Tonio Zappa, sceso a Roma dai monti abruzzesi per guadagnarsi un tozzo di pane. Finisce invece in galera. Le avventure di Tonio Zappa sono il punto in cui entra in scena il "cafone", qui ancora "capraro", figura cardine della poetica siloniana. Il racconto, nella traduzione tedesca approntata da Alfred Kurella sotto il titolo "Die Abenteuer des Tonio Zappa", uscì a puntate nel febbraio del 1932 sul quotidiano Berlin am Morgen. L’originale italiano è andato perduto. Una buona "ritraduzione" (curata da Giovanni Nicoli e Thomas Stein) è uscita nel primo volume di "Zurigo per Silone", che pubblicato con il testo a fronte della versione kurelliana nel 2002. Ne proponiamo qui alle lettrici e ai lettori un breve stralcio.
di Ignazio Silone
Spuntava appena l’alba quando fu svegliato dalla polizia.
– “Come ti chiami?”
– Disse il suo nome: “Tonio Zappa.”
– “Documenti?”
Documenti non ne aveva. Non aveva mai avuto a che fare con la polizia o le autorità. Era venuto a Roma per lavorare. Per quello non gli servivano documenti.
Ma i poliziotti non erano del suo parere e lo dichiararono in arresto. La prima cosa che notò il nostro capraro alzandosi fu che le sue scarpe erano sparite nonostante non le avesse tolte la sera prima di addormentarsi. Cercò qua e là in tutti gli angoli ma non le trovò. La seconda scoperta fu che mancava anche il pacchetto. La terza, che non gli era rimasto nemmeno un soldo in tasca. Ma i poliziotti non avevano tempo da perdere, lo spinsero giù per la scala e lo portarono direttamente alla stazione di polizia più vicina.
Lì fu caricato su un furgone con altri reclusi e portato alla questura di piazza del Collegio Romano. (...)
“La polizia può fare quello che vuole. Può tenerti qui un anno intero senza mai interrogarti. Dopo un anno può metterti in libertà senza mai dirti perché sei stato arrestato. Questo non capita soltanto agli ignoranti come te, ma anche a gente istruita, che ha studiato. Spesso abbiamo qui giornalisti ed ex deputati che vengono arrestati e trattenuti in prigione senza essere interrogati. E ci sono ancora studenti e giovani operai arrestati all’epoca dell’attentato di Milano nell’aprile del 1928. Fino ad oggi non sono mai comparsi davanti al giudice istruttore o a un tribunale.”
Chi parlava così era un operaio metallurgico arrestato per motivi politici. Doveva appartenere a un’organizzazione segreta. Ma nessuno si occupava di lui, e lui stesso non sapeva nemmeno di cosa lo si accusasse. Tutti gli altri compagni di cella erano ladri e briganti.
“Ma non si può, io non posso restare qui,” – spiegò Zappa – “è veramente impossibile. Mia madre aspetta il primo invio di soldi per la fine del mese. Mi dispiace, ma non posso veramente rimanere a farvi compagnia. Io devo lavorare…”.
Gli altri risero.
Ma Zappa non era in vena di ridere. Aveva davanti agli occhi la sua capanna, la madia vuota dove si tenevano le provviste; la madre e la sorella… Cosa dovevano fare se non mandava loro dei soldi?
Corse alla porta e la tempestò di pugni. Ma nessuno vi fece caso.
E gli altri risero di nuovo.