Sono trascorsi  venti anni da un fatto di cronaca ancora irrisolto su cui è calato un fitto velo  di mistero e di silenzio. La vita di una donna appena trentenne veniva stroncata  nell'inquietante sfondo di una comunità per tossicodipendenti che ha dato  fiducia a migliaia di persone favorendo la loro uscita dal proverbiale tunnel  della droga. La giovane donna, di nome Natalia Berla, dopo una sofferta  decisione presa in famiglia era entrata nel 1987 nella comunità di San  Patrignano retta e fondata da Vincenzo Muccioli. Per quanto accadde all'epoca,  parlano le pagine di un libro denso di fatti ed emozioni dal titolo Il gelo  dentro, dove sono raccolte le lettere inviate da Natalia a familiari,  parenti ed amici. 
     Un'illusoria felicità sembrava invadere la sua  mente quando vergava quelle pagine cariche di speranza, rendendo inoltre  descrizioni puntuali sulla vita quotidiana al SanPa, con minuzie che  risultano importanti per quanti devono farsi un'idea, specie a distanza di venti  anni, dell'evolversi funesto dei fatti in cui successivamente incorse. Alla fine  e inaspettatamente, come spesso avviene quando il male prevale sul bene, la  giovane tossicodipendente in lenta risalita verso un'esistenza vera e dignitosa,  frana per qualche fatto inspiegabile e la sua volontà di fare un miglior uso  della vita lasciar il posto alla rinuncia, alla disperazione, al suicidio.  
      L'accanimento del male sul bene quasi sempre è furioso e ai lutti si sommano  altri lutti: la madre Vittoria Berla, intellettuale e autrice negli anni  Cinquanta e Sessanta di due importanti saggi sul controllo demografico dello  nascite, usciti rispettivamente con le Edizioni Avanti! e con gli  Editori Riuniti, si toglie a sua volta la vita. Ma non prima di aver  raccolto e collazionato le lettere della figlia per inviarle all'Archivio  Diaristico Nazionale, ottenendo nel 1990 il Premio Pieve Santo  Stefano. Molti anni prima, occupandosi della condizione femminile, aveva  pubblicato "Il controllo delle nascite" (Edizioni dell'Avanti!,  1957) e "Demografia e controllo delle nascite" (Editori  Riuniti, 1963, con una prefazione di Cesare Musatti). 
    La duplice tragedia lascia dunque una traccia  d'indagine nel bel libro Il gelo dentro, edito nel 1991 dalla casa  editrice milanese di Rosellina Archinto, conseguenza dell'esito ottenuto l'anno  precedente al Premio. Ombre e dubbi ristagnano ancora sulla morte di Natalia,  facendo pensare al suicidio. Dopo una seconda e più attenta lettura, ne Il  gelo dentro non si rilevano indizi se non un cenno dell'ottimo prefatore  Corrado Stajano: La biografia di Natalia è scarna, priva di notizie. È nata a  Mendrisio, in Svizzera, nel Canton Ticino, poco più in là della frontiera  italiana, il 5 dicembre 1958.
    Per non forzare troppo la fantasia e  abbandonarci ad accuse e giudizi avventati, con  l'evidente rischio di immaginare ciò che di fatto non accadde,  è a un disegno che dobbiamo fare riferimento quando pensiamo alla storia  personale dell'infelice ragazza. Il disegno a corredo del libro è uno schizzo ad  inchiostro di china realizzato dalla stessa Natalia, e dotato di  una dedica: A un pittore di talento da una giovane di belle  speranze. 
     Presenta situazioni figurative surreali ma ben  circostanziate: due sirene appaiate immerse fino al busto nell'acqua come in una  "figura" del nuoto sincronizzato, si pavoneggiano in un'improbabile cornice dove  il paesaggio si fa curiosamente ibrido, con piante acquatiche e spuntoni di  canyons riemersi da una vegetazione rigogliosa. Ma nonostante il  groviglio figurativo, Natalia non era in preda agli effetti della "roba" quando  si dedicò allo schizzo. Né gli esami condotti sul corpo della ragazza esanime,  dimostrarono la presenza di tracce di droga nel suo organismo.  
     Restano ancora infinite domande sui motivi della  morte di Natalia. Negli anni Novanta ne è scaturita un'intricata vicenda  giudiziaria. Accuse di prepotenze, di punizioni severe inflitte da parte del  personale di custodia ai ragazzi di San Patrignano, sono state portate nelle  aule dei tribunali per denunciare metodi discutibili messi in atto nel recupero  dei tossicodipendenti. Anche quando ammettessimo la presenza di qualche isolato  irresponsabile che indegnamente occupava il delicato ruolo di vigilanza, sarebbe  ingeneroso nei confronti di quanti hanno dedicato una vita al prossimo, colpire  in modo indiscriminato le strutture, le comunità e gli istituti di rieducazione  deputate al recupero dei tossicodipendenti. 
     Giudizi definitivi su quei fatti, anche dopo  venti anni, sono difficili da trarre. Ma se fantasticare non è reato, nella  parte destra del disegno, poco prima del margine, pare di scorgere un monte, che  nelle intenzioni espressive della giovane di belle speranze fanno pensare  ad un limite, arduo da valicare ma non impossibile. Il monte è sormontato da una  bandiera, quasi a marcare un confine territoriale, una soglia. Geografica o  dell'anima. Varcando quella soglia, in un sentiero tortuoso e pieno di inside,  il 13 marzo di venti anni fa Natalia concluse il suo percorso. Venti mesi più  tardi fu la volta della madre Vittoria.