martedì 9 maggio 2017

Mandi, Leo - In morte di Leonardo Zanier (1935-2017)

Mandi, Leo

In morte di Leonardo Zanier (1935-2017) un comune amico e com­pagno, Gigi Bettoli, mi chiede di scrivere qualcosa in ricordo del grande poeta carnico. Compito non facile.

di Andrea Ermano

L'ultima volta che ho visto Leonardo Zanier nella sua casa di Maran­za­nis, in Carnia, è stato il primo maggio di tre anni fa. La sua compagna, Flora Ruchat, era morta dopo lunga malattia un anno e mezzo prima, in una sera d'ottobre, all'Unispital di Zurigo. E quella sera ricordo che, ac­compagnato dal figlio Luca, lui aveva voluto incontrarmi al Coopi. Flo­ra Ruchat-Roncati (1937-2012) era una grande donna, un architetto di genio, una personalità eccezionale. Lo aveva lasciato in una pro­stra­zione quinziana. Ma Zanier voleva rimanere combattivo. E stava preparando una presentazione a Roma della nuova edizione arabo-francese-italo-friuliana di Libers... di scugnî lâ.

Quasi esattamente quarant'anni prima, nella primavera calda del 1972, ci eravamo conosciuti a Tolmezzo dove noialtri, studenti alle prime armi, provavamo una pièce teatrale ispirata alle sue poesie. Erano i mesi della lotta per la salvaguardia del Calzaturificio Artha la cui proprietà, una volta attinto a importanti finanziamenti pubblici, aveva chiuso i battenti mettendo sul lastrico tutte le maestranze.

    Noialtri liceali solidarizzavamo. Scendemmo in piazza con i la­vo­ra­tori. Partecipammo a varie forme di protesta sindacale, tra cui una tenda allestita in piazza per "sensibilizzare" la popolazione circa la ne­cessità di difendere il lavoro e di sconfiggere la piaga dell'emigra­zione. Di qui l'esperimento teatrale in cui le poesie zanieriane – e soprattutto Dedica – costituivano la principale ispirazione. Eravamo giovanissimi. Ricordo che tra noi bazzicavano future personalità del mondo della comunicazione, della cultura e della politica: futuri giornalisti come Alberto Terasso, future rettrici d'uni­ver­sità come Cristiana Compagno, futuri governatori di Regione come Renzo Tondo.

    Quale bilancio deve trarre la nostra generazione di fronte ai massicci flussi migratori nuovamente in atto?

    In vita sua Zanier ha scritto tante cose, tra cui otto raccolte di poesie, nelle quali traspare una prepotente capacità di toccare i nervi più profondi del nostro sentire. Se «la poesia – come diceva Paul Celan –  si espone, non s'impone», bisogna riconoscere che in Zanier a esporsi è un'autenticità vertiginosa. Ma anche vertiginosamente spiritosa: Che Diaz… us al meriti!

Altrimenti non si spiegherebbe in che modo una produzione lirica sedimentatasi per lo più nel friulano iper-minoritario parlato da un pugno di persone nelle valli dell'alto Degano abbia finito per vedersi tradotta nelle principali lingue del mondo, dilagando dentro la coscienza di miriadi di lettrici e di lettori.

    Ma in vita sua Zanier non ha solo "scritto", ha anche "fatto": ha mes­so in piedi la più importante scuola di formazione per adulti a nord del­le Alpi, ha contribuito ad avviare diversi progetti dell'UE contro la po­ver­tà e la marginalità, ha ideato e fondato la struttura dell'Albergo dif­fuso nella sua Comeglians. E la lista sarebbe ancora lunga. La sua bat­taglia più importante, negli anni Sessanta, Zanier l'ha combattuta come pre­si­dente delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, la maggiore orga­niz­za­zione di massa dell'emigrazione quando infuriavano le cam­pagne d'odio guidate dai nostalgici del manganello e delle camicie brune.

    Se oggi gli "eroici" nipotini di Hitler e di Mussolini danno fuoco alle baracche dei rifugiati, neanche allora emigrare era propriamente uno scherzo: sui tram, nelle strade, nelle scuole e nei locali pubblici dei variegati "Nord" sparsi per questo continente sempre in bilico sull'orlo del razzismo il clima anti-meridionale (e in quell'epoca gli "albanesi" eravamo noi italiani) conduceva spesso a pestaggi brutali che talvolta trovavano il loro epilogo in ospedale o all'obitorio.

    Fu soprattutto grazie a esponenti della sinistra comunista (Leo Za­nier, Sandro Rodoni e Giuliano Pajetta) non meno che della sinistra socialista (Ezio Canonica, Emilie Lieberherr e Loris Fortuna) che l'on­data xenofoba fu, allora, sconfitta. Sappiamo fare di meglio noi oggi?

    Le poesie di Zanier posseggono una forza incredibile, un impatto che aumenta con il tempo. E questo vale a partire della sua opera pri­ma, testo veramente classico al quale sempre nuovamente sento l'esi­genza di tornare pur conoscendo e apprezzando tutta l'opera di Leo.

    Libers... di scugnî lâ. ("Liberi… di dover partire") uscì nel 1964 presso l'editore Del Bianco di Udine. Seguirono numerose riedizioni, inclusa quella patrocinata presso Garzanti da Tullio De Mauro, di cui ricordo le parole di alta stima. Ricordo un'omerica cena insieme ai filosofi Pier Aldo Rovatti e Helmut Holzhey, le affollatissime presenta­zioni di suoi libri, cui mi chiamò a parlare insieme alla telegiornalista tici­nese Tiziana Mona e al filologo Rienzo Pellegini. Né di­mentico l'ispirazione che Zanier seppe trasmettere a uno straordinario in­tel­let­tuale, Giorgio Ferigo, scomparso prematuramente nel 2007.

    Non posso dare conto qui di una vita così splendida e ricca di così tanti affetti, di così tanti conseguimenti.

Ritorno a Libers... di scugnî lâ. Leonardo era molto fiero della versione più recente, quella in arabo, approntata dal professor Ayad Alabbar per Effigie Editori nel 2012: «Più che poesie in lingua friulana nella loro declinazione carnica, è un'aspra sintesi della costrizione, della dispera­zione e della speranza che sono sottese al mondo dell'emigra­zio­ne», si legge nel breve testo del risvolto, certamente ispirato da Zanier stesso. «Scritto da un emigrante figlio di emigranti, il testo viene qui affian­ca­to dalle traduzioni in italiano, arabo e francese. Si vorrebbe in tal modo offrirlo a tutte quelle migliaia di uomini e donne immigrati in Italia da altri mondi, in fuga dalla fame o dalle guerre. È un percorso riconosci­bile in quello di molti nostri connazionali, partiti nel secolo scorso in cerca di fortuna, lontano dalla propria terra e dai propri cari».