martedì 6 ottobre 2009

Quando il gelo penetra in profondità

 
 
Riflessioni sulla storia di Natalia Berla, giovane di belle speranze che fu vittima della droga nel 1989. La madre, Vittoria Berla, sopravvissuta al dolore per poco, si diede la morte l'anno successivo. Negli anni Cinquanta e Sessanta era stata un'attivissima intellettuale di sinistra, in costante contatto con Federico Chabod, Enzo Paci, Ferruccio Parri e Gaetano Salvemini.
di Giuseppe Muscardini

Sono trascorsi venti anni da un fatto di cronaca ancora irrisolto su cui è calato un fitto velo di mistero e di silenzio. La vita di una donna appena trentenne veniva stroncata nell'inquietante sfondo di una comunità per tossicodipendenti che ha dato fiducia a migliaia di persone favorendo la loro uscita dal proverbiale tunnel della droga. La giovane donna, di nome Natalia Berla, dopo una sofferta decisione presa in famiglia era entrata nel 1987 nella comunità di San Patrignano retta e fondata da Vincenzo Muccioli. Per quanto accadde all'epoca, parlano le pagine di un libro denso di fatti ed emozioni dal titolo Il gelo dentro, dove sono raccolte le lettere inviate da Natalia a familiari, parenti ed amici.

    Un'illusoria felicità sembrava invadere la sua mente quando vergava quelle pagine cariche di speranza, rendendo inoltre descrizioni puntuali sulla vita quotidiana al SanPa, con minuzie che risultano importanti per quanti devono farsi un'idea, specie a distanza di venti anni, dell'evolversi funesto dei fatti in cui successivamente incorse. Alla fine e inaspettatamente, come spesso avviene quando il male prevale sul bene, la giovane tossicodipendente in lenta risalita verso un'esistenza vera e dignitosa, frana per qualche fatto inspiegabile e la sua volontà di fare un miglior uso della vita lasciar il posto alla rinuncia, alla disperazione, al suicidio.

    L'accanimento del male sul bene quasi sempre è furioso e ai lutti si sommano altri lutti: la madre Vittoria Berla, intellettuale e autrice negli anni Cinquanta e Sessanta di due importanti saggi sul controllo demografico dello nascite, usciti rispettivamente con le Edizioni Avanti! e con gli Editori Riuniti, si toglie a sua volta la vita. Ma non prima di aver raccolto e collazionato le lettere della figlia per inviarle all'Archivio Diaristico Nazionale, ottenendo nel 1990 il Premio Pieve Santo Stefano. Molti anni prima, occupandosi della condizione femminile, aveva pubblicato "Il controllo delle nascite" (Edizioni dell'Avanti!, 1957) e "Demografia e controllo delle nascite" (Editori Riuniti, 1963, con una prefazione di Cesare Musatti).

   La duplice tragedia lascia dunque una traccia d'indagine nel bel libro Il gelo dentro, edito nel 1991 dalla casa editrice milanese di Rosellina Archinto, conseguenza dell'esito ottenuto l'anno precedente al Premio. Ombre e dubbi ristagnano ancora sulla morte di Natalia, facendo pensare al suicidio. Dopo una seconda e più attenta lettura, ne Il gelo dentro non si rilevano indizi se non un cenno dell'ottimo prefatore Corrado Stajano: La biografia di Natalia è scarna, priva di notizie. È nata a Mendrisio, in Svizzera, nel Canton Ticino, poco più in là della frontiera italiana, il 5 dicembre 1958.

   Per non forzare troppo la fantasia e abbandonarci ad accuse e giudizi avventati, con l'evidente rischio di immaginare ciò che di fatto non accadde, è a un disegno che dobbiamo fare riferimento quando pensiamo alla storia personale dell'infelice ragazza. Il disegno a corredo del libro è uno schizzo ad inchiostro di china realizzato dalla stessa Natalia, e dotato di una dedica: A un pittore di talento da una giovane di belle speranze.

    Presenta situazioni figurative surreali ma ben circostanziate: due sirene appaiate immerse fino al busto nell'acqua come in una "figura" del nuoto sincronizzato, si pavoneggiano in un'improbabile cornice dove il paesaggio si fa curiosamente ibrido, con piante acquatiche e spuntoni di canyons riemersi da una vegetazione rigogliosa. Ma nonostante il groviglio figurativo, Natalia non era in preda agli effetti della "roba" quando si dedicò allo schizzo. Né gli esami condotti sul corpo della ragazza esanime, dimostrarono la presenza di tracce di droga nel suo organismo.

    Restano ancora infinite domande sui motivi della morte di Natalia. Negli anni Novanta ne è scaturita un'intricata vicenda giudiziaria. Accuse di prepotenze, di punizioni severe inflitte da parte del personale di custodia ai ragazzi di San Patrignano, sono state portate nelle aule dei tribunali per denunciare metodi discutibili messi in atto nel recupero dei tossicodipendenti. Anche quando ammettessimo la presenza di qualche isolato irresponsabile che indegnamente occupava il delicato ruolo di vigilanza, sarebbe ingeneroso nei confronti di quanti hanno dedicato una vita al prossimo, colpire in modo indiscriminato le strutture, le comunità e gli istituti di rieducazione deputate al recupero dei tossicodipendenti.

    Giudizi definitivi su quei fatti, anche dopo venti anni, sono difficili da trarre. Ma se fantasticare non è reato, nella parte destra del disegno, poco prima del margine, pare di scorgere un monte, che nelle intenzioni espressive della giovane di belle speranze fanno pensare ad un limite, arduo da valicare ma non impossibile. Il monte è sormontato da una bandiera, quasi a marcare un confine territoriale, una soglia. Geografica o dell'anima. Varcando quella soglia, in un sentiero tortuoso e pieno di inside, il 13 marzo di venti anni fa Natalia concluse il suo percorso. Venti mesi più tardi fu la volta della madre Vittoria.