mercoledì 16 febbraio 2011

Ettore Cella-Dezza: CON LA FORZA DELLA RAGIONE CON LE ARMI DELL'ONESTÀ

LETTERA

Per voi è meglio il gay Vendola

dell'eterosessuale Berlusconi !

Prendo atto che la sinistra preferisce Vendola la cui particolarità è un peccato (che fu punito da Dio con la distruzione di Sodoma a Gomorra) a Berlusconi (che come altri politici e grandi industriali della presente epoca e come Pontefici e re fatti anche Santi e come i re David e Salomone) preferisce le donne.

A. Paggi, Roma


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Sodoma verrebbe risparmiata in nome dei "giusti" che eventualmente vi abitassero, e fossero questi "giusti" anche soltanto dieci in tutto: "Non la distruggerò per amore dei dieci" (Genesi 18, 32). La sorte della città è però segnata allorché gli abitanti accerchiano la casa di Lot nel proposito di violentare e uccidere i suoi ospiti "entrati all'ombra del mio tetto" (Gn 19, 8). Si parla qui di violazione del sacro dovere all'ospitalità e non, in primis, di omosessualità?

    Sull'omosessulità il riferimento è al Levitico (20,13): "Non giacerai con un ragazzo come con una donna", così traduce Martin Lutero. Si parla di pedofilia e non di omosessualità? Questa è, quanto meno, la tesi che un nostro vecchio compagno, Ettore Cella-Dezza, esponente storico dell'antifascismo gay europeo, illustrò in uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, quand'era ormai quasi novantenne (riportiamo il testo qui sotto, sotto il titolo: Con la forza della ragione, con le armi dell'onestà ).

Ovviamente, si possono comparare le varie lezioni e traduzioni bibliche giungendo a conclusioni diverse circa l'interpretazione dei passi di cui sopra. Resta però che, sempre nel Levitico, si legge anche questo passo: "Se un uomo commette adulterio con la moglie di uno dei suoi connazionali, i due colpevoli devono essere messi a morte" (Lev. 20.10). Questo è scritto, ma più di un Rabbi, già in epoca ellenistica, ha detto che in verità solo chi sia senza peccato può scagliare la prima pietra.

    Oggi, nelle democrazie laiche occidentali, vige un consenso abbastanza vasto circa la sfera strettamente privata cui appartengono le preferenze e le pratiche sessuali tra adulti consenzienti, fatto salvo il rispetto dovuto alla lex oltre che alla dignitas (delle persone e delle cariche pubbliche). -La red dell'ADL



IL TESTO

CON LA FORZA DELLA RAGIONE CON LE ARMI DELL’ONESTÀ

Nella città di Frauenfeld, in Svizzera, si tiene da qualche anno il Pink-Apple Filmfestival, rassegna internazionale del cinema gay. Dopo l’intervento all’edizione 2001 da parte del Presidente di turno della Confederazione Elvetica, il socialista Moritz Leuenberger (il quale si rivolse alla platea con un “Care signore e signore, cari signori e signori” che fece il giro del mondo), il discorso ufficiale del 2002 è stato affidato a Ettore Cella-Dezza. Eccone il testo in versione italiana.

di Ettore Cella-Dezza

Se oggi prendo la parola, qui a Frauenfeld, di fronte a voi, inaugurando il Pink-Apple Filmfestival 2002, penso che l’indubbio onore riservatomi consegua da quattro ragioni che proverò a enumerare. La prima deriva, credo, dal prestigioso Filmpreis assegnatomi dalla Città di Zurigo pochi mesi fa: Zurigo è vicina e nelle sue sale verrà replicato il nostro programma odierno. La seconda ragione sta, forse, nell’esperienza e nel vissuto di un ottantottenne al quale l’età tuttavia non ha ancora tolto per nulla la passione per il proprio lavoro. E permettetemi qui di aggiungere, in terzo luogo, che non si finisce mai d’imparare. In quarto e ultimo luogo vi sono, direi, le mie opinioni sulla sessualità e sull’amore: binomio tutt’oggi controverso, spesso avvolto da dubbie forme d’interesse morboso e quasi universalmente considerato un tabù.

    Diciamo subito che a causa di questo tabù l’umanità, o almeno una “minoranza” in essa, vuoi di sesso femminile che di sesso maschile, soffre dai tempi mosaici. Nell’Antico Testamento, e segnatamente nel Levitico, si legge il seguente precetto:

 

Non giacerai con un ragazzo come con una donna,

ché è cosa abominevole. (Lev. 20.13)

 
E certamente un siffatto giacere è abominevole: circonvenzione e violenza, comportamenti entrambi che, e a buon diritto, vengono tutt’oggi sanzionati dalla legge. Ma amare esclude ogni circonvenzione e ogni violenza. L’amore è tutt’altra cosa. Sì, io credo che amare sia tutt’altra cosa e credo che nessuno, amando senza circonvenzioni e violenze, possa compiere – o anche solo percepirsi nell’atto di compiere – qualcosa di abominevole. No, davvero, non penso che si possa parlare di abominio quando due persone adulte si amano. E, anzi, se mai qualcuno di voi, care amiche e cari amici, percepisse come abominio l’espressione del proprio amore, sarebbe bene per lei o per lui cercare un qualche aiuto terapeutico.

    Nondimeno, fin dai tempi arcaici la storia narra di leggi che vietano e di sanzioni che puniscono l’amore, soprattutto il nostro amore, lo puniscono fino all’estremo supplizio. Toccò attendere la venuta di una cultura intelligente e straordinaria come fu quella greca affinché uno spirito di maggiore libertà incominciasse a soffiare tra gli esseri umani.

    Di questa libertà i grandi padri e le grandi madri della cultura greca, nonché del pensiero e della letteratura universali – da Saffo a Socrate, da Platone ad Aristofane a tanti altri – ci hanno lasciato testimonianze per altro perenni. Parlo di capolavori assoluti, che vennero però originariamente concepiti e recepiti nella cornice quotidiana di splendide città e anfiteatri. E permettetemi di sottolineare, con tutto l’orgoglio di un vecchio uomo di spettacolo, che un tratto caratteristico della cultura greca fu proprio la sua dimensione pubblica, simboleggiata dal teatro.

    Non a caso fu per effetto dell’onda culturale ellenistica che – dalla Persia alla Tunisia, da Epidauro ad Atene a Siracusa – nacquero teatri grandiosi, che potevano ospitare fino a sedicimila spettatori. Di qui viene la robusta civiltà teatrale dell’Occidente, di qui la capacità del teatro di motivare anche dopo il tramonto delle poleis greche ulteriori generazioni di artisti, e non tra i peggiori, che seppero proseguire su questa via. Di qui nacquero l’entusiasmo e la passione che condussero a edificare altri grandi anfiteatri – a Taormina e a Verona, a Pompei e ad Avenches – dove vennero riproposte le commedie di un Plauto e di un Terenzio, e dove ebbero luogo anche dispute su argomenti di pubblico interesse, agoni di poesia, vere e proprie olimpiadi dello spirito e dell’intelletto.

    Nelle egloghe di Virgilio, nelle liriche di Saffo, nei metri e nelle rime di non pochi letterati antichi sopravvivono altissime testimonianze tanto del sentimento amoroso quanto di un’autonomia intellettuale invidiabile.

    E poi? Cos’è successo, dopo? Fino a ieri, o all’altro ieri, è successo che l’uno e l’altra, tanto il sentimento quanto l’intelletto, vennero a noi interdetti per lunghi secoli: sia nell’ambito della vita quotidiana, sia in quello della letteratura o del teatro. E la stressa interdizione è valsa, in tempi più recenti, per la televisione, la radio e il cinematografo, giacché – lasciatemelo dire a chiare lettere – è soprattutto di silenzio censorio e non d’altro che sono intessuti a tutt’oggi i nostri media.

    Parlo di un silenzio censorio che viene da lontano; che inizia con la traduzione biblica, la cosiddetta “Itala”, del 195 d.C. e poi, ancor di più, con la versione approntata da Girolamo nel 392; parlo di un’attitudine censoria e repressiva che inizia insomma con la “cristianizzazione” dell’Occidente; parlo di un processo storico che sicuramente non ebbe luogo all’insegna del comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma che tutt’altrimenti recò in sé il segno curiale e romano di una chiesa ormai totalmente dominata dalla propria sete di potere.

    Durante tutta l’epoca tardo-antica e durante tutto il medioevo la chiesa ha letteralmente messo a ferro e a fuoco ogni libertà sessuale. Né, va detto, la pratica della tortura e del rogo cessarono con l’avvento della cosiddetta età umanistica o della cosiddetta età dei lumi. No, care amiche e cari amici, interdizione e persecuzione sempre! Dal passato remoto fino al tempo presente.

    La chiesa oggi moltiplica i suoi appelli ovunque affinché tutte le persone di buona volontà servano la pace tramite lo strumento del perdono: Perdona il tuo nemico! Il che mi sembrerebbe un’istanza in sé condivisibile. Ma non pare, in duemila anni, alla chiesa stessa esser mai riuscito di dare seguito a questa sua istanza.

    Si grida “pace pace”, ma la guerra continua. Perché? Forse perché la chiesa non osa mettere in questione alcuni pseudo-fondamenti sociali della propria dottrina. Certo, anche per una certa incoerenza tra il piano delle parole e quello dei fatti.

     “Ama il prossimo tuo come te stesso” – il comandamento evangelico vale sì per tutti, ma, care amiche e cari amici, la chiesa sembra dimenticarsene quando si tratta di certe “minoranze” rispetto alle quali si rimane fermi alle giaculatorie di condanna: “Orsù, figliolo, tu devi... è proibito... è peccato grave!”. Insieme al dito alzato, vagamente minaccioso, della morale tradizionale, resta in vigore il monito a non mai turbare il “comune senso del pudore”. Tanto più che ciò diffonderebbe solo insicurezza... Meglio, dunque, non parlarne, meglio imbavagliare, stroncare e sopire... Insomma, ecco a voi il tabù.

    Fortunatamente, anche all’interno della chiesa, aumenta il novero di religiose e di religiosi – non necessariamente coinvolti nel nostro tema per vicende o travagli personali – che hanno il coraggio e l’onestà di sostenere in santa coscienza una posizione diversa da quella ufficiale, anche al prezzo di venire a loro volta “silenziati”.

    La ragione di questo breve excursus storico è presto detta: ho voluto, con le mie parole, esemplificare che nonostante tutto e dopo tutto lottare serve, lottare non è affatto una cosa inutile. Se così non fosse, pensiamoci un istante, noi certo non potremmo starcene oggi qui riuniti in questa bella sala della città di Frauenfeld per celebrare un festival del cinema gay. Noi oggi possiamo fare questo in quanto rappresentiamo una minoranza combattiva e aggregante, capace di evolversi e di indurre all’evoluzione anche i nostri media. Rappresentiamo una minoranza che non vuole, né deve più, accettare qualunque prepotenza.

    Tutto ciò oggi è possibile qui, nel Paese che ospita questo festival, la Svizzera – e ciò sia detto senz’ombra di vanità o boria nazionale – perché in questo Paese durante lo scorso secolo e anche in quello precedente hanno vissuto personalità che seppero spendere la loro intelligenza nella lotta– e ne cito tre fra tutti: Hösli, Meyer e von Knonau. Così facendo seppero imprimere un impulso all’intera società, pur tra mille sofferenze e al prezzo di sacrifici pagati in prima persona: sofferenze e sacrifici a cui noi, care amiche e cari amici, oggi noi dobbiamo parte della nostra libertà.

    Da tutto ciò dobbiamo trarre motivo per proseguire – con mezzi pacifici – la nostra lotta. Con mezzi pacifici: perché non è né con battaglie campali né con altre operazioni di guerra che si risolvono i problemi dell’umanità. Ogni giorno sperimentiamo questa semplice verità, sebbene l’orda militarista non intenda averne contezza. Eppure, le conseguenze della guerra sono – oltre agli immani cumuli di macerie – immani cumuli di menzogne e di paure, di squallori e di miserie, di lutti e di tormenti, di persone care morte e di furiose brame di vendetta. Come non vedere che tutto ciò rischia di alimentare nuove spirali di odio, innescando prima o poi il tragico circolo vizioso di nuove guerre?

    A chi vorrebbe tacitarci dicendo che, però, le guerre ci sono sempre state, io rispondo: non lasciatevi incantare da queste parole, non lasciatevi chiudere la bocca, fate che la pace non sia un tabù!

    Ecco, bisogna lottare con la forza della ragione, impiegando le armi dell’onestà, della rettitudine e dell’intelligenza. E in tal senso le possibilità offerteci dai mezzi di comunicazione sembrano oggi varie e numerose quanto basta. Ricordiamoci che nella storia non sono mai mancati donne e uomini capaci di raccogliere la sfida della lotta per la libertà e l’emancipazione, anche quando ciò comportava il prezzo di incomparabili sacrifici.

    Quanti di loro sono andati incontro alla discriminazione sul lavoro? O alla disoccupazione? O al licenziamento? Quanti sono finiti in carcere? Quanti i morti in un campo di concentramento? O quelli costretti alla fuga per evitare la morte? Quanti vennero indotti alla disperazione e al suicidio? E quanti, ancor oggi, cercano riparo nella folla anonima delle grandi metropoli abbandonando il paese in cui sono nati, essendo per loro impossibile condurvi liberamente un’esistenza minimamente serena?

    Vorrei ricordare Magnus Hirschfeld, autore di uno studio scientifico su questo speciale aspetto dell’urbanesimo e fondatore a Berlino di un centro di accoglienza. Lui stesso dovette riparare in Svizzera per evitare la camera a gas.

    Vorrei ricordare, in quegli stessi anni, l’attore e scrittore turgoviese Karl Meier, noto anche come “Rolf”, che assieme al lavoro portava avanti una coerente militanza culturale antifascista nel cabaret Cornichon; fondò la rivista Kreis come pure l’omonimo centro di cultura, che ebbe vasta risonanza presso l’opinione pubblica di tutto il mondo libero.

    Rivoluzionarie e paradigmatiche furono, nel secondo dopoguerra, Rosa von Praunheim, regista di pellicole sfrontate e sconcertanti, un sempre malfamatissimo Rainer Werner Fassbinder e un Pier Paolo Pasolini continuamente bersagliato da querele a causa dei suoi film sessuo-politici che avevano conquistato un vastissimo pubblico, seppure a mio avviso su un piano talvolta meramente voyeuristico.

    Infine, per ciò che concerne la letteratura, non intraprendo nemmeno un elenco di tutti quelli che – dopo Whitman e Wilde, da Gide a Cocteau, da Genêt a Sartre a White e Baldini e Vidal e Monicelli e cento altri – hanno contribuito a combattere il pregiudizio.

    Ma giunti sin qui, quel che mi preme è sottolineare un punto a mio avviso essenziale: care amiche e cari amici, nella vita non si hanno soltanto dei diritti, ci sono anche i doveri. Che chiedono di essere osservati con coscienziosità, verità e amore.

    In molti paesi del mondo il nostro festival non potrebbe avere luogo. In 35 nazioni vige la pena di morte. E durante l’anno 2001 le agenzie di stampa hanno dato notizia di ottantuno tra decapitazioni e lapidazioni di persone accusate di: “omosessualità”.

Il cammino da compiere, come si vede, è ancor lungo. Perciò, se un festival cinematografico ci può ben apparire una goccia su una pietra rovente, non di meno lasciateci sperare che, prima o poi, perseverando, anche questa goccia peserà, conterà, contribuirà ad alimentare una pianta fertile che porterà i suoi frutti.

    Per noi qui i frutti iniziano anzitutto dalla ricchezza emozionale che il cinema sa regalarci: nel pianto, nel riso e nella riflessione.

    Perciò, un grazie a tutti coloro che hanno dedicato le loro energie all’organizzazione di questo Pink Apple Festival di Frauenfeld e che meritano di raccogliere pieno successo. Vi auguro di non mollare mai e di continuare sempre a combattere con intelligenza e con onestà. Grazie della vostra attenzione.

Da: Ettore Cella-Dezza, Nonna Adele, Edizioni dell'Avvenire dei lavoratori, Zurigo 2004, pp. 184-192.
       

IRAN - ARRESTO KARROUBI CONTRO LA CONVENZIONE DIRITTI POLITICI

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Pietro Mercenaro (PD): "Teheran teme contagio democratico".

"L'arresto preventivo da parte delle autorità iraniane di Mehdi Karroubi, uno dei principali esponenti dell'opposizione iraniana, costituisce l'ennesima violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti politici e civili che l'Iran ha sottoscritto e ratificato. Allo stesso tempo è un fatto che testimonia che nonostante la dura repressione l'opposizione è viva e temuta dal governo". Lo dice il senatore del Pd Pietro Marcenaro, presidente della commissione per i diritti umani.

    "L'apparato repressivo - prosegue Marcenaro - che viene dispiegato per impedire la manifestazione convocata dall'Onda Verde il prossimo lunedì 14 febbraio, in solidarietà con le dimostrazioni in Tunisia e Egitto, dice che il regime sa che quelle mobilitazioni popolari hanno gli stessi obbiettivi di libertà di quelle  che, dopo le elezioni del giugno 2009, hanno portato milioni di cittadini nelle strade di Teheran e delle altre città iraniane e teme il pericolo del contagio democratico. Vedremo - conclude Marcenaro - se anche nei confronti di Teheran prevarrà, nel comportamento del governo italiano, quel malinteso realismo politico che ha impedito di dire una parola chiara e tempestiva sugli avvenimenti di Tunisia e Egitto o se ci si ricorderà in questa circostanza di chiedere la fine della repressione, la liberazione delle persone detenute per le loro opinioni, la sospensione delle condanne a morte e delle esecuzioni capitali".      



SITI PER SCORIE RADIOATTIVE

"Il ministero dello Sviluppo economico conferma che la  Sogin, la società pubblica che ha il compito di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi, ha  predisposto e trasmesso al Governo, un elenco di 52 aree con caratteristiche adeguate per ospitare i siti per le scorie nucleari, e che questa lista non viene per ora divulgata. Le aree indicate, con dimensioni di circa 300 ettari e in grado di accogliere i depositi per le scorie di varia gradazione riguarderebbero, tra l'altro, il viterbese, la Maremma, l'area di confine tra la Puglia e la Basilicata, le colline emiliane, alcune zone del piacentino e del Monferrato" - lo dicono i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, che rendono pubblico quanto esposto nella risposta all’interrogazione parlamentare presentata lo scorso settembre.

    “La lista – continuano i senatori del Pd -  viene formalmente classificata come una bozza dal ministero dello Sviluppo economico, che conferma tuttavia come sia ‘un apprezzabile impegno sulla strada dell’individuazione del sito dove realizzare il deposito nazionale’.

Il ministero inoltre aggiunge che l’operatività della lista è legata al completamento delle nomine dell’Agenzia per la sicurezza Nucleare, che come è noto, dopo un percorso particolarmente accidentato, sono state confermate dal Consiglio dei Ministri lo scorso 28 gennaio. Tutto è pronto dunque per far partire la lotteria delle scorie radioattive, mentre si sta prefigurando quello che da tempo denunciamo, ovvero che in segreto e senza il coinvolgimento dei territori interessati il Governo procede sulla via del  ritorno all’energia atomica a tappe forzate, con i cittadini che si troveranno loro malgrado posti di fronte a scelte già compiute".

    "La decisione di tenere segreto – concludono i senatori democratici - l'elenco dei siti ritenuti idonei ad ospitare il deposito delle scorie radioattive è del tutto inaccettabile: contraddice infatti l'esigenza di procedere nella massima chiarezza e nel coinvolgimento di tutti gli interessi coinvolti alla scelta dei siti nazionali, oltre ad essere una scelta che già in passato, ricordiamo Scanzano Jonico, si è dimostrata sbagliata e controproducente”.    



CROCIFISSO OBBLIGATORIO

DA MUSSOLINI A BOSSI (RENZO)

di Marco Cappato - Associazione Luca Coscioni

La proposta di legge regionale presentata in Lombardia da Renzo Bossi – che prevede l'obbligatorietà di un simbolo religioso in tutti gli edifici pubblici, e anche negli edifici dati in uso ad associazioni che perseguono finalità di interesse collettivo, con sanzioni fino a 1.200 euro – non va sottovalutata nella sua gravità, in particolare da parte dei cattolici laici. Non è infatti necessariamente vero che quando le tragedie della storia si ripetono prendono la forma della farsa. La strategia concordataria di Mussolini, che impose il crocefisso come arredo obbligatorio dello Stato fascista nel contesto di una politica volta a utilizzare la religione come strumento di potere, finì nella tragedia delle leggi razziali e della guerra, oltre che nella tragedia personale di Mussolini stesso. Oggi è nel nome del medesimo utilizzo abusivo della religione in politica che il Governo specula sui malati terminali, convocando per domani la Giornata della violenza di Stato su chi non è in grado di intendere e di volere.

    Sono nuove tragedie che nascono dal potere clericale, ed è per questo che la proposta di Renzo Bossi va presa molto sul serio e combattuta, in particolare nella Lombardia di Comunione e liberazione e del Presidente Formigoni, delle sue firme false, della cacciata di Englaro, della sepoltura dei feti e della violazione della legge sull'aborto. Mi auguro che siano proprio i cattolici laici a opporsi per primi all'utilizzo abusivo della loro religione, alla riduzione dei simboli religiosi a suppellettili burocratiche del potere leghista e ciellino.    



Lato oscuro della Padania

E’ in libreria SVASTICA VERDE. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci, Roma 2011, Editori Riuniti, euro15,00.Di seguito l’introduzione.

di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci

Insieme alla Lega è cresciuta, in questi anni, la letteratura sull’argomento: il dibattito si è arricchito di analisi e saggi, spesso pregevoli, sulle origini del movimento leghista, sulla sua storia e le sue svolte. Sui fattori di disagio o di crisi che il Carroccio ha sfruttato per affermarsi. Inoltre gli esponenti leghisti, che fino ai primi anni Novanta erano stati piuttosto snobbati da stampa e televisione, sono diventati ospiti fissi di molte trasmissioni ben disposte e accomodanti, che hanno contribuito a dipingere la Lega sotto una luce migliore.

    Viene accreditata come radicamento e attenzione ai problemi del  territorio la furbesca capacità della Lega di cavalcare le paure e di far leva sugli istinti per impossessarsi del potere e arraffare tutte le poltrone disponibili.

    Vengono elogiati gli amministratori leghisti per la loro concretezza, nonostante qualche espressione o qualche comportamento ruvido, per usare un eufemismo, fatti passare come sano e ritrovato spirito popolare.

    Vengono declassati a innocue e risibili sparate folcloristiche linguaggi, gesti triviali, gesti e comportamenti violenti, che ricordano le camicie nere e i cappucci bianchi del Ku Klux Klan, o altre camicie verdi di estrema destra, come le Croci frecciate ungheresi e la Guardia di ferro rumena.

    Inoltre, mentre ad alcuni rappresentanti politici di altri movimenti o partiti viene applicata una censura immediata, a Bossi e ai suoi viene lasciata piena libertà di parola, o meglio, d’insulto: essere politicamente scorretti è stigmatizzato per chi fischia o contesta il potere, mentre per il senatùr e gli altri esponenti leghisti la regola non vale.

    Lo strumento più semplice e più diretto per contestare il quadretto idilliaco cui è ridotta  la Lega Nord ci è parsa un’antologia. Ecco quindi “la Lega raccontata dalla Lega”, attraverso una raccolta sistematica e ampia, anche se ovviamente incompleta, di opinioni e dichiarazioni dei dirigenti leghisti, degli articoli de La Padania e delle proposte legislative, di iniziative nazionali e locali tratte dalla nuda cronaca, aggiornate ai primi giorni del dicembre 2010. Qualche volta si tratta di riflessioni e di ricostruzioni giornalistiche particolarmente efficaci.

    Il risultato ci pare eloquente. La Lega si spiega da sé e il quadro complessivo smentisce tutte le sue tranquillizzanti rappresentazioni. Un movimento apparentemente pacifico, mosso da un onesto desiderio di garantire ai cittadini legalità, sicurezza, decentramento, federalismo e snellimento della macchina burocratica, cala la maschera, mostrando, invece, i lineamenti inconfondibili e brutali di un movimento eversivo, razzista e tendenzialmente totalitario, che ha come unico obiettivo la conquista e la gestione dispotica del potere. La Lega mira a una doppia occupazione: quella dell’immaginario, mediante una forte produzione simbolica, per ora vincente anche a causa del venir meno delle altre grandi narrazioni, e quella del territorio, mediante una lenta penetrazione per via elettorale o mediante alleanze e intese con lobby e centri di potere politico, economico e bancario.

    Il carattere eversivo del movimento leghista è scritto nel suo stesso nome, che recita ancora oggi “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. Un obiettivo riconfermato da Bossi appena qualche mese fa, nel settembre 2010, a Pontida. Il sovvertimento dell’ordine costituzionale, secondo cui la Repubblica è «una e indivisibile», resta lo scopo di un partito i cui massimi esponenti hanno giurato come ministri sulla Costituzione. Forse sarebbe più corretto dire spergiurato. Maroni, per esempio, è stato reclutatore nel 1996 della Guardia padana e per molto tempo è stato indagato insieme ad altri per banda armata: un ministro degli Interni che dovrebbe garantire, invece, la legalità e la sicurezza dello Stato.

    Al secessionismo, proclamato in nome della Padania e dei padani, di una nazione e di un’etnia inesistenti (1), si accompagna un conclamato razzismo contro chi non è padano: che si tratti di romani, meridionali, immigrati, disabili e gay poco importa. Tutti diversi, quindi nemici. Tutti «fuori dalla Padania», oppure dentro quando e per quanto servano come mano d’opera da sfruttare in nero. Per poi magari essere tolti dalle graduatorie, se insegnanti o magistrati meridionali, come la Lega sogna. Peggio ancora se rom o migranti: espulsi, sgomberati ed esclusi dal diritto alla scuola, alla casa o alla salute. Meglio respingerli in mare, negando loro diritto all’asilo e mandandoli a sicura morte in paesi come la Libia, che non rispettano i diritti umani (negati del resto anche in Italia ai migranti rinchiusi in zone di non diritto come i Cie).

    Si tratta di un razzismo su base etnica, come quello nazista che si richiama alla razza ariana (2). Ad esso si accompagna un sessismo becero, analogo a quello del loro alleato e amico Berlusconi, che si serve delle battute o delle immagini più logore e dei più biechi luoghi comuni per ribadire l’assoluta supremazia del maschio, bianco s’intende. Tale razzismo si riflette in un’idea proprietaria del territorio e del potere, in base alla quale chi ha la maggioranza dispone delle istituzioni come vuole. Marchiando, per esempio, la scuola pubblica, le strade e i ponti con i simboli di partito. Seguendo il modello dei regimi totalitari. Svastica verde, appunto: da Adro a Buguggiate, da San Martino di Lupari a Castronno.

    Che l’unico obiettivo del ceto politico leghista sia il potere, tanto odiato quanto invidiato e conteso a «Roma ladrona», è documentato anche dall’opportunismo senza princìpi che portò la Lega prima ad agitare in Parlamento il cappio, chiedendo l’intervento della magistratura contro i corrotti o invocando i rigori della legge contro «il mafioso di Arcore», poi a solidarizzare proprio con Berlusconi e a votare tutte le leggi ad personam necessarie per tenerlo fuori dalla galera insieme ai suoi parlamentari e sodali indagati per mafia o altri reati. È la stessa disinvoltura di cui la Lega dà prova servendosi strumentalmente della religione a fini di potere, passando dai matrimoni celtici e dal culto pagano del Dio Po alla campagna in favore del crocefisso e del  presepio. Oppure dall’intesa con monsignor Fisichella e le solitamente compiacenti gerarchie vaticane in «difesa della vita» e contro la pillola Ru486 agli insulti contro l’«imam» Tettamanzi, troppo «accogliente» verso i musulmani. Doppia morale, dunque, in uno stile a metà strada tra le furbizie ingenue di una maschera popolare (quella bergamasca di Gioppino, nata in funzione antinapoleonica, come ricorda la saggista francese Lynda Dematteo) e il più puro berlusconismo, di chi si sente sopra la legge e intoccabile perché investito di alte missioni. Doppio linguaggio anche: giustizialista se ci si trova all’opposizione, autoassolvente se si è al potere. Lampante il caso delle campagne a suo tempo condotte dalla Lega contro l’uso delle auto blu o per la soppressione delle Provincie: oggi sono utilizzate le une e difese le altre.

    Naturalmente non sono mancati, nel corso dei decenni, manifestazioni di dissenso, seguite  dall’espulsione o dall’uscita dal movimento di esponenti anche significativi, ora contrari alle svolte moderate (come i primi e più radicali dirigenti autonomisti), ora alle accelerazioni secessioniste (l’ex presidente della Camera Irene Pivetti o l’ex sindaco di Milano Mario Formentini), ora contrari alla deriva affaristica e poltronista, come l’ex parlamentare ed ex assessore alla sanità della Regione Lombardia, Alessandro Cè. Un dissenso sulla linea del partito è stato espresso, l’ottobre scorso, anche dal vice sindaco di Abbiategrasso, Flavio Lovati, che ha criticato una politica sull’immigrazione ridotta a parlare «alla pancia», definendo «fascista» la marchiatura della scuola di Adro, denunciando anche come la Lega si fosse «appiattita» sul berlusconismo e fosse diventata sempre più «romana». Ma né fuoriuscite, né manifestazioni di dissenso, peraltro duramente represse come quella di Lovati, subito rimosso dal suo incarico, sono valse finora a cambiare il volto di un partito secessionista, anticostituzionale, razzista, affamato di potere e di poltrone, illegale ed eversivo; sotto processo da quattordici anni per banda armata, ma autoassoltosi, avendo cancellato tale reato (3). In compenso, però, ha inventato quello d’immigrazione clandestina.

    Tuttavia la Lega non sarebbe arrivata a prendere con il 10 per cento dei voti su scala nazionale il 90 per cento delle decisioni di governo, a infettare le istituzioni e a diffondere il razzismo dal Nord al Sud del paese, se non fosse stata coccolata a turno dalla destra e dalla sinistra. Se non fosse stata, dunque, legittimata a essere perno della politica italiana. È lo stesso Bossi a dire che la Lega «porta voti». Ma anche i media hanno la loro parte di responsabilità, avendo concesso agli esponenti della Lega uno spazio spropositato nei vari talk-show, tutti tesi a inseguire le dichiarazioni sopra le righe, il turpiloquio, le risse verbali e non che la Lega assicura, portando audience. È una grave responsabilità condivisa da politici, conduttori televisivi, intellettuali, se esponenti di un partito che vìola i principi della nostra Costituzione, attraverso la minaccia della secessione e l’incitamento all’odio razziale, siedono in Parlamento e se possono esibire perfino nel nome il loro scopo eversivo: “l’Indipendenza della Padania”.

    L’augurio è che queste pagine aiutino a far comprendere meglio cosa sia la Lega e perché rappresenti, al pari degli altri partiti di estrema destra in ascesa in Europa, una minaccia mortale per la convivenza civile, da contrastare anche sul piano giudiziario, in Italia e davanti la Corte europea di Strasburgo, ma soprattutto su quello politico e culturale.

    1) I termini “Padania” e “padani” dovrebbero essere sempre scritti fra virgolette per non confonderli con regioni o popoli realmente esistenti. Ma, data la loro ricorrenza, ciò avrebbe appesantito la lettura. Si è quindi deciso di scriverli senza virgolette limitandoci ad avvertire qui che sono, come il Paese dei balocchi o il gatto con gli stivali, nomi di fantasia.

    2) Sui legami diretti dei leghisti col nazional-socialismo si veda la postfazione di Annamaria Rivera.
    3) E’ stato fatto l’8 maggio scorso infilando in un decreto sul “Codice dell’Ordinamento Militare” una norma con cui si abolisce il dl 14/2/1948 n. 43 che puniva «chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare», con scopi politici e compiendo o minacciando violenze.  

GIULIANO AMATO - L'Italia di oggi, fra Unione Europea e attese di federalismo

Dall'Istituto Italiano di Cultura di Zurigo
riceviamo e volentieri segnaliamo

GIULIANO AMATO - CONFERENZA SUL TEMA:

L’Italia di oggi, fra Unione Europea e attese di federalismo

Giovedì, 24 febbraio 2011, ore 17.30

Università di Zurigo - Rämistrasse 69 - Sala SOC-1-106

MANIFESTAZIONE PER I 150 ANNI DELL'UNITÀ D'ITALIA