà dei partiti socialisti europei nell'offrire un'alternativa concreta ai tagli imposti dalla troika.

    Il problema fondamentale è che la risposta alla crisi, che deriva per molti aspetti anche dalla struttura formale dell'unione monetaria e dai vincoli imposti a livello comunitario, non può prescindere da una strategia continentale e da riforme delle istituzioni europee.

    Per questo il dibattito, anche e soprattutto a sinistra, si è concentrato su modifiche allo statuto e alla prassi della BCE, per estendere la sua linea di acquisti di titoli governativi oltre i confini stabiliti dai vari programmi d'intervento (Efsf/Esm e ora Omt). Queste proposte, che tentano di introdurre un ruolo per la BCE come "prestatore di ultima istanza" si sono accompagnate all'eterno dibattito sull'emissione di Eurobond che ha tenuto banco per mesi senza mai riuscire a superare il veto di Berlino, e da quello più circoscritto riguardante l'introduzione di Project Bonds legati a singoli progetti di sviluppo, fino alla proposta di usare la Banca Europea per gli Investimenti (EIB) per il lancio di un New Deal europeo che rilanci la crescita tramite gli investimenti.

    L'iniezione di liquidità a garanzia del debito e a sostegno della crescita non sono state le uniche proposte di sinistra per superare la crisi. Un altro filone di misure ha riguardato proposte di tassazione delle rendite finanziarie (Tobin Tax) spesso arenatesi in infinite discussioni e sempre infrantesi sul veto britannico a difesa della City. Varie proposte di riforma del sistema bancario sono state avanzate attorno al pilastro della separazione tra banche commerciali e banche d'investimento per salvare le linee di credito all'economia reale dai rischi delle crisi finanziarie.

    Più difficile aggredire le cause strutturali degli squilibri macroeconomici interni all'Eurozona. Per un decennio circa si è parlato di rendere più competitivi i paesi periferici, in particolare e non casualmente puntando sulla riduzione del costo del lavoro anziché sulle misure necessarie per accrescere la produttività. Analisi più recenti hanno puntato l'indice contro gli squilibri della bilancia dei pagamenti con l'estero dei paesi della zona dell'euro, come sorgente dei flussi di credito che hanno alimentato le bolle dei debiti pubblici e privati nei paesi della periferia. Proposte interessanti in questo senso hanno riguardato l'introduzione di standard retributivi che, in media in un dato paese, facciano crescere i salari in proporzione alla produttività, in modo da prevenire fenomeni di "dumping sociale" interni all'area dell'euro. Altre proposte hanno riguardato il coordinamento delle politiche macroeconomiche, che dovrebbero essere espansive nei paesi in surplus di bilancia dei pagamenti, e restrittive in quelli in deficit.

    Se la strategia di uscita dalla crisi deve essere coordinata a livello europeo, l'Italia è ovviamente un tassello cruciale nel puzzle della costruzione di una politica alternativa all'austerity per superare la crisi, e decisivo sarà il ruolo del prossimo governo, a partire dai primi mesi del suo mandato. L'Italia potrebbe essere il perno decisivo di una coalizione progressista che metta definitivamente all'angolo le pretese egemoniche della Germania mercantilista. La domanda del "che fare?" è dunque di stringente attualità, a maggior ragione in uno scenario politico che vede tuttora come più probabile la prospettiva di un governo di centrosinistra nella prossima legislatura.

    Il dibattito delle primarie del centrosinistra, tuttavia, non è ancora stato in grado di dirimere i nodi piu' pressanti, anche perche' sulla stessa interpretazione delle cause della crisi, nella coalizione sono presenti vari punti vista, con uno spettro di posizioni identificabili dal livello di "montismo" e dal sostegno ideologico offerto alla strategia dell'austerità.

    Addirittura nel dibattito TV nessuno ha fatto menzione della possibilità di rinegoziare il Fiscal Compact e Renzi si è spinto a dire che anche solo parlarne metterebbe il paese in pericolo.

    Del resto, il sindaco di Firenze e "l'ala destra" del PD sono più o meno compatti nel sostenere la linea di sacrifici mentre il versante sinistro del fronte bersaniano, guidato dal "socialdemocratico" Fassina, non perde occasione di ribadire la necessità di superare "da sinistra" l'esperienza del governo Monti. Tuttavia anche nella maggioranza bersaniana permangono intatte una serie di ambiguità quando si ribadisce continuamente fedeltà all'impianto degli accordi europei anche quando si usano gli accenti più critici nel giudicare l'ideologia neoliberale delle scelte a livello europeo. Viene inoltre ribadita la necessità di ridurre il debito pubblico, costi quel che costi, rifiutando di considerare l'obiettivo di una sua stabilizzazione e poche parole vengono spese riguardo a politiche industriali di orientamento dello sviluppo, mantenendo alta l'attenzione solo su politiche volte a fronteggiare l'emergenza finanziaria.

    La stessa Carta d'intenti che istituisce e definisce i contorni programmatici delle primarie è tutto meno che chiara rispetto a come comportarsi rispetto ai "vincoli esterni" dei trattati europei e del giudizio dei mercati che rischiano di commissariare con grande anticipo qualunque speranza di cambiamento.

    La candidatura di Nichi Vendola e più in generale la partecipazione di SEL alla coalizione di centrosinistra offrono un'occasione per quanti vogliano esprimere un'opzione di dissenso radicale dalle politiche recessive imposte a livello europeo e placidamente accettate dal governo dei "tecnici" e da buona parte del PD. Peraltro, la partita per ribaltare l'austerità si gioca tanto in casa, nello spostare più a sinistra l'asse della coalizione, che in trasferta, costruendo a livello europeo un serio gioco di squadra con i partiti socialisti e socialdemocratici per un ribaltamento del retroterra cuturale su cui poggiano le politiche recessive imposte dalla BCE.

    Ed è proprio nel rapporto con l'Europa che il centrosinistra italiano sconta i suoi limiti peggiori, con il PD che sfugge non solo formalmente all'adesione al socialismo europeo, laddove la sua analisi della crisi è viziata da ritardi e contraddizioni che ne minano la credibilità in termini di proposta d'alternativa e non contribuiscono a capire quali saranno poi le scelte di fondo di un eventuale governo di centrosinistra.

    E' dunque urgente e necessaria una discussione franca e concreta sulle linee guida della politica economica della coalizione di centrosinistra. Per evitare di perdere anche questa occasione e rimandare la discussione su nodi cruciali a più ristretti consessi di anguste segreterie di partito, occorre uno sforzo ora, anche da parte della società. Con questo spirito, il circolo Radio Londra di Sinistra Ecologia e Libertà sta organizzando per il prossimo 14 dicembre a Londra una giornata di riflessione sulle proposte di politica economica che potrebbero caratterizzare in modo chiaro un'agenda alternativa all'austerity per il prossimo governo di centrosinistra (incrociando le dita). Il dibattito è aperto. Non lasciamolo cadere.


SOLIDARIETÀ E FORMAZIONE

Italiani all'estero


ESPERIENZE DALLA STORIA

DELLA FONDAZIONE ECAP SVIZZERA


Presentazione del libro:

 

Solidarietà e formazione

Esperienze dalla storia della Fondazione Ecap Svizzera

EDIESSE, Roma

 

di Gianfranco Martina

 

a cura di Leo Zanier

Introduzione di Saul Meghnagi

 

Roma, Martedì 4 dicembre 2012

ore 19.30 presso la Fondazione Giuseppe Di Vittorio

Via Gaetano Donizetti, 7/b

 

Insieme all'autore, Gianfranco Martina,

 

intervengono:

 

Leo Zanier, scrittore e Presidente EUNETZ

Saul Meghnagi (ISF-CGIL)

Carlo Ghezzi (SMILE)

Claudio Micheloni, senatore PD e presidente FCLIS

Gianni Farina, deputato PD

 

Coordina:

Guglielmo Bozzolini, Direttore della Fondazione ECAP

La Fondazione ECAP è la più grande istituzione formativa e culturale nata dall'emigrazione italiana nel mondo e a quarantadue anni dalla sua nascita forma più di 39'000 persone l'anno, provenienti da tutto il mondo.

    Il libro ne ripercorre i primi anni di vita attraverso la testimonianza di uomini e donne che vi hanno dedicato il proprio impegno, il proprio lavoro, la propria militanza. Ma non è solo una riflessione storica, offre spunti per ragionare sul presente: su come garantire il diritto dei e delle migranti alla formazione e all'accesso al sapere, sul rapporto tra sindacato migranti e rappresentanza e su come l'integrazione possa essere un processo che parta dall'autoorganizzazione. www.ecap.ch


giovedì 22 novembre 2012

Parliamo di socialismo

a cura della Fondazione Pietro Nenni

http://fondazionenenni.wordpress.com/


Anche Montanelli


"Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza". – In occasione dell’uscita del volume Nella mia lunga e tormentata esistenza. Lettere da una vita di Indro Montanelli, Rizzoli 2012, pubblichiamo la risposta data a Tamburrano da Montanelli nella sua Stanza quotidiana sul Corriere della Sera del 4.7. 2001. Fu l'ultimo intervento pubblico del grande giornalista e un pezzo importante del suo testamento morale.


di Giuseppe Tamburrano


Caro Montanelli, se dovessi scriverti tutte le volte che sono d’accordo con te diventerei uno scocciatore.
    Ma i tuoi due pezzi su su Turati e lo scissionismo della sinistra hanno travolto la mia riservatezza. Grazie per il tuo giudizio su Turati, che era peraltro antiscissionista e amava ripetere: “Preferisco avere torto nel mio partito che ragione fuori” e ruppe col Psi nell’ottobre 1922 perché di fatto ne fu buttato fuori.

    Non c’è tra i sedicenti socialisti residui nessuno che difenda i valori del socialismo come fai tu: dunque ancora grazie. E vengo ad un altro socialista che tu hai difeso con fermezza. In un recente libro, che tu hai, ho dato insieme a due ricercatori (Granati e Isinelli) la prova documentale della innocenza di Silone.

    Forse ti divertirà sapere – se non lo sai già - che hanno dato credito alla mie tesi soprattutto due giornali: l’Unità del 28 aprile 2001 col titolo su tutta la pagina Silone innocente e il Secolo d’Italia del 7 giugno col titolo su sei colonne, In difesa di Ignazio Silone.

    E’ singolare! Questi giornali appartengono in un certo modo ad un’area politico-ideologica che Silone ha combattuto duramente. Giornali, giornalisti, intellettuali che dovrebbero riconoscersi negli ideali antitotalitari di Silone hanno un diverso atteggiamento. Anche questo nel suo piccolo è un segno dell’anomalia italiana. (G.T.)


La risposta di Montanelli


La tua affettuosa lettera, giuntami nel momento in cui anch’io, come tutti i mortali, debbo procedere alla revisione e alla chiusura dei conti col passato, mi ha fatto un infinito piacere. Per vari motivi.

    Il primo di questi motivi è che tu sei il primo e – mi pare – l’unico socialista ad essersi accorto che io non sono mai stato un nemico del socialismo (dico “socialismo”, non “partito socialista”), e quando questo si è sbandato sotto i colpi di tangentopoli ho preso il lutto in una lettera aperta a uno sconosciuto “compagno” della mia giovinezza incoraggiandolo a rialzare dalla polvere la sua bandiera e a richiamare intorno ad essa i fedeli, fra i quali – sia chiaro – io non avevo mai militato e non milito.

    Non erano, le mie, parole di circostanza. Erano – e rimangono – quelle di un conservatore abbastanza spassionato e nutrito di Storia da capire che non c’è, per la conservazione di ciò che va conservato, nemico più mortale dei conservatori che vogliono conservare tutto; e che un sistema capitalistico senza un correttivo socialista diventa una giungla che conduce pari pari a Carlo Marx.

    Di qui il mio amore per uno dei personaggi meno amabili, sul piano umano, della nostra storia, Giolitti, che sempre cercò l’accordo con Turati, a cui il cretinume massimalista – che nel vostro partito ha sempre dominato – lo impedì. Ma non sono soltanto questi motivi di alchimia politica che ispirano i miei sentimenti verso il socialismo quanto il ricordo dell’opera missionaria da voi svolta presso le classi più umili dai vostri (perché ce ne furono parecchi) Massarenti, le cooperative, le scuole serali per la lotta all’analfabetismo.

    Ecco il socialismo nel quale avrei potuto militare anch’io, se avessi avuto abbastanza altruismo e abbastanza umiltà, e di cui l’attuale società denuncia paurosamente la mancanza. Il vedervi – sbriciolati in gruppi, gruppetti e gruppuscoli – annaspare nell’attuale centro-sinistra in cui nessuno riesce a recitare la parte di sé stesso, fa male al cuore di un vecchio autentico liberal-conservatore come me.

    Cosa aspettate, caro Tamburrano, a ridarci il socialismo, ma che sia quello e quello solo: il socialismo di Turati e di Massarenti?

    L’altro motivo che mi ha reso gradita la tua lettera è l’epilogo della vicenda Silone. Io non vi ho alcun merito. La mia reazione ai tentativi d’imbrattarne il nome e il ricordo fu istintivo, ma senza apporto di prove e documenti. Siete stati tu e i tuoi due compagni a compiere quest’opera meritoria, e che a riconoscerla tale siano due giornali come l’Unità e il Secolo d’Italia, eredi di due partiti che, sia pure per ragioni opposte, avrebbero avuto tutto l’interesse a discreditare il loro comune avversario, è cosa che fa onore anche ai due giornali.

    Bene, caro Tamburrano. Credo che come forza politica siate abbastanza mal messi. Ma in compenso avete in mano una grande bandiera che prima o poi un esercito ritroverà . . .


SCHEDA - Indro Montanelli, Nella mia lunga e tormentata esistenza. Milano, 2012. Pagine: 414, 19,50 euro

 

“Sono un disordinato assolutamente refrattario al lavoro di team e animato da uno spirito d’indipendenza che spesso sconfina nella riottosità: non conosco remore di cautela e di diplomazia; non credo che riuscirei a imporre la disciplina per il semplice motivo che non l’ho mai rispettata io stesso.” Così scriveva Indro Montanelli in una lettera del 1967, pochi anni prima di fondare “il Giornale”. Per tutta la vita il grande giornalista ha tenuto una fitta corrispondenza, pubblica e privata, con i protagonisti della politica, della cultura e del giornalismo, da Andreotti a Cossiga, da Nenni a Pertini, da Buzzati a Prezzolini, a Longanesi e Guareschi, ma anche con la prima moglie, gli amici, i familiari. Dalla lettera al suo professore di liceo, in cui un Montanelli ventenne rivela le sue aspirazioni di giornalista, a quelle inviate ai genitori dal fronte africano nel 1935 e dal carcere nel 1944. E naturalmente i lunghi anni al “Corriere”, quelli al “Giornale” fino allo scontro con Berlusconi. Questi testi inediti, nella freschezza del dialogo e nell’immediatezza delle emozioni raccolte, ci rivelano il lato più intimo di Montanelli, ricostruendone l’intera parabola esistenziale attraverso la sua viva voce. Il risultato è un’autobiografia postuma che completa le note dei suoi diari, offrendo ai lettori il ritratto sorprendente di un uomo che a novant’anni dichiara “So di avere scritto sull’acqua. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a scrivere, impegnandomi tutto in quello che scrivo”.


Indro Montanelli (Fucecchio, 22 aprile 1909 – Milano, 22 luglio 2001), è stato uno tra i maggiori giornalisti italiani del Novecento, inviato speciale del “Corriere della Sera”, fondatore del “Giornale nuovo” (1974) e della “Voce” (1994). Dal 1995 nuovamente al “Corriere” come editorialista.

venerdì 2 novembre 2012

120 anni di socialismo italiano

Mondoperaio



Parte questa settimana il nuovo sito di Mondoperaio, la storica rivista teorica dei socialisti italiani fondata da Pietro Nenni e diretta da Luigi Covatta, contiene rubriche sulle riforme del lavoro e delle relazioni industriali, sulle questioni istituzionali, sul movimento socialista europeo, sulla crisi internazionale, e altri importanti documenti che consentano un'informazione più completa su questioni di attualità.



E' on line il nuovo sito di Mondoperaio www.mondoperaio.net<http://www.mondoperaio.net/> che ospita, fra l'altro, il video della lezione sul governo dell'Unione europea tenuta da Giuliano Amato lo scorso 7 settembre all'Università di Roma Tre nell'ambito della scuola di democrazia europea promossa dalla Fondazione socialismo e della Fondazione europea di studi progressisti (Feps).

Seguiranno le lezioni di Vito Gamberale, Luigi Capogrossi, Cesare Pinelli, Antonio Pedone, Mario Ricciardi, Luciano Pero, Gustavo Ghidini, Guido Martinotti, Antonio Badini, Carmine Pinto e Gianni De Michelis, ed i lettori potranno interloquire coi relatori, dando così vita ad una sorta di seminario virtuale.

Nel sito troveranno posto rubriche sulle riforme del lavoro e delle relazioni industriali, sulle questioni istituzionali, sul movimento socialista europeo, sulla crisi internazionale, e soprattutto documenti che consentano un'informazione più completa su questioni di attualità: fra l'altro il testo integrale del ricorso del Presidente della Repubblica per conflitto di attribuzione nei confronti della Procura di Palermo, gli accordi sindacali firmati da Marchionne con l'UAW per il rilancio della Chrysler e quelli sulla flessibilità dell'orario di lavoro in due grandi aziende in Italia.

Il sito vuole rappresentare un luogo di visibilità, partecipazione e confronto tra quanti sono impegnati nel sindacato, nelle amministrazioni, nelle università, nelle professioni.



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IL SOMMARIO DEL NUMERO DI OTTOBRE



editoriale 5

Luigi Covatta Marasma



mafia e politica 7

Emanuele Macaluso intervistato da Alberto Benzoni

La vendetta di Ciancimino



saggi e dibattiti 17

Gianfranco Pasquino Rottura e cambiamento

Celestino Spada Fenomenologia di Mario Monti

Marco Boato Ricordo di un profeta

Giuliano Parodi Come nacque e come morì la seconda Repubblica italiana

Stefano Rolando Oltre la samba



dossier/ fabbrica italia 41

Raffaele Morese L'industria che non c'è

Gian Primo Quagliano Una crisi solo italiana

Paolo Griseri Le tre carte del Lingotto

Luigi Campagna In America voglio andar

Serena Gana Cavallo Giugni e l'articolo 18



quale socialismo 57

Alessandro Della Casa Il liberalsocialismo di Berlin

Giovanni Pieraccini Il tempo in cui viviamo



dossier/caput mundi 67

Paolo Allegrezza Roma dopo il diluvio

Gerardo Labellarte Privato non è sempre bello

Marco Causi Roma stracciona e Roma capitale

Paolo Berdini Rifare la città



intervista 85

Franco Moscone intervistato da Matteo Lo Presti

Il Vangelo vissuto fra gli ultimi



biblioteca/citazioni 89

Simona Colarizi, Marco Gervasoni La tela di Penelope



biblioteca/schede di lettura 91

Jacopo Perazzoli Dopo lo stalinismo

Danilo Di Matteo La gabbia dell'inquietudine



le immagini di questo numero 95

Angelo Molaioli Un secolo di propaganda