Il paese dei senza lavoro - Non è il lavoro che svanisce, sono i lavoratori che finiscono fuori gioco. Rinaldo Gianola ci racconta come nel suo reportage nell’Italia della crisi. Una narrazione costruita quasi in presa diretta
di Fabrizio Bonugli
Da molti anni ormai si parla della "fine del lavoro", quasi che il lavoro fosse un concetto astratto che prescinde dalle persone che lo svolgono. In realtà non è il "lavoro" che finisce: sono i lavoratori che vengono messi fuori gioco. In particolar modo in questi mesi, con la crisi mondiale che morde e che ha già cancellato e continua a cancellare – per restare soltanto al nostro paese -- centinaia di migliaia di posti di lavoro. E non soltanto dalle fabbriche, ma anche da aziende del terziario avanzato come l’informatica o le telecomunicazioni. Rinaldo Gianola, giornalista dell’Unità, ha voluto saperne di più sull’Italia della crisi. Si è messo in viaggio ed è andato a vedere coi suoi occhi cosa sta succedendo nel Belpaese.
È nato così Diario operaio, un’inchiesta sulle condizioni del lavoro in Italia che a ogni tappa gli ha permesso di disegnare la carta geografica di una crisi che colpisce il Sud, ma che non risparmia le ricche aree del Nord. "Un’inchiesta coraggiosa che rompe il silenzio sul dramma sociale del paese", la definisce il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Dal Sulcis a Termini Imerese, da Pomigliano d’Arco a Porto Marghera, dal distretto del divano in Puglia alle acciaierie di Piombino, dall’Emilia Romagna al prospero Nord Est, passando per Arcore e la Brianza, non si fa distinzione: le prime vittime della crisi sono, come al solito, i lavoratori. Cambiano gli scenari e le ambientazioni ma il copione e i protagonisti sono sempre gli stessi: le aziende chiudono, scattano i licenziamenti, la cassa integrazione (per i più "fortunati"); i lavoratori si mobilitano, organizzano presìdi e proteste, salgono sui tetti delle fabbriche e fanno scioperi della fame. Resta saldo, per fortuna, il senso di solidarietà e di unità che permette di lottare insieme. Ma i numeri dei licenziati, dei cassintegrati, dei senza lavoro sono inesorabili: leggerli è come sgranare un drammatico rosario.
Ed è seguendo questo filo rosso che si dipana la narrazione di Gianola, costruita quasi in presa diretta con le storie di lavoratori, sindacalisti, imprenditori, amministratori locali. Antonio, 21 anni, è uno degli operai della Vynils -- azienda chimica di Porto Torres che ha deciso di chiudere i battenti – che hanno organizzato una singolare forma di protesta nell’ex carcere dell’Asinara: "Abbiamo paura -- dice --. Senza un lavoro non ce la possiamo fare. Qui la vita è difficile, se perdiamo il posto fuori non c’è nulla, dobbiamo pensare forse ad andarcene. Se la fabbrica non riparte sarà una catastrofe per tutto il territorio". Antonio fotografa la situazione dell’intera Sardegna, una regione in cui "seicento imprese sono in crisi -- dice Enzo Costa, segretario regionale Cgil --, 150mila sono i disoccupati e più di trecentomila persone vivono sotto la soglia della povertà". E da dove i giovani scappano. Scappare, sì, ma per andare dove? Una volta dal meridione si emigrava verso il ricco Nord, ma oggi? "Ho pensato di trasferirmi al Nord -- confessa Francesco, 43 anni, da venti operaio alla Fiat di Pomigliano d’Arco -- ma non è più il momento: ormai stanno tornando indietro anche quelli che se ne erano andati. I miei amici che erano saliti al Nord hanno perso il lavoro. Senza occupazione non ce la fanno a vivere e tornano a casa, sconfitti anche loro".
Già, perché anche al Nord le aziende hanno il fiato corto. E licenziano. A Parma, Faenza, Brescia, Bergamo, Belluno, Porto Marghera. E ad Arcore, a pochi passi dalla villa del premier. Che però pare non accorgersi di quanto sta accadendo. “Siamo in crisi, poche balle -- taglia corto Luca, delegato sindacale della Knorr Bremse --. La gente perde il lavoro anche qui ad Arcore. Berlusconi dovrebbe saperlo, anche se fa finta di niente”. Nella zona sono tante le aziende in crisi: Candy, Beta, Valli&Valli, Nokia, Rhodia, Morse Tec, Peg Perego, Dalmine Tenaris, Yamaha. Ma cavaliere è convinto che la crisi sia passata, o meglio non sia mai iniziata... Di fronte a questa situazione, che mina il tessuto sociale di un paese, la politica è in affanno. Distratta da questioni di pura autoreferenzialità, si dimostra incapace di mettere in campo un progetto organico per affrontare la questione perché mal disposta a porre il lavoro in cima alla lista delle sue priorità. E nelle crepe del sistema si infila l’illegalità. In questo marasma, sembra resistere soltanto il lavoro sommerso. Non soltanto al Sud. Massimo, quarant’anni, ha perso il posto alla Sif di Brindisi: "Fuori non c’è niente, nessuna azienda ti prende a lavorare. Le sole occasioni sono nel lavoro nero". Ma si può costruire un progetto di vita contando su un lavoro illegale e al nero? Intanto la crisi continua. I governi hanno salvato le banche e la grande finanza.Ma a pagare restano i lavoratori. Quanto potrà andare avanti? Il rischio è che questi vedano svanire pure l’ultima speranza: quella di ritrovare un posto di lavoro. È chiedere troppo, chiedere un lavoro per vivere in modo dignitoso?
Rinaldo Gianola
Diario operaio,
Roma, Ediesse, 2010
pp. 168, euro 10,00