FONDAZIONE NENNI
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Tra pochi giorni ricorre il quarantennale dalle prime elezioni a suffragio universale diretto e si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo: è anche l'occasione per interrogarsi sui progressi che il Parlamento europeo ha compiuto e sulle sfide che lo attendono nell'immediato futuro.
di Antonio Tedesco
Sebbene le elezioni europee siano un appuntamento importante, finora sono stati sempre meno i cittadini europei ad avere esercitato il diritto fondamentale al voto. La scarsa conoscenza dei temi europei è molto probabilmente una delle cause della disaffezione dei cittadini nei confronti dell'Ue, della crescita di consenso delle forze "euroscettiche" e del conseguente astensionismo.
Dalla prima elezione diretta nel 1979 ad oggi, il peso del Parlamento europeo è notevolmente cresciuto: la sua azione plasma la legislazione europea che influisce su moltissimi aspetti del vivere quotidiano. Votare alle elezioni europee significa, dunque, scegliere chi influenzerà l'avvenire di quasi 400 milioni di cittadini europei per i prossimi 5 anni. Quello di avere un parlamento elettivo è stato un processo lungo, tortuoso e pieno di ostacoli ma un progetto politico ambizioso condiviso da migliaia di federalisti europei. Vediamo le principali tappe, partendo dalla Resistenza e da uno dei suoi protagonisti: Eugenio Colorni. Intellettuale socialista, coautore del Manifesto di Ventotene, ucciso dai fascisti della banda Kock pochi giorni prima della Liberazione di Roma, Colorni intervenendo all'esecutivo del rifondato partito socialista italiano (che assunse la denominazione di PSIUP) nell'agosto del 1943, sostenne che: "l'unica premessa per rendere impossibile che ogni conquista politica, economica e sociale venga travolta da una nuova guerra imperialista, è la formazione di un'unica Federazione Europea con istituzioni rappresentative alle quali i cittadini eleggono i loro rappresentanti direttamente e non per il tramite dei vari stati". Questa sfida venne raccolta dal Movimento federalista italiano guidato da Spinelli. Dopo la seconda guerra mondiale sulla base dell'intuizione di Monnet, il Ministro degli esteri francese Robert Schuman, il 9 maggio del 1950, varò un piano pensato per pacificare i rapporti tra Francia e Germania, che si erano storicamente contese il Bacino della Ruhr, zona mineraria di confine con l'obiettivo di raggiungere alla gestione comune delle risorse strategiche di carbone e acciaio, attraverso la fissazione di prezzi e quantitativi di produzione. Oltre a Germania e Francia, anche Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi firmarono il Trattato di Parigi che nel 1951 dava vita alla CECA, la Comunità Europea del carbone e dell'acciaio, accettando di delegare la propria sovranità.
La Comunità era composta da una serie di istituzioni, tra cui l'Alta Autorità (l'antenata della Commissione Europea), collegio di nove membri nominati dagli Stati e totalmente indipendenti durante il loro mandato di sei anni) e il Consiglio, composto dai rappresentanti dei governi nazionali, incaricato di armonizzare l'azione dell'Alta Autorità con quella degli Stati membri.
In questo quadro istituzionale, in cui le decisioni da prendere avrebbero avuto essenzialmente carattere tecnico, non sembrava necessario prevedere un organo propriamente politico come un'assemblea parlamentare.
Al contrario, i federalisti europei, richiamandosi al Manifesto di Ventotene rivendicavano la necessità di creare in Europa un forte Stato sovranazionale, con la creazione di un'assemblea legislativa. Sotto la spinta dei federalisti anche la CECA venne dotata di un'"Assemblea comune": seppure con poteri esclusivamente consultivi e senza alcuna possibilità di iniziativa legislativa e i 78 membri dell'Assemblea erano nominati dai rispettivi parlamenti nazionali.
Nel 1957 avvenne la svolta con il Trattato di Roma che istituiva la CEE (Comunità Economica Europea) che conferì all'Assemblea il compito di elaborare progetti "intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto". Un passo avanti fu fatto nel 1962 con il cambiamento della denominazione, da "Assemblea comune" in "Parlamento europeo". A causa della riluttanza di alcuni Stati il percorso subì una frenata. Solo nel 1974, al Vertice di Parigi, si stabilì di indire le elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo.
Dopo il ventennale cammino per l'approvazione del suffragio universale, le prime elezioni europee vennero fissate per il giugno del 1979. L'Italia scelse di votare il 10 giugno, una settimana dopo le elezioni politiche. Gli italiani accorsero in massa a votare. Il risultato elettorale alle europee non si discostò molto da quello delle politiche. Guadagnò qualcosa il PSI che si era orientato su posizioni molto europeiste. Tutti i partiti italiani misero in campo i loro "pezzi da novanta" e fa un certo effetto leggere i nomi di alcuni dei politici eletti.
La DC elesse, per citarne alcuni, Emilio Colombo, Luigi Macario, Flaminio Piccoli, Mariano Rumor, Benigno Zaccagnini. I comunisti, tra gli altri, Giorgio Amendola, Enrico Berlinguer, Nilde Iotti, Giancarlo Pajetta, Altiero Spinelli (come indipendente di sinistra).
I socialisti portarono in Europa Gaetano Arfé, Bettino Craxi, Giorgio Strehler, Mario Didò, Mauro Ferri, Carlo Ripa di Meana, Giorgio Ruffolo, Mario Zagari, e il leader della "Primavera di Praga" Jiri Pelikan. Furono eletti i liberali Susanna Agnelli e Sergio Pininfarina, i radicali Emma Bonino, Marco Pannella e Leonardo Sciascia. Riuscirono ad essere eletti anche Mario Capanna (Democrazia Proletaria) e Luciana Castellina, del Partito di Unità Proletaria per il Comunismo.
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