lunedì 3 novembre 2014

Destra e sinistra all’italiana

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

 

Ad un'analisi sociologica risulta che la CGIL è la "vecchia" sinistra e il Governo (della Leopolda) è la nuova destra.

 

di Giuseppe Tamburrano

 

Oltre un milione di lavoratori, disoccupati e pensionati si sono riuniti a Piazza San Giovanni per manifestare contro il Governo Renzi. È la CGIL di Di Vitorio che protesta contro il Governo di Togliatti? Fuori di metafora vi è uno scontro duro tra il sindacato di sinistra ed il Governo di sinistra. Situazione paradossale!

    Ad un'analisi sociologica risulta che la CGIL è la "vecchia" sinistra e il Governo (della Leopolda) è la nuova destra. Non intendo dare ai due termini significati storico-ideologici ma pienamente contenutistici. La parola "destra" non ha significato sempre "reazione", ricordiamoci il Risorgimento, Cavour e la destra storica. Come la parola "sinistra " non ha sempre significato progresso: ricordiamoci Stalin. Ci sono esempi di uomini di sinistra che hanno fatto una politica di destra: l'Economist definì Tony Blair "una signora Thatcher in disguise".

    Si tratta ora di capire se l'Italia ha bisogno di una destra moderna o di una sinistra "antica".

    Non è facile rispondere perché se alla manifestazione della Camusso hanno partecipato 1.200.000 persone, il PD di Renzi ha ottenuto il 40,8% alle recenti elezioni europee. Non è facile dare una risposta ai quesiti. Mettetevi nei panni di Epifani il quale non sapeva se andare alla Leopolda (è stato segretario del PD renziano) o a Piazza San Giovanni (è stato a lungo segretario della CGIL).

    In conclusione, noi non abbiamo una sinistra politica. Gli altri paesi europei ce l'hanno, anche se è una sinistra di facciata.

    Renzi aumenterà il suo score, di quel poco che manca alla maggioranza assoluta (si tenga conto che alle elezioni europee ha votato la metà degli elettori iscritti)? Guarderà all'elettorato finora berlusconiano accentuando il suo distacco dalla sinistra tradizionale? Questa sinistra romperà con Renzi prendendo caratteri che sanno di un vecchio massimalismo riverniciato?

   Mi pongo interrogativi e non so dare una risposta. Mi aiuterà qualche nostro lettore?

       

               

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

I miglioristi, pazienti e inquieti

 

Del libro di Umberto Ranieri – Napolitano, Berlinguer e la luna – colpisce ad esempio l'attenzione ai volti. Sì, all'aspetto del viso dei protagonisti del suo racconto dal sapore autobiografico.

 

di Danilo Di Matteo

 

I volti miglioristi paiono animati nel contempo da pazienza, ironia e inquietudine. L'autore è più che mai attento ai sentimenti propri e altrui, e rende mirabilmente la solitudine che spesso caratterizza la lotta politica. Ecco cosa scrive sul suo diario il 30 giugno 1988, all'indomani di elezioni amministrative parziali dall'esito negativo per il Pci: "incontro conviviale nella mia casa di via Fornelli con Napolitano e alcuni compagni della 'destra' napoletana. Pietro Valenza rimprovera maldestramente Giorgio per la sua condotta al Comitato centrale. Succede una mezza tragedia. Giorgio si inalbera e reagisce. Pietro esagera. Mi colpiscono le parole di Giorgio e l'emozione con cui le pronuncia. Parla della coscienza in lui viva dei propri limiti, della responsabilità che avverte verso tanti compagni, del travaglio nel votare Occhetto. Mi sorprende e mi commuove".

    Una "tranquilla malinconia", del resto, accompagna tutte le pagine del volume. E Ranieri coglie subito un dato saliente: "nella straordinaria macchina politica che era il Pci di quegli anni non mancavano i tratti di una Chiesa". Tanto che lui, giovanissimo, venne bollato come menscevico per essersi astenuto in occasione del voto per la radiazione degli organizzatori de il manifesto a Napoli. E da tutto il libro emerge una considerazione: il Pci, compreso quello degli ultimi anni, era assai meno "socialdemocratico" di quanto all'esterno si pensasse. Da qui la vicenda di Riccardo Terzi e l'esclusione di Luciano Lama e di Napolitano dal novero dei possibili successori a Berlinguer alla guida del partito. "La mia convinzione è – egli anzi scrive riguardo ai sommovimenti seguiti al 1989 – che abbia pesato sui caratteri assunti dalla sinistra italiana l'antica ostilità alla socialdemocrazia". Non ancorare in maniera compiuta e consapevole la "svolta" alla socialdemocrazia ha privato la coscienza di milioni di persone, come acutamente notato da Biagio de Giovanni, di "una struttura di riferimento".

    E in un altro passaggio emerge l'umanità dell'autore: "La pietà esige l'ardua responsabilità di prendere sul serio i diritti e la dignità di chiunque, quali che siano le azioni e i comportamenti, soprattutto se sanzionabili. Valori di civiltà che aveva ricordato a tutti, in uno splendido articolo, Salvatore Veca, replicando alle parole con cui l'ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, aveva commentato il suicidio in carcere di Gabriele Cagliari". Né Ranieri è indulgente con se stesso. Notando che il Pds avrebbe dovuto battersi contro la criminalità ispirandosi alla lezione di Giovanni Falcone, scrive: "Soltanto un vecchio migliorista come Gerardo Chiaromonte lo fece. Io no. Fui un vile. Ero membro della commissione antimafia, avrei dovuto manifestare esplicitamente dubbi e perplessità su alcune scelte, ma evitai di farlo. Le volte in cui intervenni provai a esprimere dei distinguo del tutto flebili e incomprensibili".

    E cosa, più della poesia, può accompagnare la tranquilla malinconia di un essere umano? Quella stessa poesia, in fondo, di Berlinguer che si rivolgeva alla luna fra i Sassi di Matera, nel 1980. E la poesia accompagnò anche uno dei periodi più difficili della vita dell'autore, con l'iscrizione nel registro degli indagati per finanziamenti illeciti al partito, a Napoli. Era la fine del 1993. "Trascorrevo le notti insonni leggendo versi. Ritrovai quelli di Orazio nella traduzione di Paolo Bufalini: 'Equa ricordati di conservar la mente nei difficili casi della vita, e nei buoni, scevra da insolente esultanza'".

    Già; e oggi? Dinanzi ai proclami di improbabili rivoluzioni, Ranieri preferisce parlare di riforme liberali dell'economia e della società. E al centrosinistra odierno (che continua a scrivere col trattino) ricorda l'eredità del socialismo liberale. Una questione di rilievo, emersa in particolare con il ruolo di "motore di riserva" assunto dal Quirinale, va notata: Ranieri ed Enrico Morando si sono pronunciati a favore dell'ipotesi semipresidenziale. Assai dubbioso al riguardo è parso il Capo dello Stato. Però "su un punto Napolitano aveva ragione: l'idea sostenuta dalla destra di introdurre il semipresidenzialismo in Italia a colpi di emendamenti non era accettabile".

    In un altro passaggio l'autore sembra far trasparire come un bambino i propri sentimenti, nutriti di meraviglia e ammirazione: le dimissioni di papa Benedetto. Un evento da lui accostato per la sua forza travolgente e per il suo carattere paradigmatico al crollo del muro di Berlino.

    Non può sfuggire, poi, che Ranieri è accompagnato nel viaggio attraverso i ricordi dal suo Virgilio: Luciano Cafagna, vera e propria coscienza critica della sinistra e del paese. L'autore, in un momento delicato, pensa inoltre che la politica non sia arte sua, e in tal maniera pare interrogarci sull'essenza stessa di quell'arte.