giovedì 5 dicembre 2013

La crisi impone gli Stati Uniti d'Europa

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

di Danilo Campanella

 

Da un’analisi della Coldiretti sulla base della "Christmas survey 2013" risulta che il 56% degli italiani ritiene che la situazione economica peggiorerà. Un altro Natale magro, quindi? Sì, ma non solo per l'Italia.

La crisi morde in Grecia, in Spagna ma anche in quella Francia che deve fare i conti con le ingenti spese sociali legate alla tutela della sussidiarietà sociale. Le opinioni euroscettiche della destra e di parte della sinistra non sono sufficienti a convincerci né del ritorno agli stati nazionali né a continuare il percorso intrapreso finora, in balia dell'economicismo europeista che, puntando l'attenzione soltanto sullo spread ritiene di poter rilanciare la crescita e gli investimenti, nuovi posti di lavoro e unità politica.

Occorre meno Europa, quindi? Tutt'altro. L'UE non ha creato la crisi, nata soprattutto con i prestiti USA erogati dalla "bolla" immobiliare a cui l'Europa ha reagito tramite strumenti di protezione sociale.

L’economia “del desiderio”, contro la quale si battevano uomini come Aldo Moro e Giuseppe Toniolo ha spalancato squarci sociali che rimarranno aperti per molto tempo. Questa mentalità che promuove il gigantismo ad ogni livello, ha portato alla costituzione di banche con un volume d’affari superiore al Pil degli Stati.

La crisi è nata da una "mancanza" o, meglio, da una "insufficienza" di Europa, nella quale il bilancino pende soprattutto da parte di quella Germania che punta tutto sulla sua autorevolezza economica, facendo coincidere performance economica con legittimazione etica.

Oggi più che mai occorrono gli Stati Uniti d'Europa.

Per contrastare il riarmo e controllare la produzione bellica si decise nel 1951 di costituire la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), istituzione che precorse i Trattati di Roma (1957) coi quali venne costituita la Comunità Economica Europea (1958), poi Unione Europea, con il Trattato di Maastricht entrato in vigore il 1° novembre del 1993. Il tutto venne ispirato dal manifesto di Ventotene, documento redatto dagli italiani Eugenio Colorni, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, in esilio come antifascisti sull’isola di Ventotene negli anni ’40.

Aldo Moro era sensibile alla necessità di un’Europa unita e partecipò a lavori, convegni e conferenze con istituzioni pubbliche e associazioni assieme al Consiglio Italiano del Movimento Europeo, fondato nel 1948 e presieduto nel ’59 da Randolfo Pacciardi. Come testimonia, fra le tante, la lettera di Moro al presidente del Movimento Europeo del 7 Agosto 1959, egli si impegnò a partecipare, come delegato italiano, ai lavori del “Comitato d’Azione per gli Stati-Uniti d’Europa sotto la guida di Jean Monnet, il quale apprezzava la Democrazia Cristiana, attiva e quotizzante, nel “Comité d’action".

Nella riunione tenuta l’11 Luglio 1960 a Parigi, nella sua ottava sessione il Comitato prese atto dei passi essenziali verso l’unificazione dei Paesi europei ravvisando nel progetto di fusione degli esecutivi della Comunità Europea del Mercato Europeo Comune composto allora da Mec, Ceca ed Euratom.

Il delegato di Moro per la DC, l’on. Mario Pedini, diede l’adesione del partito al progetto osservando, tuttavia, che la fusione degli esecutivi sarebbe dovuta procedere di pari passo con la volontà di incrementare l’autorità politica del nuovo esecutivo, salvando così il concetto di “supernazionalità”.

Pedini chiese inoltre di non cadere nella tentazione di costituire una “supernazione” autarchica, impedendo anche con una legge anti-trust l’insorgere di gruppi di potere e di pressione illeciti. Per fare ciò bisognava innanzitutto dare la parola al popolo, al popolo europeo.

Non quindi "meno" Europa, anzi, chiediamo un' Europa forte nell'unica legittimazione democratica possibile: quella popolare. (Critica liberale)