martedì 18 novembre 2008

Di cavallier, gran dame ed eroi... E di come mio padre finì in galera

Dopo le mirabolanti avventure di Orlando, Astolfo e del suo Ippogrifo Nonna Adele racconta ai bimbi, che pendono dalle sue labbra, la storia di una misteriosa visita della polizia. Con arresto. Correvano gli ultimi mesi della prima guerra mondiale. Un'epoca lontana nella quale, se eri pacifista, ti scambiavano per un anarchico. E, se venivi preso per anarchico, potevi finire in galera come terrorista...


- TERZA PARTE
di Ettore Cella-Dezza


«Adesso basta, zitti e ascoltate!» tagliò corto la nonna. «Stavano davanti alla porta. Suonavano. L’uscio di notte rimaneva sempre chiuso e loro suonarono una, due, tre volte».
«Perché tre volte?».
«Ma perché tutti ancora dormivano e nessuno li udiva. L’unico sveglio, il panettiere in cantina, non poteva sentire il campanello. Troppo distante. La prima a svegliarsi fu tua mamma, Ettorino. Chiamò il papà: “Enrico, suonano. Possibile che uno degli inquilini abbia dimenticato la chiave e non riesca a entrare? Enrico!! Ma che ore saranno?”. Guardò verso la sveglia, erano le sei di mattina. Enrico si levò dal letto, infilò i calzoni, andò alla porta, aprì, non c’era nessuno. Suonarono ancora. “Dev’essere qualcuno da fuori” pensò Enrico. E scese verso l’uscio. Attraverso la finestra delle scale vide delle ombre, delle teste, più di una. “Ma chi sarà mai?!” si chiese un po’ inquieto. Fuori era ancora così buio che non si riusciva a distinguere nessuno. Aprì. Aveva appena girato la chiave nella toppa, che quelli, da fuori, abbassarono subito la maniglia, spalancarono la porta. Enrico, dapprima sospinto nell’androne, venne poi riportato su fin nell’appartamento».
«Ma allora erano davvero dei briganti...».
«Era una rapina, nonna?».
«Che arma doveva scegliere lo zio Enrico?».
«La spada!».
«No, un revolver!».
«Ma no, non era una rapina. Quelli della polizia segreta fanno sempre così... così nessuno scappa».
«E perché lo zio Enrico voleva scappare?».
«Ma no, non ho mica detto che intendesse scappare. Non sapeva nemmeno che volessero questi uomini... Non gli sarebbe mai venuto in mente di scappare».
«Sì, ma perché non si è difeso come un cavaliere?».
«Perché non ha impugnato una sciabola?».
«Perché non si è battuto come un cavaliere errante?».
«Oh, bella! Avete mai veduto lo zio Enrico con una sciabola? Lui che non ha mai voluto arruolarsi, che ha sempre rifiutato le armi e la guerra perché non si deve mai uccidere nessuno. Enrico non è né un cavaliere né un brigante, lui è un “pacifista”».
«Ma, nonna, se i poliziotti volevano aggredirlo?».
«Aggredirlo? Non volevano per niente aggredirlo. Quello è il loro modo di entrare nelle case. E quando furono dentro l’appartamento gli domandarono se il suo nome rispondeva a Dezza Enrico. Lui annuì. E allora gli consegnarono un foglio col mandato d’arresto a suo nome. Gli ingiunsero di vestirsi e poi di seguirli. Tua madre li sentiva confabulare, senza capire che cosa veramente volessero. E tu, Ettorino, ti eri svegliato e messo a piangere».
«Perché piangevo, nonna?».
«Avevi fame. Tua madre allora si mise addosso la copertina e ti prese in braccio. Enrico ebbe modo vestendosi di spiegarle quel che stava accadendo. Le sussurrò in italiano che sicuramente si trattava di un errore e che presto sarebbe stato chiarito tutto. Non riusciva a immaginarsi di che cosa potessero accursarlo. Non erano stati neppure in grado di dirgli l’accusa. Poi si lasciò portar via dagli agenti senz’opporre alcuna resistenza».
«Secondo me, doveva saltare dalla finestra della cucina su uno dei due carri e poi in cortile: se scappava dal cortile non lo trovavano più. A parte il fatto che la scala del panettiere è molto buia e poteva benissimo nascondersi lì finché la polizia segreta non andava via!».
«Ma la volete capire una buona volta che questa non è una storia di guardie e ladri. Lo zio Enrico non aveva fatto niente. Tuo padre, vostro zio, non aveva certo bisogno di scappare!» esclamò nonna Adele un po’ spazientita. «Sicché dunque lo portarono via. Allora tua mamma Erminia si vestì, si mise un cappotto, infagottò ben bene anche te, Ettorino, e seguì quegli uomini. Non si fidava. Lasciando la casa vide che gli agenti con Enrico stavano imboccando la Langstrasse. Non voleva che la notassero. Rimase discosta, cambiando repentinamente lato della strada, da una parte all’altra. Eh, Ettorino, tua madre è sempre stata una donna molto, ma molto coraggiosa».
«Ha liberato il papà?» domandai io.
«E in che modo? Cosa avrebbe potuto fare contro un gruppo di agenti della polizia segreta? No, lei voleva solo sapere dove lo avrebbero condotto, il tuo papà. E si sentì un po’ meglio quando le fu chiaro che non lo conducevano alla stazione ferroviaria, perché avevano preso il sottopassaggio. Era già capitato che degli stranieri fossero stati trascinati in stazione e spediti al confine, dall’oggi al domani. Sicché dunque lei, adesso, seguì quegli uomini lungo la Militärstrasse. La percorsero fino alle caserme della polizia cantonale, dov’è la prigione».
«Ma allora lo zio Enrico è stato in galera?».
«Primo, non si chiama galera ma “custodia”. La galera è tutta un’altra cosa: perché in galera viene rinchiuso chi è stato condannato, chi è colpevole. Il giudice ha le prove della sua colpevolezza e lo manda in galera. In “custodia” ci va invece chi deve essere interrogato. Comunque, Ettorino, tua madre raggiunge l’edificio proprio nell’attimo in cui papà viene portato alla “custodia” da quegli agenti. Lei rimane lì, con te in braccio, davanti all’inferriata. Spera che tutto si risolva al più presto. Non ha un’idea del tempo necessario a risolvere una cosa di questo genere. Attende quasi mezz’ora davanti ai bastioni della Kaserne. Si sente un grande disagio, col bambino in braccio. Cercando di non farsi notare. Ma il tempo passa e non succede niente. Così decide di prendere il tram e andare ad avvisare lo zio Ernesto. Ma alla Badenerstrasse è ancora tutto sprangato: chiuso il negozio, chiusa la porta di casa, chiuso l’ingresso posteriore. In quel momento sopraggiunge però Cesarina Zavatti. Ti ricordi quella signora che abitava al piano di sopra. È agitatissima. Scende le scale a precipizio e apre la porta. Ha gli occhi gonfi di pianto e racconta di come quella mattina era venuta la polizia segreta e aveva bussato alla porta molto presto. Lei e il marito, svegliati di soprassalto, avevano sbirciato fuori dalla finestra. E subito le avevano chiesto di Dezza: “Un momento, dormirà. Adesso lo chiamo” gli aveva risposto lei. Ma quelli non capivano l’italiano e insistevano. Allora lei aggiunse semplicemente: “Nur ein Moment, bitte”. Chiuse la finestra. Suo marito le disse che a quell’ora poteva trattarsi soltanto dei “criminali”. Intendeva gli agenti della Kriminalpolizei. Andarono a svegliare Ernesto che sulle prime non capiva. Ma poi s’alzò e fece entrare gli uomini. Immaginatevi voi lo spavento e lo sconvolgimento di quando gli mostrarono il mandato d’arresto a suo nome... Né la signora Zavatti né suo marito riuscivano a capire perché arrestassero un Dezza. I fratelli Dezza erano sempre stati buoni con tutti. Era impossibile che avessero fatto qualcosa di male a qualcuno. Non erano gente di cose storte, loro. “Forse si tratta di politica” sentenziò infine il vicino di casa. Ernesto venne condotto via dopo aver consegnato le chiavi del negozio e di casa alla vicina.
“Eccole qui!” disse quella. “Avrei voluto portarle ad Enrico in mattinata. Ma visto che è venuta lei...”.
“Hanno arrestato anche Enrico” commentò Erminia.
“Non è possibile! Ma perché?!”.
“Solo Dio lo sa! Non ci hanno detto niente. E oggi è anche giorno di mercato. Cosa farò con la nostra bancarella all’Augustinerplatz?!”.
Erminia era disperata. Ma trattenne le lacrime. Ferma e coraggiosa come sempre: “Non possiamo deludere i nostri clienti” disse. “Adesso devo andare al mercato”.
“Ma, signora, come farà a trainare il carro?”.
“Eh, se solo non avessi da badare al piccolo...”.
“Lo dia a me, lo metto nel lettino con il mio Armando. Già si conoscono. Vada tranquilla. Gli bado io finché non torna. In questi casi bisogna aiutarsi, fra italiani. Eppoi, i fratelli Dezza, e il suo Enrico in particolare mi hanno sempre dato una mano. Mi facevano credito quando mio marito era in guerra. Mica l’ho dimenticato che ero sola, con due bambini, in cerca di lavoro, e non avevamo più niente da mangiare. Aspetti qui, ché Zavatti adesso si alza e prima di andare a lavorare le dà una mano con il carro fino al mercato”.
Così fu. Zavatti s’alzò. Erminia intanto andò a caricare la roba sul carro nel cortile, dispose ordinatamente tutte le merci che Enrico ed Ernesto avevano predisposto la sera prima pel mercato. Zavatti la raggiunse e si pose al traino. Erminia spingendo gli dava man forte come meglio poteva. Zavatti faceva il muratore. Era un uomo forte. Per lui non fu nessuna fatica tirare quel carro fino all’Augustinergasse. Per strada Erminia gli raccontò d’aver seguito gli uomini fino alla caserma. Gli disse che secondo lei si trattava di un equivoco e che presto tutto si sarebbe chiarito. Anch’Ernesto l’avevano certamente portato alla caserma e un po’ la consolava il fatto che i due fratelli avrebbero potuto darsi reciproco sostegno anche in quel frangente. Zavatti continuava a chiederle che cosa mai potesse essere successo. Ma lei non aveva una risposta. Forse poteva davvero esserci un motivo politico. Enrico è socialista. E questo a molti andava di storto. Ma non ha mai fatto niente di male. Anzi, ha sempre dato una mano a tutti e aveva aiutato anche la sua famiglia quando lui fu richiamato al servizio militare nella guerra del 1915-18.
Giunti che furono all’Augustinerplatz Zavatti diede una mano a montare il bancone. Erminia vi dispose il pollame fresco e le altre merci. Era una giornata di mercato come tante. Ma per tua mamma, Ettorino, fu terribile. Anche se molti amici vennero al bancone dei Dezza per farle coraggio. Volevano sapere qualcosa di più sui due arresti. Ma Erminia non era in grado di fornire spiegazioni. Tutti pensarono che, giunti a quel punto, il modo migliore per aiutare i due fratelli socialisti ingiustamente arrestati fosse quello di comperargli del pollame. Ed esaurire le scorte di polli e pollastre era la parola d’ordine che Erminia ripeté mentalmente a se stessa durante quell’intera mattinata da dimenticare. Eh, Ettorino, la tua mamma è proprio una donna saggia, dotata di buon senso: non per nulla proviene dai contadini rossi dell’Emilia...».


- (3/4 - Continua)