giovedì 29 marzo 2012

Dove la storia incontra il mito

Il Coopi di Zurigo su Rete Uno

 

Svizzera che vai è il magazine radiofonico di "Rete Uno" dedicato ai temi della società del costume, delle idee e delle personalità oggi presenti e attive nella Confederazione. Il giornalista ticinese Rolf Schuerch, che cura questa popolarissima trasmissione del venerdì sera, ha dedicato alla Società Cooperativa Italiana Zurigo, giunta al suo 107° anno, la puntata del 23 marzo scorso, che reca come tema e titolo "La Società Cooperativa di Zurigo... Dove la storia incontra il mito".

 

La Società Cooperativa italiana di Zurigo, sede storica del Centro Estero socialista e dell'editrice L'Avvenire dei lavoratori, ha più di un secolo di vita. È stata fondata nel 1905 da un gruppo di lavoratori socialisti italiani come luogo di resistenza politica e sociale e centro di attività editoriale. Il Coopi è legato tra gli altri a nomi come Serrati, Lenin, Turati, Balabanoff, Matteotti, Canevascini e Silone. A questi, nel secondo Dopoguerra si sono aggiunti tra gli altri il leader sindacale Ezio Canonica e l'artista Mario Comensoli.

 

Sulla storia e le prospettive della Società Cooperativa Italiana Zurigo il giornalista ticinese Rolf Schuerch ha intervistato Andrea Ermano, presidente del Coopi e direttore dell'ADL (Vai al clip audio).

    Il commento musicale scelto per l'intervista a Ermano è tratto da "Sorriso Amaro", concerto e CD di Dodo Hug ed Efisio Contini che hanno rivisitato indimenticabili canzoni di lavoro e di autore, tra cui "Deportee" di Woody Guthrie.

 

Sorriso amaro di Dodo Hug ed Efisio Contini su Youtube >

> Deportee (Di Usgschaffte/Traghetti)

> La mia mamma voel ch'i fila

> Nina ti te ricordi

> Sorriso Amaro

giovedì 22 marzo 2012

Il Coopi di Zurigo al 107° anno di attività

Centosette anni

 

Il 2012 è l'anno internazionale della Cooperazione e la Società Cooperativa Italiana Zurigo, sede storica del Centro Estero socialista e dell'editrice L'Avvenire dei lavoratori, ha compiuto centosette anni d'attività.  

 

ZURIGO, 18.3.2012 - È stata fondata il 18 marzo del 1905 dalle tre sezioni socialiste italiane di Zurigo ("Aussersihl", "Oberstrass" e "Riesbach") rappresentate da Domenico Armuzzi, Alessandro Biagini, Enrico Dezza, Francesco Lezzi e Amilcare Malpeli.

    La Società Cooperativa Italiana Zurigo, sede storica del Centro Estero socialista e dell'editrice L'Avvenire dei lavoratori, ha svolto un ruolo non del tutto trascurabile nelle vicende politico-sociali del Novecento, dall'organizzazione germinale degli operai emigrati al sostegno ad Angelica Balabanoff e Vladimir Ilic Lenin nel movimento di Zimmerwald contro la prima guerra mondiale alla rottura con i comunisti filo-sovietici nel 1921, dall'organizzazione della lotta contro il fascismo da Guadalayara alla Val d'Ossola, in Italia e in Spagna, alla lotta contro il razzismo e la xenofobia nel secondo Dopoguerra.

    Il tradizionale incontro conviviale si è svolto quest'anno in onore del presidente emerito, Sandro Simonitto, che per parte sua ha tagliato il traguardo dei settant'anni. Simonitto – giunto in Svizzera nel 1961 – si era ben presto conquistato un ruolo di rilievo nella Federazione Socialista Italiana in Svizzera (FSIS) come pure nel movimento sindacale. Due volte segretario politico della FSIS, ha guidato le sezioni cantonali a Basilea, San Gallo e in Argovia, dove è stato eletto presidente del ComItEs per due mandati. Attualmente vive da "doppio cittadino" tra l'Italia e la "sua" Lenzburg, città in cui è stato anche consigliere comunale per il Partito Socialista.

 

Sandro Simonitto è tuttora attivo nella direzione della FSIS e della Società Cooperativa come pure nel Comitato XXV Aprile. Il presidente del Coopi, Dr. Andrea Ermano, ha salutato il festeggiato con "un brindisi domenicale, che certo non è un commiato. Perché domani ricomincia il lavoro portato avanti insieme in questi undici anni, fianco a fianco, alla salvaguardia di un patrimonio storico e ideale di tutta l'emigrazione italiana organizzata", ha concluso Ermano, ricordando "la fermezza, la lealtà e la coerenza di Sandro Simonitto anche nei momenti più difficili".

    All'incontro hanno preso parte, tra gli altri, due decani del giornalismo ticinese come Mario Barino, presidente della Fondazione Mario ed Hélène Comensoli, e Renzo Balmelli, già direttore del TG della Televisione della Svizzera Italiana e commentatore dell'ADL con la rubrica "Spigolature". Erano inoltre presenti il Dr. Sandro Pedroli, staffetta partigiana in Piemonte, "medico degli italiani" e presidente emerito del Comitato XXV Aprile; il suo successore Salvatore Di Concilio, consigliere comunale socialista a Zurigo; il segretario politico della FSIS, Maurizio Montana; i membri del comitato direttivo Maria Ermano-Satta e Francesco Papagni; l'ing. Elemer Ujpetery rappresentante di un folto gruppo di amici e simpatizzanti del Coopi.

mercoledì 14 marzo 2012

Italia scombinata

La buon'anima di quel grande vecchio, nonché gran galantuomo, di Gaetano Salvemini aveva definito il nostro Paese: Italia scombinata. In parte è vero, ma non sempre è stato così; però, se vediamo lo scenario, invero tanto agitato quanto grigio e triste, della politica che giorno dopo giorno si svolge sotto i nostri occhi, non possiamo non riconoscere qualche serio motivo a sostegno della definizione salveminiana.
di Paolo Bagnoli
Tutto oramai è dentro una specie di bolla magica frutto dell'euforia per Mario Monti cui segue, inevitabilmente, il richiamo all'Europa che, da vecchi europeisti, oggi non sappiamo cosa sia. Ma basta al presidente del consiglio dire che lo chiede l'Europa che tutto sembra trovare ragione. A nessuno viene in mente che, al di là del fatto contabile generale del continente – questione certo di non poca rilevanza – una politica che può definirsi europea non c'è poiché non c'è l'Europa politica e "fare i compiti" su commissione è come studiare in collegio ove i canoni sono diversi da quelli dell'ambito pubblico.
L'Italia è scombinata perché non ha il senso della misura; ma l'esserlo in presenza della politica è un conto, senza, un altro, come ci dimostra il quadro istituzionale, con un governo che soffre il confronto sociale, fa dichiarazioni di arroganza sulla validità delle proprie intenzioni, un Parlamento silente, le apicalità della Repubblica che vanno oltre il cantare fuori dal coro, ma fanno un loro coro solitario e partiti che abusano di questa definizione.
Un tale scenario fa emergere taluni dei mali atavici della nazione: il ricorso all'uomo che risolve e il richiamo alla virtuosità che è sempre esterna. Ciò significa, in altri termini, rinuncia alla politica quale azione collettiva e ritenere che gli atteggiamenti virtuosi li possiamo trovare da soli senza, tirare sempre in ballo, amò di donna dello schermo di dantesca memoria, l'Europa sulla quale pesa la negativa ipoteca della cancelliera tedesca.
In tale contesto si inserisce tutto il resto: i fremiti di Bersani, le dichiarazioni di Berlusconi, le narrazioni di Vendola, il futuro possibile di Monti e quant'altro, come si dice oggi con un'espressione di pessimo gusto, ma è come fare la lepre in salmì senza la lepre visto che la politica non c'è. L'azione di Monti e il sostegno che gli viene profuso al di là di ogni ragionevole umana misura – peccato che la definizione di "uomo della Provvidenza" non possa essere più usata mentre, per la Fornero, quella di "donna della Previdenza" lo potrebbe, considerato che la prima attenzione, si fa per dire, è stata rivolta ai pensionati per giungere, poi, alla "flessibilità in entrata" ossia alla conquista del diritto al licenziamento appena si prospetta l'arrivo dell'agognato posto stabile – avrà una preminente ragione contabile, i dati positivi dello spread lo confermano, ma non quella di rigenerare un minimo di tessuto politico dopo venti anni di un bipolarismo che ha fatto più danni del cavallo di Attila. Il ricorrente richiamo all'Europa, inoltre, altro non è se non il paravento della politica che non c'è. Tuttavia, ricorrendovi, la destra neo-liberalista attua una riforma tacheriana al posto della sempre tanto invocata "rivoluzione liberale"senza sapere a cosa ci si riferiva e mancando, di conseguenza, pure di rispetto ad uno degli italiani che hanno più onorato l'Italia: vale a dire Piero Gobetti cui l'espressione appartiene.
I partiti, dal canto loro, sembrano il coro mugolato della Butterflay e, dai due maggiori , non viene quello che dovrebbe venire. Gli altri curano la bottega loro. Siamo in un realistico – e quindi contraddittorio – pensiero ipotetico del terzo tipo. Basta vedere il recente congresso del Pdl che si svolge addirittura senza mozioni o documenti di indirizzo lasciando a gruppi territoriali l'un contro l'altro armati il campo dell'affermazione in un quadro di numerosissime situazioni gestite da "commissari", tanto da pensare che ce ne siano più a disposizione di Berlusconi di quanti ne abbia il ministro Cancellieri!
Intanto i giorni passano, la ripresa non c'è, la politica latita, le liberalizzioni come tali sono una farsa essendo solo l'affermazione del principio di legittimità per la destrutturazione sociale, il Paese è più povero e la condizione funzionale delle grandi reti che si giustificano per il servizio al pubblico sempre più in ritardo: ferrovie, autostrade, sanità, poste ove se fai un vaglia ti senti chiedere se vuoi un "gratta e vinci", ma potremmo continuare, sono una parte dello specchio generale; perché, per esempio, in merito a tali settori di Europa non si parla mai? La stessa questione della Val Susa, non entrando nel merito della ragione o del torto, una cosa la dice, e da tempo: che non solo la politica non ha autorevolezza, ma che sedicenti partiti cui è estranea la gente, come avviene oggi, non hanno più alcun mandato di ruolo nel governo reale ed effettuale delle questioni. Così, saltando il filo connettivo della politica democratica, è normale che le tessere del puzzle vadano ognuna per conto loro.
Gli uomini della Provvidenza, di solito, finiscono nel buco nero della storia e le illusioni sono come i sogni, l'alba se li porta via con sé.
Se si deve parlare di ragioneria dello Stato facciamolo, siano presi i provvedimenti dovuti - magari più equi rispetto a quelli adottati - ma non sono certo le dichiarazioni tattiche con evidente intenzione mediatica le ricette per la ripresa nazionale. Essa, infatti, pone una questione morale che non è quella agitata da Di Pietro, un misto di dannunzianesimo e futurismo intellettuale che, però, gli porta frutti a sinistra.
Qui è in gioco il Paese nel suo essere profondo, quello riguardante la sua conformazione valoriale; la natura della sua politica democratica dipende da ciò e il vivere dello "spirito della Repubblica", quale legge non scritta che ci motiva tutti.
E' da qui che bisognerebbe ripartire, ma il treno è fermo e la biglietteria della stazione chiusa. Seguitando così, alla fine, la stazione chiuderà del tutto e il treno lasciato lì, abbandonato su binari morti. E' notorio, infatti, che la Provvidenza si occupa di tante cose, ma, almeno in Italia, non certo di questioni ferroviarie. .
Riconosciamolo: rispetto allo sconbinamento denunciato da Salvemini mai il vecchio professore pugliese avrebbe potuto immaginare tanto.

mercoledì 7 marzo 2012

Ascoltate la Val Susa

L'appello

 

L'appello promosso da don Ciotti e Livio Pepino e sottoscritto da docenti universitari e giuristi (Mattei, Revelli, Palombarini), sindaci (Emiliano, De Magistris), dirigenti dell'associazionismo (Beni, Cogliati Dezza, don Zappolin)

 

La situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto e superato il livello di guardia. La contrapposizione muscolare di questi mesi degenera in episodi di violenza e di esasperazione che stanno provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell'intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell'ordine, popolazione.

    I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui. Non basta deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle - di tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei ad ogni forma di violenza - a questione di ordine pubblico da delegare alle forze dell'ordine.

    La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una questione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Oggi è ancora possibile. Domani forse no.

    Per questo rivolgiamo un invito pressante alla politica e alle autorità di governo ad avere responsabilità e coraggio. Si cominci col ricevere gli amministratori locali e con l'ascoltare le loro ragioni senza riserve mentali. Il dialogo non può essere semplice apparenza e non può trincerarsi dietro decisioni indiscutibili ché, altrimenti, non è dialogo. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent'anni fa. In questo periodo tutto è cambiato: sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice. E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l'opera è ormai inevitabile. L'Unione europea ha riaperto la questione dei fondi, dei progetti e delle priorità rispetto alle Reti transeuropee ed è impegnata in un processo legislativo che finirà solo fra un anno e mezzo. Lo stesso Accordo intergovernativo fra la Francia e l'Italia sarà ratificato solo quando sarà conosciuto l'intervento finanziario della UE, quindi fra parecchi mesi. E anche i lavori sulla tratta francese non sono iniziati né prossimi.

    Dunque aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell'opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe alcun ritardo né alcuna marcia indietro pregiudiziale. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo pubblico, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare nello spazio di un mese, è nell'interesse di tutti. Perché tutti abbiamo bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali.

    Un Governo di "tecnici" non può avere paura dello studio, dell'approfondimento, della scienza. Numerose scelte precedenti sono state accantonate (da quelle relative al ponte sullo stretto a quelle concernenti la candidatura per le Olimpiadi). Noi oggi chiediamo molto meno. Chiediamo di approfondire i problemi, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che l'interesse pubblico viene prima di quello dei poteri forti. Lo chiediamo con forza e con urgenza, prima che la situazione precipiti ulteriormente.