FONDAZIONE NENNI
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di Giuseppe Tamburrano
Vi ricordate quando ci chiamavamo “compagni”? Eravamo socialisti perché credevamo che gli esseri umani sono tutti liberi e uguali. E a chi ci accusava di essere “totalitari” noi rispondevamo con le parole di Marx che definiva la società socialista una comunità di liberi ed eguali aggiungendo che noi lottavamo per una società in cui la libertà di ciascuno è la condizione per la libertà di tutti.
Questo era, fu, il socialismo. Inventato da Marx? No, aggiornato da Marx. Perché il socialismo è antico. Nasce il giorno in cui qualcuno recintò un pezzo di terra e dichiarò bellicosamente: “Questo è mio”.
E ricordo quella vignetta di Scalarini nella quale si vede Cristo che esce da una sezione di “Popolari”, tutti proprietari, e si dirige verso la sezione socialista.
E chi non si è commosso nel leggere la “Predica di Natale” di Prampolini? E chi non è stato toccato dal sentimento di quella compagna che ha definito Matteotti “Cristo laico”?
Poi è venuto Lenin che ha dettato: “Qui bisogna sbaraccare tutto e sulle macerie del capitalismo costruire la nuova società”. Hanno sbaraccato tutto, ma hanno costruito una nuova società fondata sul rovesciamento della frase di Marx: “Una società in cui il tuo asservimento è la condizione per il mio potere”.
E quegli altri, i socialisti? Senza la sanguinaria brutalità dei comunisti, ma con congressi ed elezioni hanno dissanguato il socialismo, ridotto ad un ectoplasma.
Forse io non capisco che un’epoca storica, che un evo storico è compiuto.
Ma se leggo sui giornali quanto guadagna un manager rispetto a un operaio, se noto che quell’operaio è fortunato perché comunque guadagna un salario, se noto che il numero di chi non ha un salario, specie tra i giovani, perché senza lavoro, se leggo le cifre crescenti dei poveri, degli abbandonati, degli esclusi, dei senza casa, se comparo gli scandalosi privilegi alle disumane miserie, mi dico: ma andrà sempre così? Che cosa possiamo fare?