lunedì 18 agosto 2008

Quando i cristiani si convertivano all'Islam

La storia dei trecentomila rinnegati che tra il Cinquecento e  i primi dell’Ottocento abiurarono in favore dell’Islam è raccontata da Massimo Carlotto nel recente romanzo  Cristiani di Allah, Milano, Edizioni E/O, 2008. Un riuscito spettacolo teatrale mutuato dal libro, con pregevolissime esecuzioni musicali, è in programmazione dal 5 aprile in molte città italiane. Storie vere e romanzate di integrazioni e apostasie. 

di Giuseppe Muscardini *)

In questi caldi mesi estivi si porta in scena nelle piazze e nei teatri italiani uno spettacolo singolare e suggestivo dal titolo provocatorio de I Cristiani di Allah. Andando a fondo, assistendovi e mescolandosi alla platea degli spettatori, si intuisce subito l’assenza di una vera provocazione, poiché il titolo è rispondente ad una verità storica inoppugnabile. Muove da eventi lontani, risalenti alla prima metà del Cinquecento, quando sulle coste del Mediterraneo un gran numero di cristiani abiurò in favore dell’Islam, alcuni con l’intenzione di trarne dei vantaggi, altri per sopraggiunta convinzione religiosa. I vantaggi si misuravano in termini di libertà di movimento da una costa all’altra, scorrazzando per mare con brigantini leggeri e depredando le flotte mercantili. Talvolta, a determinare quella scelta radicale, era invece il bisogno di dare una qualche legittimità ai rapporti affettivi personali, come nel caso delle relazioni omosessuali, punite nel mondo cristiano ma ben tollerate nella società islamica, dove si consentiva a due uomini di vivere more uxorio. Fatto è che in molti casi, anziché riservare ai cristiani di Allah un destino da pirati, la conversione religiosa permetteva loro di acquisire prestigiose cariche sociali, con investiture e prebende che utilizzavano per diventare trait d’union tra l’Islam e il mondo da cui provenivano. 

   Questo lo sfondo in cui lo scrittore Massimo Carlotto ambienta la sua storia romanzata, uscita di recente dai torchi tipografici delle Edizioni E/O di Milano, ricavandone contestualmente una pièce teatrale da portare nelle piazze. Necessarie le varianti tra libro e situazione scenica: nel romanzo il protagonista è Redouane Rais, legato sentimentalmente a Othmane in un amore non convenzionale che nel mondo cristiano richiederebbe fughe e infingimenti. Nello spettacolo protagonista è invece una cantante e attrice veneziana di nome Lucia che, come Almirena nel Rinaldo di Haendel, aspira a riacquistare la libertà dopo essere stata ridotta in schiavitù ad Algeri.

   Molte le sedi teatrali e le piazze in cui lo spettacolo finora è andato in scena. Lo stesso Massimo Carlotto, autore del testo, vi prende parte come voce recitante, accanto al musicista armeno Maurizio Camardi, abilissimo con sassofoni e flauti etnici, a Mirco Maistro, che domina con maestria la tastiera della fisarmonica, a Mauro Palmas, esecutore di languide arie con le mandole, e a Rachele Colombo, percussioni. Ma è la presenza sul palco dell’incantevole Patrizia Liquidara, a piedi nudi e in abito lungo, voce ispirata e suadente, a decretare il successo di una situazione scenica di eccellenza. A lei è affidato il compito di evocare un’atmosfera, un contesto storico e un habitat difficili da comunicare allo spettatore senza il ricorso a canti e nenie dell’epoca, in una babele di lingue e favelle che spaziano dal veneto al turco, dall’arabo delle coste nordafricane ai dialetti sardi parlati nel 1541, l’anno in cui si svolge la vicenda. L’anno in cui Lucia scopre, pur nella sua disperante condizione di schiava, il peso dei differenti modi di concepire il quotidiano e lo svolgersi dell’esistenza nel mondo cristiano e nell’Islam. Nel luogo di reclusione scopre un’impensabile tolleranza musulmana verso la fede religiosa di ognuno, in terre assolate dove liberamente circolano e interagiscono fra di loro monaci cattolici venuti per confortare i reclusi, ebrei, maomettani e altri personaggi di religione ibrida, intoccabili e quasi sacri, rapiti ancor piccoli nei villaggi cristiani dai turchi per farne soldati al servizio del Pascià. Lo snodo della storia, l’interpretazione canora di Patrizia Laquidara e la còlta ricerca condotta dal gruppo musicale sulle fonti storiche per rilevare le contaminazioni tra Oriente ed Occidente, hanno sortito un effetto sorprendente, entusiasmando ogni volta il pubblico per l’alto livello dello spettacolo, e inducendolo a momenti di riflessione sul valore della diversità culturale e dell’integrazione.


*) Giuseppe Muscardini vive a Ferrara e lavora presso la Biblioteca dei Musei Civici d'Arte Antica di Ferrara. Narratore e saggista, collabora con "Nuova Antologia", "Italianistica", "Filologia e critica", "Belfagor", "Letteratura & società", "Letteratura & Arte", "Dibattito Democratico", "IBC Informazioni commenti e inchieste sui beni culturali" e "Chroniques italiennes". Collabora inoltre con i periodici e media elvetici "La Regione Ticino", "Cartevive", "La Rivista del Mendrisiotto", Il Grigione italiano", "Il Bernina", "Quaderni grigionitaliani", "Terra cognita", "Seniorweb.ch", "Pagine d'Arte" e "Radio Campione International". È membro attivo dell'"Associazione Svizzera dei giornalisti specializzati" (Verband Schweizer Fachjournalisten - SFJ).