giovedì 23 aprile 2009

Inibire il fanatismo non è poi un male

In morte del filosofo Franco Volpi (1952-2009)


di Andrea Ermano


Il filosofo Franco Volpi ci ha lasciato martedì scorso a Vicenza, sua città natale, in seguito a un incidente. Aveva 57 anni. Era uno dei maggiori storici del pensiero europeo, ben noto anche al di fuori dei confini del nostro Paese. Lunedì scorso era uscito di casa in bicicletta. Giunto a una località nei pressi di Vicenza, a San Germano dei Berici, è rimasto vittima di uno scontro con un’automobile. Sbalzato dal seggiolino è precipitato sull’asfalto subendo un gravissimo trauma cranico in seguito al quale è deceduto all'ospedale di Vicenza.

    Fin dal ginnasio, sotto la guida di un grande umanista come Giuseppe Faggin, aveva seguito una precoce vocazione filosofica, affinatasi poi all'università di Padova alla scuola di Enrico Berti, vero e proprio gigante degli studi aristotelici, del quale Volpi è stato allievo, assistente e infine successore alla cattedra di storia della filosofia.

    Tra i maggiori esperti del pensiero tedesco del Novecento, era stato Visiting professor presso numerose università europee e nordamericane, collaboratore di prestigiose riviste filosofiche internazionali nonché editore delle opere di Schopenhauer, Heidegger, Gadamer e Rosa Luxemburg in lingua italiana.

    La sua eccellenza indiscutibile di storico, filologo e filosofo si era prepotentemente imposta su opere fondamentali del pensiero novecentesco, ed heideggeriano in particolare, dalla riedizione di "Essere e tempo" fino alla più recente edizione dei "Contributi alla filosofia", lungo una serie di testi che già in lingua tedesca rasentano l'enigma assoluto e che appaiono praticamente intraducibili in altre lingue.

    Proprio in quest'ambito impervio Volpi aveva raccolto la sua temibile sfida intellettuale, spianando un'ampia via di accesso al pubblico filosofico di lingua italiana. E davvero non sono molte nel mondo le lingue che possano vantare, a questo sommo livello speculativo, un'analoga recettività e ospitalità nei riguardi del pensiero sviluppatosi nelle altre principali lingue europee moderne.

    Anche perciò è doveroso porre in evidenza il grande merito di Franco Volpi e di pochi altri studiosi della sua vaglia. Senza l'incredibile quantità e qualità di lavoro e di erudizione di questi benemeriti della cultura il dibattito filosofico italiano non reggerebbe al confronto con quello degli altri paesi occidentali.

    E a chi gli chiedeva come riuscisse a fare tutte quelle cose -- lezioni, conferenze, libri, edizioni, convegni, enciclopedie ecc. -- Volpi rispondeva con semplicità: "Ma io faccio solo questo".

 

Volpi non è mai stato un intellettuale snob o elitario, ma anzi -- accanto alla frequentazione delle vette del pensiero -- ha sempre praticato la filosofia nel suo senso più autentico, che è dialogo e presenza sulla "agorà" in mezzo all'altra gente. Oltre i confini del nostro Paese, giustamente celebre tra studenti e studiosi di mezza Europa, resta l'insostituibile "Dizionario delle opere filosofiche" che Volpi aveva intrapreso a redigere in collaborazione con lo studioso tedesco Julian Nida-Ruemelin (in seguito ministro della cultura nel primo governo Schroeder). Dopo la prima edizione del 1988, apparsa da Kroener in lingua tedesca, Volpi continuerà a lavorare, con competenza ed erudizione straordinarie, all'ampliamento della mole originaria che confluirà nel Grande Dizionario delle Opere filosofiche del 1999, uscito in Italia l'anno successivo per i tipi di Bruno Mondadori Editore.

    Le lezioni e le conferenze del celebre studioso erano rigorosissime sul piano scientifico, ma anche amichevoli nei riguardi dei giovani, degli studenti e degli ascoltatori in genere. Volpi rifuggiva ogni fumosità. Era seriamente impegnato a ricercare le parole più comprensibili per favorire il confronto con allievi e le persone interessate alla filosofia. Né si può dimenticare la sua passione per la divulgazione: "Geniali le sue proposte di opere minori di Schopenhauer", ha ricordato Sergio Givone, "dalle quali Volpi ha saputo trar fuori quella accattivante miscela di filosofia popolare e filosofia alta che era nascosta in esse".

    Il rettore Milanesi, a nome dell'antichissimo ateneo padovano in cui Volpi insegnava, ha commentato la morte prematura del filosofo accusando "una perdita gravissima, poiché priva colleghi e allievi di un punto di riferimento e ci lascia una grande eredità culturale che sarà compito di tutti noi valorizzare e continuare".

   Non è possibile concludere questo profilo di Franco Volpi senza ricordarne l'attività redazionale presso il quotidiano La Repubblica, un'attività che presupponeva straordinarie doti di sintesi e di chiarezza. E proprio sulla Repubblica del 10 aprile scorso, in risposta alla recente condanna di papa Ratzinger contro Friedrich Nietzsche, assunto ad emblema di un estremo relativismo, Volpi era intervenuto ricordando l'innocenza (e la sofferenza) del filosofo profondamente, disperatamente cristiano nel diagnosticare le sorti di un cristianesimo profondamente, disperatamente destabilizzato dalla Krisis. "Uno dei problemi della Chiesa attuale è che la produzione della felicità le è sfuggita di mano", concludeva Volpi sulla Repubblica, "ma non è colpa di Nietzsche se la forza dei Vangeli svanisce e la condizione dell'uomo occidentale è sempre più paganizzata".

    Al di là di questa dolente constatazione ed entrando nel merito della questione stessa, Volpi non si era sottratto ad esprimere senza ipocrisie la propria perplessità circa gli anatemi anti-relativisti della curia attuale. E su questo punto Volpi ha scritto alcune parole, che assumono ora, dopo la sua scomparsa, il valore di un lascito morale per tutti.

    "Dopo che la storia ci ha insegnato che spesso il possesso della Verità produce fanatismo, e che un individuo armato di verità è un potenziale terrorista, vien fatto di chiedere: il relativismo e il nichilismo sono davvero quel male radicale che si vuol far credere? O essi non producono forse anche la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, quindi anche di ogni religione? E allora non veicolano forse il rispetto del punto di vista dell'altro e dunque il valore fondamentale della tolleranza? C'è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo".