Nel numero di maggio dell'edizione cartacea della nostra rivista abbiamo pubblicato un dossier ("Europa sconnessa") che dà conto del seminario promosso dal Gruppo europeo di Torino tenutosi nell'ambito del Prix Italia il 17 settembre 2015. Di seguito riportiamo il testo integrale del documento conclusivo del seminario stesso.
Il Gruppo europeo di Torino, costituito, su iniziativa di Infocivica nel settembre 2009 da alcuni accademici specialisti nel campo della comunicazione sociale di una decina di paesi europei, ha svolto i suoi lavori basandosi su rapporti tematici, settoriali e nazionali, e su dibattiti con i propri membri svoltisi in occasione di sei seminari a Torino nell'ambito del Prix Italia e un seminario a Lisbona. In base agli studi alle discussioni di questi ultimi sei anni, ai quattro rapporti di base e al rapporto di sintesi finale presentato e discusso lo scorso settembre a Torino, e tenendo conto delle proposte illustrate in Italia dall'Associazione Infocivica, nonché di quelle, in Portogallo, del Gruppo di ricerche e documentazione dell'Università Nova di Lisbona, e in Spagna del Gruppo di ricerche di Teledetodos, è pervenuto alle seguenti conclusioni e proposte operative, concordate con i propri membri.
Il tradizionale modello duale europeo, che ha costituito un esempio di equilibrio virtuoso tra la concezione del servizio pubblico e le dinamiche commerciali, si trova di fronte ad un doppio e grave pericolo: da una parte il servizio pubblico, riconosciuto costituzionalmente in alcuni paesi europei (ma non in tutti) per il proprio carattere essenziale per il modello sociale europeo, sta attraversando la peggiore crisi della sua storia, tanto in termini di governance che di offerta e di adattamento al nuovo ambiente digitale e che in termini finanziari e di ascolto.
D'altra parte anche il settore privato (l'altra metà del sistema "duale") è messo duramente alla prova dall'arrivo di nuovi concorrenti e dal restringersi delle risorse complessive a disposizione. L'intero sistema televisivo e il futuro stesso dell'audiovisivo europeo, sono minacciati dall'espansione incontrollata di nuovi giganti globali e agenti audiovisivi digitali che – approfittando di importanti falle nel modello di legislazione dell'Unione europea – presentano un rischio grave per il settore della produzione, econ essa per l'identità e la diversità europee.
Nella sua analisi il Gruppo europeo di Torino rileva che questa combinazione negativa di elementi e di processi, in corso, audiovisivi, sociali e tecnologici (ma anche economici e politici) è stata propiziata dalla mancanza di aggiornamenti e di coerenza sul piano della regolamentazione, e di politiche attive, nazionali ed europee in materia audiovisiva che, pur mantenendo in questo campo una dottrina generale e una linea teorica corrette, non hanno saputo o potuto adattarsi alle grandi trasformazioni della comunicazione audiovisiva contemporanea: in particolare ai processi generalizzati di convergenza digitale e alla sua globalizzazione inarrestabile.
Così, pur beneficiando della politica regionale attiva più longeva al mondo (sono ormai passati 26 anni dall'approvazione della prima direttiva europea e dal varo del programma MEDIA), i progressi nella costruzione del tanto auspicato mercato comune dell'audiovisivo rimangono modesti, e l'industria audiovisiva europea incontra crescenti difficoltà nel competere – nei propri mercati e sulla scena mondiale – con quella statunitense e con quella dei paesi e delle regioni emergenti del pianeta.
Inoltre la storia dell'integrazione europea manca di quei mezzi di comunicazione in grado di costruirla e diffonderla, capaci di porre in gestazione una sfera pubblica europea autenticamente democratica. In altri termini, si assiste al crollo dell'idea dei "campioni europei" che ha caratterizzato la politica industriale europea sin dalla nascita del Mercato unico: una politica che – soprattutto nel settore audiovisivo – ha mostrato la sua profonda inefficacia e dannosità, visto che gli ultimi tre decenni dimostrano che i media restano saldamente ancorati alle tradizioni linguistiche e culturali di ciascun paese. In questi trent'anni, contrariamente alle aspettative, nessun "campione europeo" (nè tantomeno globale di origine europea) è emerso nel settore dei media. In particolare, i nostri studi hanno verificato eccezionali asimmetrie nell'attuale normativa europea che tendono a sbilanciarne ogni volta i singoli elementi, e le componenti collegate tra loro: la tendenza diffusa a esercitare un ferreo controllo sul finanziamento del servizio pubblico, soprattutto per le sue attività on line, coincide con le omissioni da parte dell'Unione europea di iniziative sul piano normativo per assicurare la sua indipendenza editoriale, la sua autonomia nei confronti dei governi e il suo adeguato finanziamento.
Questo stesso sforzo, che tende a considerare il ruolo del servizio pubblico come sussidiario e complementare a quello esercitato dagli operatori commerciali, risulta in contraddizione con il lassismo in materia di verifica di conformità per gli operatori commerciali circa i loro obblighi in quanto servizi di interesse generale nel campo della produzione di origine europea e indipendente o della tutela dei consumatori per quanto riguarda i messaggi commerciali. Soprattutto abbiamo accertato la gravità delle ripercussioni di un trattamento spesso ingiusto esercitato verso i radiodiffusori classici off line rispetto a quello nei confronti dei cosiddetti "service a richiesta" on line (che con il pretesto di voler incentivare il commercio elettronico stanno mettendo al riparo i nuovi entranti extraeuropei dagli obblighi propri del settore dei media): una decisione sorprendente dell'Ue che sta vanificando tre decenni di politica europea dei media e sta ponendo i radiodiffusori europei in posizione di inferiorità competitiva nei loro mercati, sollevando al contrario le attività degli attori globali dal rispetto di tutti gli obblighi in materia audiovisiva e nei confronti dei consumatori dai quali estraggono gran parte dei loro profitti, e portando per di più a situazioni di nuovi monopoli su scala europea (ben peggiori di quelli nazionali dell'era analogica), ad esempio nel settore della pubblicità on line, con punte di concentrazione fino all'80% per un solo operatore.
Non solo: ma in seguito al fenomeno della convergenza fra media, telecomunicazioni e industria elettronica di consumo questo aggiramento delle norme europee da parte di attori extraeuropei sta portando ad una serie di dispute intersettoriali fra gli attori nazionali che finiscono per indebolire tutti i settori europei nel loro insieme: le telecomunicazioni contro i broadcastersper accaparrarsi porzioni di spettro e per poter distribuire contenuti senza l'impiccio dei diritti d'autore; la carta stampata contro i media elettronici nel tentativo di mantenersi in esclusiva il mercato dell'on-line; le televisioni commerciali contro quelle pubbliche per toglier loro la pubblicità. Una serie di battaglie di tutti contro tutti che stanno producendo come unico risultato quello di indebolire l'insieme dei settori esposti dalla convergenza alla concorrenza globale.
Di conseguenza, il Gruppo europeo di Torino si rivolge alle istituzioni europee con una serie di proposte e raccomandazioni che consideriamo essenziali per discutere con urgenza come affrontare su basi concettuali nuove (che superino il concetto dei "campioni europei" e il Protocollo di Amsterdam) la progressiva costruzione di un efficace sistema audiovisivo europeo comune, che non sarebbe solo un grande mercato ma costituirebbe anche uno spazio pubblico di democrazia fondato sul pluralismo e sulla diversità delle nostre culture, di vitale importanza per la costruzione europea.
1. Elaborazione di un Libro bianco per contribuire a definire e differenziare le rispettive competenze delle istituzioni dell'Ue e delle autorità nazionali in materia di servizio pubblico audiovisivo, ripensando tutta la normativa e le politiche attive in materia audiovisiva tenendo in considerazione l'evoluzione del sistema delle comunicazioni nel suo complesso.
2. Superamento del Protocollo di Amsterdam del 1997 con un documento adattato all'era digitale e revisione profonda della comunicazione della Commissione del 2009 sul finanziamento dei servizi pubblici per promuovere la loro piena transizione verso il mondo online, con un proprio valore e in equilibrio con l'offerta commerciale .
3. Realizzare una Conferenza europea sul servizio pubblico, con la partecipazione degli Stati, della Commissione e del Parlamento Europeo, ma anche delle associazioni, delle realtà professionali e del mondo della ricerca più vicine alle questioni del servizio pubblico. Il principale obiettivo di tale iniziativa dovrebbe essere quello di dibattere e definire, in un documento di valore rifondativo, una nuova politica industriale europea propria al settore dei media, al cui interno è indispensabile definire un nuovo quadro per gli obiettivi, l'offerta, il finanziamento e le norme che regolano i media di servizio pubblico in Europa, specialmente per quel che riguarda la "necessaria presenza del servizio pubblico nella società dell'Informazione". In particolare bisognerebbe in tale Conferenza definire un patto per lo sviluppo economico e democratico digitale fra servizi pubblici e Unione europea, da raggiungere attraverso una serie di progetti strategici per l'Europa digitale su cui lavorare insieme: dalla digitalizzazione e messa in rete degli archivi aallo sviluppo di progetti tecnologici di ricerca sul multilinguismo, la traduzione e l'indicizzazione automatica dei contenuti audiovisivi. In particolare sostituendo il concetto di "campione europeo" con quello di "messa in rete" degli attori nazionali, rafforzando tutti i meccanismi che favoriscano cooperazione, sinergie e collaborazioni transnazionali e plurilingue, a partire da piattaforme comuni Ott.
4. Capacità legale per la Commissione e il Parlamento europeo di definire le condizioni elementari sine qua non per garantire media di servizio pubblico democratici in ogni Stato membro , e ciò al fine di evitare sperequazioni fra cittadini di serie A (quelli che possono accedere a servizi pubblici indipendenti, forti e di qualità) e cittadini di serie B (quelli che vivono in paesi dove l'interferenza dei partiti o di forze economiche è tale da limitare la qualità dell'offerta dei broadcaster pubblici.
5. Definizione degli obblighi e delle missioni del servizio pubblico attraverso uno strumento legale efficace in ciascun paese (possibilmente anche attraverso la "costituzionalizzazione" dei servizi pubblici nazionali nei paesi dove ciò non è ancora avvenuto) ed attraverso la definizione del diritto di ogni cittadino europeo a ricevere un'informazione equilibrata e completa.
6. Mandati e Convenzioni con scadenza a medio-lungo termine e Contratti di programma e/o di servizio a breve-medio termine approvati dai Parlamenti nazionali (con il coinvolgimento della società civile) per fissare le missioni di servizio pubblico.
7. Proporzionalità del finanziamento pubblico al costo netto del servizio pubblico e trasparenza contabile sottoposta periodicamente a verifica, con possibilità di verifica ed intervento comunitario non solo (com'è avvenuto finora) nei casi di finanziamento eccessivo, ma anche in quelli (ben più numerosi) di sottofinanziamento. L'abolizione del Public Value test – per gli effetti distorsivi che sta producendo nei vari mercati nazionali – potrebbe essere un primo passo nella giusta direzione..
8. Controllo esterno della gestione del servizio pubblico da parte di Autorità di controllo davvero indipendenti dai governi, con competenze specifiche sull'audiovisivo, dotate di mezzi e finanziamenti adeguati per perseguire questi compiti