martedì 30 marzo 2010

Lo stemma della città *) 

Ipse dixit letterario

di Franz Kafka 

Nel corso dei lavori preliminari del nostro gruppo di studio "Cosmopolis", ci siamo imbattuti in un breve racconto kafkiano del 1920. Di esso abbiamo approntato una traduzione cursoria adatta alle nostre esigenze di discussione. Sperando di fare cosa gradita la proponiamo qui all'attenzione di una cerchia più vasta.

<<Dapprincipio nell’edificazione babilonese della Torre tutto era passabilmente in ordine; be’, forse l’ordine era eccessivo, si pensava troppo a guide, interpreti, alloggi per i lavoratori e strade di collegamento, come se si avessero davanti secoli di libero agio lavorativo.

    L’opinione dominante giungeva persino a ritenere che non si potesse edificare abbastanza adagio; non era necessario esagerare di molto quest'opinione e ci si sarebbe ritratti spaventati persino dal gettare le fondamenta.

    Questa, dunque, l’argomentazione: il punto essenziale di tutta l'impresa sta nel pensare di costruire una Torre che arrivi al cielo. Davanti a questo pensiero ogni altra cosa è secondaria. Il pensiero, una volta concepito nella sua grandezza, non può più svanire; finché ci saranno uomini ci sarà anche il forte desiderio di edificare la Torre fino al completamento. Ma in questa prospettiva non si devono avere preoccupazioni per l'avvenire, al contrario, il sapere dell'umanità va aumentando, l'architettura ha fatto progressi e altri progressi farà, un lavoro per il quale oggi impieghiamo un anno, tra cento anni si potrà magari completare in sei mesi e, oltre tutto, in modo migliore, più stabile. Perché dunque affannarsi fino al limite delle proprie forze, già oggi? Questo sarebbe sensato solo se si potesse sperare di erigere la Torre nel corso di una generazione.

    Ma questo non c’era d’attenderselo in nessun modo. Era invece pensabile che la generazione successiva, con il suo sapere perfezionato, avrebbe ritenuto malriuscito il lavoro della generazione precedente abbattendo l’edificato per ricominciare ex novo.

    Questo genere di pensieri paralizzava le forze, e più che all’edificazione della Torre ci si dedicava a costruire la cintura operaia. Ogni compagine nazionale voleva il quartiere più bello, ne nacquero contese che s’inasprirono trasformandosi in conflitti sanguinosi.

    Questi conflitti non cessarono più e divennero per i capi un ulteriore argomento a favore della tesi secondo cui, mancando il necessario raccoglimento, la Torre andava edificata molto adagio o, meglio ancora, soltanto dopo la stipulazione della pace universale.

    Però, non si passava il tempo soltanto in combattimenti, durante gli armistizi si abbelliva la città provocando per altro nuove invidie e nuovi conflitti. Trascorse così il tempo della prima generazione, ma anche in seguito nulla cambiò, soltanto l'abilità tecnica si affinò vieppiù e con essa la brama di combattere.

    A ciò s’aggiunga che già la seconda o terza generazione riconobbe l’insensatezza di una Torre celeste, ma si era troppo vincolati gli uni agli altri per poter abbandonare la città.

    Quanto alle leggende e ai canti sorti in questa città, essi sono tutti colmi di trepidazione per un giorno vaticinato nel quale la città verrà sconquassata da un pugno gigante con cinque colpi in rapida successione.

    Perciò nello stemma della città figura il pugno.>>

*) Titolo originale: Das Satdtwappen (1920) - Tr. it. A.E.