mercoledì 16 febbraio 2011

Ettore Cella-Dezza: CON LA FORZA DELLA RAGIONE CON LE ARMI DELL'ONESTÀ

LETTERA

Per voi è meglio il gay Vendola

dell'eterosessuale Berlusconi !

Prendo atto che la sinistra preferisce Vendola la cui particolarità è un peccato (che fu punito da Dio con la distruzione di Sodoma a Gomorra) a Berlusconi (che come altri politici e grandi industriali della presente epoca e come Pontefici e re fatti anche Santi e come i re David e Salomone) preferisce le donne.

A. Paggi, Roma


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Sodoma verrebbe risparmiata in nome dei "giusti" che eventualmente vi abitassero, e fossero questi "giusti" anche soltanto dieci in tutto: "Non la distruggerò per amore dei dieci" (Genesi 18, 32). La sorte della città è però segnata allorché gli abitanti accerchiano la casa di Lot nel proposito di violentare e uccidere i suoi ospiti "entrati all'ombra del mio tetto" (Gn 19, 8). Si parla qui di violazione del sacro dovere all'ospitalità e non, in primis, di omosessualità?

    Sull'omosessulità il riferimento è al Levitico (20,13): "Non giacerai con un ragazzo come con una donna", così traduce Martin Lutero. Si parla di pedofilia e non di omosessualità? Questa è, quanto meno, la tesi che un nostro vecchio compagno, Ettore Cella-Dezza, esponente storico dell'antifascismo gay europeo, illustrò in uno dei suoi ultimi discorsi pubblici, quand'era ormai quasi novantenne (riportiamo il testo qui sotto, sotto il titolo: Con la forza della ragione, con le armi dell'onestà ).

Ovviamente, si possono comparare le varie lezioni e traduzioni bibliche giungendo a conclusioni diverse circa l'interpretazione dei passi di cui sopra. Resta però che, sempre nel Levitico, si legge anche questo passo: "Se un uomo commette adulterio con la moglie di uno dei suoi connazionali, i due colpevoli devono essere messi a morte" (Lev. 20.10). Questo è scritto, ma più di un Rabbi, già in epoca ellenistica, ha detto che in verità solo chi sia senza peccato può scagliare la prima pietra.

    Oggi, nelle democrazie laiche occidentali, vige un consenso abbastanza vasto circa la sfera strettamente privata cui appartengono le preferenze e le pratiche sessuali tra adulti consenzienti, fatto salvo il rispetto dovuto alla lex oltre che alla dignitas (delle persone e delle cariche pubbliche). -La red dell'ADL



IL TESTO

CON LA FORZA DELLA RAGIONE CON LE ARMI DELL’ONESTÀ

Nella città di Frauenfeld, in Svizzera, si tiene da qualche anno il Pink-Apple Filmfestival, rassegna internazionale del cinema gay. Dopo l’intervento all’edizione 2001 da parte del Presidente di turno della Confederazione Elvetica, il socialista Moritz Leuenberger (il quale si rivolse alla platea con un “Care signore e signore, cari signori e signori” che fece il giro del mondo), il discorso ufficiale del 2002 è stato affidato a Ettore Cella-Dezza. Eccone il testo in versione italiana.

di Ettore Cella-Dezza

Se oggi prendo la parola, qui a Frauenfeld, di fronte a voi, inaugurando il Pink-Apple Filmfestival 2002, penso che l’indubbio onore riservatomi consegua da quattro ragioni che proverò a enumerare. La prima deriva, credo, dal prestigioso Filmpreis assegnatomi dalla Città di Zurigo pochi mesi fa: Zurigo è vicina e nelle sue sale verrà replicato il nostro programma odierno. La seconda ragione sta, forse, nell’esperienza e nel vissuto di un ottantottenne al quale l’età tuttavia non ha ancora tolto per nulla la passione per il proprio lavoro. E permettetemi qui di aggiungere, in terzo luogo, che non si finisce mai d’imparare. In quarto e ultimo luogo vi sono, direi, le mie opinioni sulla sessualità e sull’amore: binomio tutt’oggi controverso, spesso avvolto da dubbie forme d’interesse morboso e quasi universalmente considerato un tabù.

    Diciamo subito che a causa di questo tabù l’umanità, o almeno una “minoranza” in essa, vuoi di sesso femminile che di sesso maschile, soffre dai tempi mosaici. Nell’Antico Testamento, e segnatamente nel Levitico, si legge il seguente precetto:

 

Non giacerai con un ragazzo come con una donna,

ché è cosa abominevole. (Lev. 20.13)

 
E certamente un siffatto giacere è abominevole: circonvenzione e violenza, comportamenti entrambi che, e a buon diritto, vengono tutt’oggi sanzionati dalla legge. Ma amare esclude ogni circonvenzione e ogni violenza. L’amore è tutt’altra cosa. Sì, io credo che amare sia tutt’altra cosa e credo che nessuno, amando senza circonvenzioni e violenze, possa compiere – o anche solo percepirsi nell’atto di compiere – qualcosa di abominevole. No, davvero, non penso che si possa parlare di abominio quando due persone adulte si amano. E, anzi, se mai qualcuno di voi, care amiche e cari amici, percepisse come abominio l’espressione del proprio amore, sarebbe bene per lei o per lui cercare un qualche aiuto terapeutico.

    Nondimeno, fin dai tempi arcaici la storia narra di leggi che vietano e di sanzioni che puniscono l’amore, soprattutto il nostro amore, lo puniscono fino all’estremo supplizio. Toccò attendere la venuta di una cultura intelligente e straordinaria come fu quella greca affinché uno spirito di maggiore libertà incominciasse a soffiare tra gli esseri umani.

    Di questa libertà i grandi padri e le grandi madri della cultura greca, nonché del pensiero e della letteratura universali – da Saffo a Socrate, da Platone ad Aristofane a tanti altri – ci hanno lasciato testimonianze per altro perenni. Parlo di capolavori assoluti, che vennero però originariamente concepiti e recepiti nella cornice quotidiana di splendide città e anfiteatri. E permettetemi di sottolineare, con tutto l’orgoglio di un vecchio uomo di spettacolo, che un tratto caratteristico della cultura greca fu proprio la sua dimensione pubblica, simboleggiata dal teatro.

    Non a caso fu per effetto dell’onda culturale ellenistica che – dalla Persia alla Tunisia, da Epidauro ad Atene a Siracusa – nacquero teatri grandiosi, che potevano ospitare fino a sedicimila spettatori. Di qui viene la robusta civiltà teatrale dell’Occidente, di qui la capacità del teatro di motivare anche dopo il tramonto delle poleis greche ulteriori generazioni di artisti, e non tra i peggiori, che seppero proseguire su questa via. Di qui nacquero l’entusiasmo e la passione che condussero a edificare altri grandi anfiteatri – a Taormina e a Verona, a Pompei e ad Avenches – dove vennero riproposte le commedie di un Plauto e di un Terenzio, e dove ebbero luogo anche dispute su argomenti di pubblico interesse, agoni di poesia, vere e proprie olimpiadi dello spirito e dell’intelletto.

    Nelle egloghe di Virgilio, nelle liriche di Saffo, nei metri e nelle rime di non pochi letterati antichi sopravvivono altissime testimonianze tanto del sentimento amoroso quanto di un’autonomia intellettuale invidiabile.

    E poi? Cos’è successo, dopo? Fino a ieri, o all’altro ieri, è successo che l’uno e l’altra, tanto il sentimento quanto l’intelletto, vennero a noi interdetti per lunghi secoli: sia nell’ambito della vita quotidiana, sia in quello della letteratura o del teatro. E la stressa interdizione è valsa, in tempi più recenti, per la televisione, la radio e il cinematografo, giacché – lasciatemelo dire a chiare lettere – è soprattutto di silenzio censorio e non d’altro che sono intessuti a tutt’oggi i nostri media.

    Parlo di un silenzio censorio che viene da lontano; che inizia con la traduzione biblica, la cosiddetta “Itala”, del 195 d.C. e poi, ancor di più, con la versione approntata da Girolamo nel 392; parlo di un’attitudine censoria e repressiva che inizia insomma con la “cristianizzazione” dell’Occidente; parlo di un processo storico che sicuramente non ebbe luogo all’insegna del comandamento evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”, ma che tutt’altrimenti recò in sé il segno curiale e romano di una chiesa ormai totalmente dominata dalla propria sete di potere.

    Durante tutta l’epoca tardo-antica e durante tutto il medioevo la chiesa ha letteralmente messo a ferro e a fuoco ogni libertà sessuale. Né, va detto, la pratica della tortura e del rogo cessarono con l’avvento della cosiddetta età umanistica o della cosiddetta età dei lumi. No, care amiche e cari amici, interdizione e persecuzione sempre! Dal passato remoto fino al tempo presente.

    La chiesa oggi moltiplica i suoi appelli ovunque affinché tutte le persone di buona volontà servano la pace tramite lo strumento del perdono: Perdona il tuo nemico! Il che mi sembrerebbe un’istanza in sé condivisibile. Ma non pare, in duemila anni, alla chiesa stessa esser mai riuscito di dare seguito a questa sua istanza.

    Si grida “pace pace”, ma la guerra continua. Perché? Forse perché la chiesa non osa mettere in questione alcuni pseudo-fondamenti sociali della propria dottrina. Certo, anche per una certa incoerenza tra il piano delle parole e quello dei fatti.

     “Ama il prossimo tuo come te stesso” – il comandamento evangelico vale sì per tutti, ma, care amiche e cari amici, la chiesa sembra dimenticarsene quando si tratta di certe “minoranze” rispetto alle quali si rimane fermi alle giaculatorie di condanna: “Orsù, figliolo, tu devi... è proibito... è peccato grave!”. Insieme al dito alzato, vagamente minaccioso, della morale tradizionale, resta in vigore il monito a non mai turbare il “comune senso del pudore”. Tanto più che ciò diffonderebbe solo insicurezza... Meglio, dunque, non parlarne, meglio imbavagliare, stroncare e sopire... Insomma, ecco a voi il tabù.

    Fortunatamente, anche all’interno della chiesa, aumenta il novero di religiose e di religiosi – non necessariamente coinvolti nel nostro tema per vicende o travagli personali – che hanno il coraggio e l’onestà di sostenere in santa coscienza una posizione diversa da quella ufficiale, anche al prezzo di venire a loro volta “silenziati”.

    La ragione di questo breve excursus storico è presto detta: ho voluto, con le mie parole, esemplificare che nonostante tutto e dopo tutto lottare serve, lottare non è affatto una cosa inutile. Se così non fosse, pensiamoci un istante, noi certo non potremmo starcene oggi qui riuniti in questa bella sala della città di Frauenfeld per celebrare un festival del cinema gay. Noi oggi possiamo fare questo in quanto rappresentiamo una minoranza combattiva e aggregante, capace di evolversi e di indurre all’evoluzione anche i nostri media. Rappresentiamo una minoranza che non vuole, né deve più, accettare qualunque prepotenza.

    Tutto ciò oggi è possibile qui, nel Paese che ospita questo festival, la Svizzera – e ciò sia detto senz’ombra di vanità o boria nazionale – perché in questo Paese durante lo scorso secolo e anche in quello precedente hanno vissuto personalità che seppero spendere la loro intelligenza nella lotta– e ne cito tre fra tutti: Hösli, Meyer e von Knonau. Così facendo seppero imprimere un impulso all’intera società, pur tra mille sofferenze e al prezzo di sacrifici pagati in prima persona: sofferenze e sacrifici a cui noi, care amiche e cari amici, oggi noi dobbiamo parte della nostra libertà.

    Da tutto ciò dobbiamo trarre motivo per proseguire – con mezzi pacifici – la nostra lotta. Con mezzi pacifici: perché non è né con battaglie campali né con altre operazioni di guerra che si risolvono i problemi dell’umanità. Ogni giorno sperimentiamo questa semplice verità, sebbene l’orda militarista non intenda averne contezza. Eppure, le conseguenze della guerra sono – oltre agli immani cumuli di macerie – immani cumuli di menzogne e di paure, di squallori e di miserie, di lutti e di tormenti, di persone care morte e di furiose brame di vendetta. Come non vedere che tutto ciò rischia di alimentare nuove spirali di odio, innescando prima o poi il tragico circolo vizioso di nuove guerre?

    A chi vorrebbe tacitarci dicendo che, però, le guerre ci sono sempre state, io rispondo: non lasciatevi incantare da queste parole, non lasciatevi chiudere la bocca, fate che la pace non sia un tabù!

    Ecco, bisogna lottare con la forza della ragione, impiegando le armi dell’onestà, della rettitudine e dell’intelligenza. E in tal senso le possibilità offerteci dai mezzi di comunicazione sembrano oggi varie e numerose quanto basta. Ricordiamoci che nella storia non sono mai mancati donne e uomini capaci di raccogliere la sfida della lotta per la libertà e l’emancipazione, anche quando ciò comportava il prezzo di incomparabili sacrifici.

    Quanti di loro sono andati incontro alla discriminazione sul lavoro? O alla disoccupazione? O al licenziamento? Quanti sono finiti in carcere? Quanti i morti in un campo di concentramento? O quelli costretti alla fuga per evitare la morte? Quanti vennero indotti alla disperazione e al suicidio? E quanti, ancor oggi, cercano riparo nella folla anonima delle grandi metropoli abbandonando il paese in cui sono nati, essendo per loro impossibile condurvi liberamente un’esistenza minimamente serena?

    Vorrei ricordare Magnus Hirschfeld, autore di uno studio scientifico su questo speciale aspetto dell’urbanesimo e fondatore a Berlino di un centro di accoglienza. Lui stesso dovette riparare in Svizzera per evitare la camera a gas.

    Vorrei ricordare, in quegli stessi anni, l’attore e scrittore turgoviese Karl Meier, noto anche come “Rolf”, che assieme al lavoro portava avanti una coerente militanza culturale antifascista nel cabaret Cornichon; fondò la rivista Kreis come pure l’omonimo centro di cultura, che ebbe vasta risonanza presso l’opinione pubblica di tutto il mondo libero.

    Rivoluzionarie e paradigmatiche furono, nel secondo dopoguerra, Rosa von Praunheim, regista di pellicole sfrontate e sconcertanti, un sempre malfamatissimo Rainer Werner Fassbinder e un Pier Paolo Pasolini continuamente bersagliato da querele a causa dei suoi film sessuo-politici che avevano conquistato un vastissimo pubblico, seppure a mio avviso su un piano talvolta meramente voyeuristico.

    Infine, per ciò che concerne la letteratura, non intraprendo nemmeno un elenco di tutti quelli che – dopo Whitman e Wilde, da Gide a Cocteau, da Genêt a Sartre a White e Baldini e Vidal e Monicelli e cento altri – hanno contribuito a combattere il pregiudizio.

    Ma giunti sin qui, quel che mi preme è sottolineare un punto a mio avviso essenziale: care amiche e cari amici, nella vita non si hanno soltanto dei diritti, ci sono anche i doveri. Che chiedono di essere osservati con coscienziosità, verità e amore.

    In molti paesi del mondo il nostro festival non potrebbe avere luogo. In 35 nazioni vige la pena di morte. E durante l’anno 2001 le agenzie di stampa hanno dato notizia di ottantuno tra decapitazioni e lapidazioni di persone accusate di: “omosessualità”.

Il cammino da compiere, come si vede, è ancor lungo. Perciò, se un festival cinematografico ci può ben apparire una goccia su una pietra rovente, non di meno lasciateci sperare che, prima o poi, perseverando, anche questa goccia peserà, conterà, contribuirà ad alimentare una pianta fertile che porterà i suoi frutti.

    Per noi qui i frutti iniziano anzitutto dalla ricchezza emozionale che il cinema sa regalarci: nel pianto, nel riso e nella riflessione.

    Perciò, un grazie a tutti coloro che hanno dedicato le loro energie all’organizzazione di questo Pink Apple Festival di Frauenfeld e che meritano di raccogliere pieno successo. Vi auguro di non mollare mai e di continuare sempre a combattere con intelligenza e con onestà. Grazie della vostra attenzione.

Da: Ettore Cella-Dezza, Nonna Adele, Edizioni dell'Avvenire dei lavoratori, Zurigo 2004, pp. 184-192.