Il regista de Il delitto  Matteotti e di altre memorabili pellicole lascia in eredità la sua coerenza di  uomo e di intellettuale. Si avverte nei suoi film l'eco costante dell'impegno  civile, assunto già in età giovanile con il giornalismo militante e la convinta  partecipazione alla lotta partigiana.
   
   
 Prima Michelangelo  Antonioni, poi Dino Risi ed ora Florestano Vancini. È ineluttabile, si sa. Le  persone nascono e muoiono. Ma le icone restano, e Vancini era emblema di un  impegno civile espresso con quella fedeltà che contraddistingue le anime  evolute, gli intellettuali capaci e responsabili. Spetta a quanti lo hanno  apprezzato e conosciuto personalmente fissare qualche momento della sua  esistenza, per comprovare l'assoluta onestà nella svolgimento della professione  in cui credeva. 
      In lui l'impegno civile aveva motivazioni antiche, e il ricordarlo qui, dalle  pagine de «L'Avvenire dei lavoratori», vale ad offrire un ricordo puntuale e  rispettoso sia della persona che della nobile vocazione di rappresentare il  reale con la macchina da presa.  
  
 
     
  
  
  Florestano Vancini  
 
     Il  mondo del Cinema riconobbe la sua indiscussa capacità di unire trama letteraria  e resoconto storico fin dal 1960, quando La lunga notte del Quarantatre ottenne  l'Orso d'oro al Festival di Berlino. Tratto da un racconto di Giorgio Bassani,  il film si ispira ad un episodio di inaudita ferocia realmente accaduto dopo il  fatidico 8 settembre, quando la rappresaglia fascista falcidiò undici civili per  vendicare la morte di un Federale assassinato per motivi ancora oscuri. Tanto  oscuri che le ipotesi avanzate dagli storici fanno propendere per un omicidio  compiuto non dai partigiani ma dagli stessi membri del Partito fascista, che  giudicavano troppo arrendevole il loro camerata. 
     Che  dire poi de Il delitto Matteotti, film acclamato dalla critica e spesso  menzionato come documento di taglio informativo e didattico, utile per la scuola  nell'educare i giovani alla democrazia, al punto che oggi i cinquantenni,  all'epoca dell'uscita del film studenti delle Superiori, ricordano di averlo  visto nell'ambito delle attività scolastiche, quando gli insegnanti più aperti e  progressisti accompagnavano le loro classi nei mitici Cineforum?  
     E  ancora Amore amaro del 1974, film alla cui lavorazione (oggi si può dire con un  poco di pudore ma con legittimo orgoglio) chi scrive contribuì in modestissima  misura come sperduta comparsa in un fiume di altre comparse. Il film racconta le  pene amorose di un giovane universitario incapricciatosi di una vedova non agée  ma matura: lui recalcitrante verso il Fascismo già consolidato nel Paese, lei  ben integrata nel Regime, concupita da gerarchi in fez ed orbace.  
     Non  possiamo certo disgiungere questi temi dalle vicende biografiche che nel 1945  videro il regista aderire e militare nella 36° Brigata partigiana Bruno  Rizzieri. Né dalla sua lunga collaborazione con la «Nuova Scintilla», attraverso  articoli di incitamento alla Resistenza civile contro il nazifascismo.