lunedì 21 dicembre 2009

DARIO ROBBIANI

DARIO ROBBIANI

NOVAZZANO 1939 - LUGANO 2009
La redazione dell'Avvenire dei lavoratori e la Società Cooperativa Italiana Zurigo nella scomparsa di Dario Robbiani esprimono il proprio profondo cordoglio alla moglie Sonya, ai figli Lara e Vito, ai nipoti Febe, Ada e Filippo.


Ciao, Dario!
 
È scomparso lunedì mattina all'Ospedale Civico di Lugano Dario Robbiani, giornalista e uomo politico ticinese famoso ben oltre i confini del suo Cantone e della Confederazione.

    Era popolarissimo presso la comunità emigrata per la trasmissione "Un'ora per voi", condotta insieme a Corrado e Mascia Cantoni.

    Si era formato alla scuola politico-giornalistica di Guglielmo Canevascini ed  Ezio Canonica, storici esponenti del socialismo di lingua italiana.

    Aveva svolto un ruolo di grande rilievo nella battaglia contro la xenofobia anti-italiana.
   Dario Robbiani aveva fondato e diretto il telegiornale svizzero "Telegiornale-Téléjournal-Tagesschau" durante tutta la sua prima fase a Zurigo. In seguito aveva fondato e diretto "Eurovisione-News" a Ginevra, "Euronews" a Lione e infine "Svizzera 4" a Berna. 

    Negli ultimi anni era notista politico e di costume presso il settimanale "Il Caffè".
    La sua carriera politico-parlamentare l'aveva condoto alla vice-presidenza del Partito Socialista Svizzero e alla presidenza della delegazione parlamentare socialista presso le Camere federali.

    Autore di diversi saggi, tra cui: "1918: il resto seguirà. Socialisti italiani in Svizzera" e "Ciao Ezio!" (biografia di Ezio Canonica scritta a quattro mani insieme a Karl Aeschbach).

    Negli ultimi anni Dario Robbiani si era molto dedicato alla memorialistica. Ta le sue pubblicazioni in quest'ambito: "Caffelatte, storie familiari e paesane di quando non c'era la televisione", "Rosso Antico, in politica è permesso sorridere" e "Cìnkali. Ci chiamavano Gastarbeiter, lavoratori ospiti, ma eravamo stranieri, anzi cìnkali".

    Di Cìnkali, che uscì presso le Edizioni ADL ed ebbe grande successo, ripubblichiamo qui il decimo capitolo "La targa della bontà".



La targa della bontà

DARIO ROBBIANI

NOVAZZANO 1939 - LUGANO 2009
Un gruppo di emigrati italiani mi ha attribuito un premio: la targa della bontà. Era il 1971. Ho riflettuto un poco prima di accettare. Sono contrario ai premi, alle medaglie, alle onorificenze e ai titoli. Non per snobismo (e chi sono? Jean-Paul Sartre, che rifiuta sdegnosamente il Nobel?) o per falsa modestia (ah, i mattacchioni che si dicono onorati e confusi, che non se l'aspettavano!) ma per principio.

    Non sono neppure uomo di principi. Della così detta morale faccio volentieri a meno, confortato da Bertrand Russell: «La moralità è una strana mescolanza di utilitarismo e di superstizione».

    Però a qualche principio mi attengo. Credo, per esempio, all'amore, alla giustizia, al coraggio, alla libertà e all'intelligenza. Combatto, prima di tutto in me stesso, l'intolleranza, la prepotenza e la supponenza. E anche la vanagloria, che di premi si nutre. Poi, l'attuale è un'epoca di patacche. Se le appuntano al petto, al collo e alla cintura anche i giovani pittorescamente rivoluzionari, e non sempre per ironica contestazione. Per restare al nostro mondo, quello dell'emigrazione: quanti premi! Associazioni e premi: la vita collettiva della comunità italiana in Svizzera soffre d'associazionismo e di premismo. Brutte malattie che spesso trasformano l'onorificenza in una citazione degli organizzatori attraverso i media.

    Ho accettato il premio perché conoscevo chi mi premiava (la Serenissima), e so che la targa è soltanto un aspetto, neppure il più importante, dell'attività di questo gruppo che riunisce italiani e svizzeri, perseguendo una maggior comprensione fra le due comunità.

    Quale cronista, presenziai al battesimo della Serenissima. Di James Schwarzenbach non si parlava ancora, ma di Albert Stocker, il profumiere che per primo inquinò la vita svizzera col mefitico spray dell'odio razziale e della presunzione nazionalista. La televisione, fedele alla sua consegna d'informare completamente e obiettivamente, diffuse un'intervista con Albert Stocker. Il presidente della Serenissima, Alberto Carrara, scrisse alla televisione: «Gli italiani sono rimasti sconcertati ascoltando lo sproloquio dell'Antistranieri. Con questo signore, però, non abbiamo nessun rancore, anzi gli siamo riconoscenti, poiché abbiamo capito che la buona volontà non basta, dobbiamo cercare i motivi degli attriti fra svizzeri e italiani, eliminarne nel limite del possibile le cause, stabilire un contatto amichevole: noi emigrati italiani dobbiamo dimostrare agli svizzeri che non apprezziamo soltanto i loro franchi, ma desideriamo la loro stima, la loro amicizia, perseguiamo un miglior concetto di fraternità e di comprensione che superi le frontiere fisiche e mentali, create da preconcetti e da carattere e concezione della vita diversi».

    La Serenissima, quale risposta agli xenofobi, fondò un gruppo di donatori di sangue: «Per dimostrare concretamente che l'ammalato non ha passaporto e il gruppo sanguigno non è determinato dalla nazionalità, che gli emigrati hanno un cuore e non sono soltanto macchine operose». Sono parole di Alberto Carrara.

    Cinquanta "avisini" (membri dell'Avis, l'associazione italiana dei volontari del sangue), membri della Serenissima, offrirono il proprio sangue all'ospedale di Baden.

    «Un gesto» disse Carrara al tiggì «che nella sua sensibilità e profondo significato richiederebbe discrezione e silenzio, ma che vogliamo segnalare all'opinione pubblica svizzera per dimostrare che gli italiani non sono soltanto accoltellatori, stupratori, chiassosi e maleducati».

    Ritrovai la Serenissima e il gruppo donatori di sangue di Baden in una notizia: Salvatore Monaco, ospedalizzato per una grave malattia, verrà rimpatriato per desiderio dei genitori. Ma ha bisogno di continue trasfusioni. Un disperato appello dall'Italia: manca il suo gruppo sanguigno. Gli avisini di Baden offrono il loro sangue, trasportato d'urgenza da una staffetta della polizia.

    L'emigrazione è piena di lacrimevoli storie. Il povero emigrato commuove. La signora per bene e i signori dal cuore d'oro si emozionano. I giornali ne ricavano titoli e notizie struggenti. Questi, però, sono episodi che vanno oltre il gusto delle lacrime e il piacere della commozione. Sono qualcosa di più di un atto di carità cristiana. Sono la testimonianza concreta della solidarietà umana.

    E per questo che ritengo la Serenissima e il gruppo Avis che le è associato autorizzati a distribuire un premio della bontà. Ma io sono abilitato a riceverlo?

    La bontà è svalutata. Essere ricchi, essere furbi, saper vivere, arrangiarsi, ecco ciò che conta. Ma essere buono? Quasi una patente di stupidità!

    Ho cercato nel dizionario la definizione di bontà. Trovo che è gentilezza, cortesia, accondiscendenza, indulgenza, mitezza e mansuetudine. E allora, siccome certi colleghi mi chiamano l'orso, talaltri il padrino, mia moglie può testimoniare gli scatti d'ira, metto i piedi sulla scrivania, ho un caratterino, per arrivare a certi scopi non mi piego e non scodinzolo: forse, merito la targa della cattiveria!

    Ma di bontà trovo due sinonimi: umanità e generosità. E il vocabolario precisa: «Qualità di chi si adopera per il bene altrui».

    Noi tutti nella vita cerchiamo d'essere felici. E un modo d'esserlo è quello di chinarsi sulle sofferenze degli altri. Io sono nato in un paese fortunato che non conosce guerre e miseria. È triste perché appunto ha disimparato a soffrire e fatica a essere felice.

    Non è vero che in Svizzera solo gli stranieri sono malinconici e disperati. La solitudine colpisce prima di tutto il popolo di signori, in tutte le sue forme, dall'alienazione all'isolazionismo, dai disturbi neurovegetativi alle manie suicide, dalla frustrazione all'alcoolismo, alla droga.

    Gli emigrati hanno portato le miserie di una società contadina, i problemi della paga incerta e non soltanto dell'auto a rate, le angosce di chi deve sbarcare il lunario e non di chi si ribella all'oppressione del benessere. Gli emigrati sanno essere felici adoperandosi per chi sta peggio.

    Adoperarsi, ma in che modo? Sono giornalista e il mio compito è semplice, anche se non sempre facile o comodo. Registro dei fatti e delle situazioni. Lascio ad altri, ai politici, sindacalisti, sociologi ed economisti, di proporre le soluzioni e di dare una risposta alle denunce.

    Dobbiamo imparare, svizzeri e italiani, a giudicare in modo nuovo l'emigrazione, evitando il pietismo e il vittimismo. Si tratta di accettare le leggi economiche e sociali che rendono irreversibili i fenomeni migratori. La società contadina scompare o è dislocata. La società industriale abbisogna di manodopera. Le frontiere non possono opporsi a questo processo socio-economico che è diventato libera circolazione dei cittadini europei e emigrazione clandestina di extracomunitari disperati.      

DARIO ROBBIANI
NOVAZZANO 1939 - LUGANO 2009

IL MIO AMICO DARIO, UN  "ROSSO ANTICO" 

"Il rosso è nella radice del mio nome", amava ripetere Dario Robbiani. E lui stesso si considerava un "rosso antico", come il titolo intriso di ironica bonomia di un suo libro che recava come sottotitolo "Socialista, ma 'na brava persona". E questo è proprio ciò che di lui più ci mancherà. di Renzo Balmelli 

Il compagno Dario Robbiani, non è piu' tra noi. Ci ha lasciati all'alba del 14 dicembre, stroncato da un male inesorabile contro il quale ha combattuto fino a quando il fisico, debilitato dalla malattia, ha avuto la forza di resistere e di lottare.

    Com'era suo costume in vita, mai invadente, sempre rispettoso delle altrui difficoltà, ha scelto di andarsene in punta di piedi, quasi scusandosi per il disturbo.

    Lo sapevamo in condizioni difficili, ma la sua scomparsa ha lasciato percossi e attoniti tutti coloro che lo conoscevano, gli amici, i colleghi, i compagni di cordata di tante inziative al servizio del prossimo.

    Al Cooperativo di Zurigo, lo storico locale della sinistra al quale Dario Robbiani era legato da un forte sentimento di adesione ideale, ora un suo ritratto, dipinto da Mario Comensoli, uno dei maggiori esponenti del realismo elvetico, di cui fu grande amico, ne tiene vivo il ricordo.

    Il binomio Robbiani-Comensoli è d'altronde emblematico del suo modo generoso di affrontare i problemi, con un occhio costantemente rivolto al bisogno di migliorare le cose.

    Nato settant'anni fa, giornalista e politico di razza, Robbiani è stato anche scrittore di vaglia. Alcuni suoi scritti di successo, storie di varia umanità attraversate a volte da un sottile filo di malinconia, vennero stampati dalla casa editrice dell'Avvenire dei Lavoratori.

    All'AdL diede un notevole impulso, favorendone il rilancio a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, quando la prestigiosa testata dell'antifascismo, che usciva ancora in edizione cartacea, si schiero' a fianco dell'emigrazione e di Ezio Canonica.

    Con Canonica condivise molte battaglie politiche e sindacali, nel guidare la campagna contro le orrende iniziative xenofobe di Schwarzenbcah.

    Fu direttore fino al 1979 del Telegiornale svizzero a reti unificate (nelle edizioni in tedesco, francese e italiano), poi alla testa di Euronews, il primo TG europeo trasmesso da Lione in sei lingue.

    Bruciò le tappe anche in politica, conquistando alla prima elezione un seggio di deputato nel Parlamento di Berna e subito dopo la carica di capogruppo socialista alle Camere. Grazie alla sua capacità innata di mediare tra le parti seppe evitare l'uscita del PS dal governo federale. Il PS era deciso ad aprire la crisi dopo l'affronto subito ad opera della destra che aveva bocciato la candidata ufficiale del partito per il seggio nell'esecutivo.

    A quei tempi i rapporti tra i due schieramenti erano tesi al punto da mettere fortemente in discussione l'alleanza quadripartita fondata sul principio della collegialità e della concordanza. Robbiani avvertì il pericolo, ne soppesò le conseguenze per gli equilibri del Paese, e riuscì con molta lungimiranza a evitare una frattura dai rischi incalcolabili.

    Il suo essere politico, fondato sul senso di un leale pragmatismo, gli valse la fama di costruttore di ponti. In un avversario politico Robbiani non vedeva il nemico da abbattere, ma una persona da rispettare e da sfidare sul piano delle idee.

    Il lavoro della sua vita ha avuto come baricentro la comunicazione non intesa però come passerella per facili consensi, bensì come impegno continuo, fondato su valori veri, sulla filosofia morale di Bertrand Russell di cui era grande ammiratore e che amava citare.

    Dovendo riassumere la sua lezione, potremmo dire che Dario Robbiani è stato tante cose, ma soprattutto un socialista vero, genuino, un socialista riformista vicino a Pietro Nenni e a Willy Brandt, un socialista dotato di profonda umanità. È stato un " rosso antico", come il titolo intriso di ironica bonomia (l'ironia era la sua cifra) di una sua pubblicazione che recava come sottotitolo "socialista, ma una brava persona". E questo è proprio ciò che di lui più ci mancherà.