Era nato a Savona l'8 marzo del 1925 da una ragazza madre, dalla quale prese il cognome Baget. Crebbe con gli zii materni, dei quali assunse il secondo cognome, Bozzo. È morto l'8 maggio 2009 Gianni Baget Bozzo, giurista, sacerdote, politologo consigliere di Craxi e due volte parlamentare europeo. Negli ultimi anni era divenuto un ideologo del centro-destra e un fautore dell'alleanza tra Berlusconi e papa Ratzinger.
di Andrea Ermano
Nel 1944 si era unito, diciannovenne, ai partigiani. Dopo la fine della guerra, laureatosi in giurisprudenza, si avviò alla carriera politica nella DC. Fu esponente della sinistra dossettiana. Poi, nella seconda metà degli anni Cinquanta, mutò posizione e aderì alla destra anticonciliare che osteggiava sul piano dottrinale la riforma di papa Giovanni e sul piano politico l'avvento del primo centro-sinistra di Saragat e Nenni, considerati antesignani del comunismo.
Contro il nuovo corso Baget Bozzo accarezzò anche il disegno di una scissione nella DC, scissione che avrebbe dovuto condurre -- di concerto con il prefetto del Sant'Uffizio card. Ottaviani -- alla fondazione di un secondo partito cattolico. Abbandonata quest'idea, Baget Bozzo, ormai quarantenne, entrò in seminario e nel 1967 fu ordinato sacerdote, a Genova, sua città d'elezione, dal cardinale Siri.
Ne seguirono anni d'intenso studio, culminati in una serie di pubblicazioni e progetti, tra cui la fondazione di una rivista teologico-filosofica insieme a Massimo Cacciari. La rivita non nacque mai, anche perché l'inquietudine profonda di Baget, alimentata dal fascino che egli subiva nei confronti dei leader carismatici, gli impedì di perseguire una vita meramente contemplativa.
Nel 1978 si "innamorò" di Bettino Craxi -- in seguito all'esito tragico del Caso Moro, ma anche per contrastare la sinistra DC in odio alla politica del compromesso storico che aveva portato i comunisti nella maggioranza di governo.
Sul piano teorico Baget Bozzo stava dalla parte del card. Joseph Ratzinger, il nuovo prefetto per la dottrina della fede, sul piano politico si dichiarava socialista, soprattutto impegnato però a fomentare la faida tra craxiani e berlingueriani.
Alla caduta del Muro di Berlino egli fu tra coloro che più energicamente ispirarono la scelta -- folle e fatale per Craxi come per la Prima repubblica -- di chiusura dentro il recinto del "pentapartito". Dopo Tangentopoli e la catastrofe che ne seguì per i partiti di governo, Baget Bozzo benedisse la collocazione a destra di parte consistente dell'apparato ex-Psi.
Molti ministri, sottosegretari, sindaci, assessori, funzionari e portaborse che avevano raggiunto le loro posizioni in era craxiana e che non coltivavano legami né con il movimento sindacale né con le organizzazioni del socialismo europeo e internazionale – si rifugiarono massicciamente dentro Forza Italia, di cui il Baget Bozzo scrisse la Carta dei Valori.
In una lettera all'ex ministro socialista Rino Formica, datata 16 giugno 2008, Baget Bozzo riassume questo percorso in chiave anti-comunista: "La linea che passa da Craxi a Berlusconi oltre il Psi, ma per la libertà e la democrazia contro il comunismo, è il cuore della politica italiana".
Accanto all'ammirazione per i due leader, nel segno dell'anticomunismo, s'intuisce una certa freddezza psicologica per l'"esperienza socialista", che don Gianni dichiara essere stata "fondamentale", ma che evidentemente è considerata superata dall'avvento di Berluscioni: "La realtà falsifica tutti i progetti fondati sulla cultura del passato e questa è la ragione per cui Berlusconi e il centrodestra riescono dove la cultura politica di sinistra non riesce", annota ancora nella lettera a Formica.
Con don Gianni Baget Bozzo scompare uno dei massimi strateghi del neo-guelfismo italiano, mentre la complessa costruzione del blocco sociale su cui si regge l'egemonia berlusconiana è giunta al suo apogeo. Ora potrebbe iniziare a sfarinarsi. Forse questo, e non altro, suggerisce la faglia familiare apertasi tra Arcore e Macherio. Anticipazione di eventi ulteriori?
E tuttavia, a prescindere da ciò, occorre domandarsi se sarà capace la destra neo-clericale italiana di reggere all'urto degli eventi, che sarà anzitutto un urto cosmopolitico?
Molto dipende anche dalla credibilità delle forze progressiste, come dopo la Caduta del Muro. Vent'anni or sono, la capacità d'innovazione di Bettino Craxi si autodistrusse nell'immobilismo più totale.
Baget Bozzo procedeva senza rotta "passo per passo", per sua stessa ammissione: "Il mondo unito come una città politica e sociale, legato alla scienza e alla tecnica per la sopravvivenza, è una realtà impensata e oggi vissuta, ma non pensabile con le categorie razionali proprie della nostra comune tradizione", si legge ancora nella lettera citata.
Che cosa intendeva Baget Bozzo negando ogni forza di pensiero alle "categorie razionali della nostra comune tradizione". Pensava dunque a un'altra tradizione, non a noi comune? Oppure pensava ai valori non razionali della fede?
Fatto sta che in questi giorni, in queste ore, proprio la ragione viene invocata da grandi rappresentanti religiosi quale unico fattore in grado di rendere possibile un dialogo di pace tra le fedi che si affacciano sul catino ormai quasi bollente del Mar Mediterraneo.
Ma ragione e dialogo non presuppongono la filosofia di una "società aperta" con i suoi fondamenti di laicità e progressismo sociale? E come potrà allora un cattolicesimo politico tendenzialmente pre-conciliare aderire ai valori di laicità e progressismo sociale che sono propri di quella apertura multietnica e interculturale di cui esso si considera arcinemico?
Chissà quali risposte immaginava don Gianni Baget Bozzo alle domande che si affacciano alla mente sulle sue ultime posizioni di teorico della politica italiana, un teorico molto impegnato, molto acuto e molto inquieto.