giovedì 16 ottobre 2014

Lettera aperta al Sinodo

di Gianni Geraci

Portavoce del Gruppo Il Guado, Cristiani Omosessuali

Non so con quale presunzione ho deciso di scrivere a un Sinodo. Non lo so proprio, perché davvero quello che sto facendo mi sembra un gesto un po' inutile e un po' megalomane di cui, un po', mi vergogno. Sento però il dovere di farlo anche perché, prima di iniziare, ho pregato molto lo Spirito Santo di liberarmi da quell'orgoglio che riesce a rovinare anche le nostre azioni migliori.

Tra l'altro non so nemmeno come ci si rivolge ai padri sinodali e mi rendo conto di correre il rischio concreto di farmi compatire. Ma è stato proprio questo rischio che mi ha spinto a scrivere lo stesso: non si era fatto per caso compatire lo stesso re Davide quando si è messo a ballare nudo davanti all'Arca? E lui non era un poveretto come me, lui era il re, e aveva molto da perdere. Io sono uno che, al massimo, rischia di suscitare qualche sorriso ironico da parte di chi, molto meglio di lui, è titolato a scrivere su certi argomenti.

Vi scrivo perché vorrei che ascoltaste la voce di una persona omosessuale che ha combattuto per tutta la sua vita per conservare la sua Fede cattolica e che, ancora adesso, nonostante le battutine sarcastiche e nonostante le accuse di ipocrisia e di tradimento della Fede, è ancora cattolico, è ancora innamorato di Gesù, è ancora profondamente grato alla Tradizione che mi ha permesso di incontrarlo e che mi permette di incontrarlo ancora.

Quando due domeniche fa ho sentito il papa che vi parlava di parresia (“Franchezza, libertà di parola”, ndr), ho pensato che sicuramente, tra di voi, ci sono degli omosessuali: chiariamoci subito, non ho nessuna informazione riservata, ma faccio riferimento a quanto si dice sull'incidenza dell'omosessualità nelle popolazioni umane, un'incidenza che conferma senz'altro questa mia intuizione.

E proprio pensando a quanti, fra voi, sono omosessuali, mi sono detto: «Come sarebbe bello se uno di questi padri, prendendo finalmente sul serio l'invito del papa alla chiarezza e al superamento di qualunque ipocrisia, trovasse il coraggio di raccontare con il cuore in mano il percorso che l'ha portato a vivere in pienezza la propria vocazione cristiana». Un percorso, diciamocelo chiaramente, che la Chiesa stessa invita a seguire, quando, nel Catechismo, osserva che le persone omosessuali: «sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita».

Con una testimonianza di questo tipo non ci sarebbero le discussioni e i distinguo che invece mi capita di leggere in merito a quanto il relatore generale del Sinodo ha detto quando ha parlato delle persone omosessuali, perché chiunque ha alle spalle un'esperienza seria di ascolto e di accoglienza di quanto dice il magistero della chiesa cattolica sull'omosessualità, non avrebbe niente da eccepire su quelle parole.

Quando ad esempio il relatore si è chiesto se le comunità cristiane sono in grado di accogliere le persone omosessuali senza compromettere la dottrina cattolica sul matrimonio e sulla famiglia non mi pare che abbia detto niente di nuovo rispetto alle parole con cui il Catechismo invita ad accogliere gli omosessuali «con rispetto, compassione e delicatezza» (cfr. CCC 2358).

Anche la frase con cui si osserva che la questione omosessuale interpella il Sinodo «in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale» mi pare riprendere quanto, in maniera senz'altro più poetica, ricorda lo stesso Catechismo: «Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana» (cfr. CCC 235).

Direi addirittura che il catechismo va più in là delle parole usate per riassumere il dibattito della prima settimana del Sinodo, perché parla in maniera esplicita di alcuni elementi essenziali di questi “cammini realistici”: alcuni collegati alla maturità affettiva (padronanza di sé, libertà interiore), altri collegati in maniera più specifica alla dimensione spirituale (preghiera e grazia sacramentale), altri ancora tesi a valorizzare quanto di buono ci può essere in una relazione di amicizia. Quest'ultimo punto è quello che il relatore generale del Sinodo ricorda quando riconosce ciò che è evidente a quanti conoscono da vicino delle persone omosessuali, ovvero che «vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners» in una coppia omosessuale. (…)

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