martedì 7 aprile 2015

PROVE DI PULIZIA

Da Avanti! online

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 Il testo licenziato ieri dal Senato contiene numerose novità, che riassumiamo qui di seguito per i nostri lettori.

 

di Armando Marchio

 

Falso in bilancio - Il reato di falso in bilancio che era stato sostanzialmente depenalizzato dal governo Berlusconi, sarà sempre perseguibile d'ufficio, ma con diverse soglie di punibilità: 3-8 anni per le società quotate, 1-5 anni per le non quotate, ma senza alcuna soglia percentuale di non punibilità. Proprio questo era stato lo scoglio che aveva bloccato la norma a Palazzo Chigi nell'ultimo Consiglio dei ministri del 2014. In quell'occasione era spuntata a sorpresa – lo stesso Renzi rivendicò la paternità della norma – un 'articolo 19 bis nel testo del decreto fiscale – che venne subito ribattezzata 'salva Berlusconi' perché gli avrebbe consentito di rimettere in discussione la condanna per frode fiscale che lo ha escluso dalla possibilità di ricandidarsi per 6 anni.

    Il testo del Senato si presta però a non poche obiezioni perché contiene pericolosi margini di ambiguità sulla punibilità del falso in bilancio come ha efficacemente spiegato Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi.

 

Mafie - Più dure le pene per associazione mafiosa. Capi e aderenti ai gruppi della criminalità organizzata, rischieranno in base all'articolo 4, quasi trent'anni di carcere. Con le nuove norme si punisce con il carcere da 10 a 15 anni chiunque fa parte di un clan (attualmente è da 7 a 12 anni) e con la reclusione da 12 a 18 anni i boss (ora è da 9 a 14 anni). Se l'associazione è di tipo armato per gli affiliati la pena sale a 12-20 anni (ora è da 9 a 15 anni) e per i capi-mafia a 15-26 anni (ora è 12-24 anni).

 

Patteggiamento - Si potrà ricorrere al patteggiamento e alla condizionale nei processi per i delitti contro la pubblica amministrazione, ma soltanto nel caso in cui il 'bottino' sia stata integralmente restituito.

    Inoltre in base all'articolo 3, quello che stabilisce la riparazione pecuniaria, per i reati contro la PA, in caso di condanna, il funzionario corrotto dovrà versare allo Stato una somma pari alla "mazzetta" ricevuta.

 

ANAC - L'articolo 6 del ddl prevede l'obbligo per il Pm quando esercita si occupa di reati contro la PA, di informare l'Autorità nazionale Anticorruzione. L'Autorità potrà intervenire anche sui contratti di appalto secretati o che richiedono particolari misure di sicurezza. Nelle controversie sull'affidamento di lavori pubblici e sul divieto di rinnovo tacito di contratti di lavori pubblici, il giudice amministrativo informa l'Authority su 'ogni notizia emersa' in contrasto 'con le regole della trasparenza'.

 

Peculato - Aumentano le sanzioni per il peculato, che passa a un massimo di 10 anni e 6 mesi (a fronte dei precedenti 10 anni), e dell'induzione indebita, che sale dal binomio 3-8 anni a 6 anni di minimo e 10 anni e 6 mesi di massimo. Inoltre, così come suggerito dal testo originario presentato da Pietro Grasso, ci sarà il 'taglio' da un terzo alla metà della pena per chi avrà collaborato per evitare che il reato fosse portato a conseguenze ulteriori, per le prove e per l'individuazione degli altri responsabili o anche per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Non passa purtroppo invece la novità degli 'agenti provocatori', uno strumento utilizzato in altri Paesi come gli Stati Uniti.

 

Corruzione - Per la corruzione propria (atti contrari ai doveri d'ufficio) la pena massima da 8 anni arriva a 10 anni (e la minima sale da 4 a 6). Per la corruzione per l'esercizio della funzione (corruzione impropria), il pubblico ufficiale rischia la reclusione da uno a 6 anni e non più a 5 anni. Per restituire organicità a tutto il sistema dei reati contro la pubblica amministrazione sono stati anche approvati aumenti di pena per la corruzione in atti giudiziari che passa da una "forchetta" 4-10 anni a una di 6-12 anni di carcere.

 

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Da MondOperaio

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Egemonia, individui e masse

 

Si discute molto di alcune analogie fra Bettino Craxi e Matteo Renzi rispetto all'esigenza di "decidere"…

 

di Danilo Di Matteo

 

Si discute molto di alcune analogie fra Bettino Craxi e Matteo Renzi rispetto all'esigenza di "decidere". Proporrei però di soffermarci per un istante su un altro punto: la guida del governo da parte del leader socialista coincideva, in Occidente, con gli anni del "riflusso" rispetto all'egemonia culturale della sinistra nel decennio precedente. Analogamente, l'attuale inquilino di Palazzo Chigi guida l'esecutivo e consegue notevoli risultati elettorali grazie anche al consenso dei "moderati".

    In realtà Craxi e l'esperienza del "socialismo mediterraneo" provavano a reinterpretare alcune categorie di base della politica, quali ad esempio il merito e le stesse esigenze del mercato, inscrivendole nel quadro della sinistra. Per non dire delle elaborazioni sul socialismo umanitario e non marxista (la figura di Giuseppe Garibaldi divenne forse l'icona di quel tentativo).

    Anche Renzi prova a dire che certi principi (in primis, per l'appunto, il merito) sono "di sinistra", ma non va oltre l'enunciazione, condizionato probabilmente pure dall'atmosfera post-ideologica che lo avvolge.

    Il leader del garofano, poi, aveva dalla sua la crescita dell'influenza dei ceti medi e del terziario. L'ex sindaco di Firenze, invece, come nota l'editoriale del numero di marzo di mondoperaio, al momento non riesce a far leva su una vera e propria "coalizione sociale".

    Craxi diede una spallata non solo all'egemonia di una certa sinistra, ma forse all'idea stessa di egemonia: all'egemonia dell'egemonia, sarei tentato di dire. A Renzi, a dispetto del consenso di cui gode, tale operazione sembra riuscire di meno. Paradossalmente, pur nella società dell'individualizzazione, se provassimo oggi a chiedere a un liceale, ad esempio, se "l'assemblea" sia "di destra" o "di sinistra", con ogni probabilità egli indicherebbe la seconda risposta.

    Ѐ vero: oggi la sinistra, nella società, è assai più debole di qualche decennio fa. Ciononostante credo che il segretario del Pd sbaglierebbe se pensasse di eludere il confronto culturale a sinistra.