martedì 29 ottobre 2013

Il filosofo Peter Sloterdijk

DA RAFFAELLO CORTINA EDITORE

RICEVIAMO E VOLENTIERI SEGNALIAMO

 

Critica della ragion cinica

Concetto genere della banalità e del male, il “cinismo” è attitudine a farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Con botto finale. Oggi come non mai. - Ritorna in libreria, vent’anni dopo l’opera degli esordi di Peter Sloterdijk, salutata da Habermas come un “capolavoro della letteratura filosofica”. L’edizione italiana dell’opera è curata da Andrea Ermano e Mario Perniola per le edizioni Cortina.

Il filosofo Peter Sloterdijk

“Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, di un’amara disponibilità a farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Ben altra natura possedeva il cinismo degli antichi, o quello che Nietzsche chiamava cynismus, una forma estrema di autodifesa che opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di sopravvivenza, la sfrontatezza vitale di una filosofia vissuta. Se il cynicus Diogene viveva in una botte, il “cinico” moderno aspira invece al potere e al successo. Critica della ragion cinica parte da questa contrapposizione per rileggere l’intera storia della filosofia, sottoponendo a una serrata analisi il rapporto tra intellettuali e apparati di potere e il relativo strascico di sangue e ideologie.

Dalle esilaranti frecciate di Diogene contro Platone alla rivisitazione del Grande Inquisitore dostoevskijano, da Nietzsche e Heidegger alle drammatiche parabole della repubblica di Weimar e della rivoluzione russa, Sloterdijk mette a nudo i rischi estremi della falsa coscienza. Sostenuto da una inesauribile e travolgente forza satirica, intreccia provocatoriamente storia del pensiero e costumi sessuali, moda. arte, ideologia e mass media. E dopo aver tracciato una lucida diagnosi della catastrofe politico-morale del nostro tempo, ci indica una possibile terapia, attraverso il coraggio sereno e consapevole di un nuovo cynismus.

Edizione italiana a cura di Andrea Ermano e Mario Perniola. Con una Presentazione di Mario Perniola.

Peter Sloterdijk, fra i protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo, insegna Filosofia ed Estetica presso la Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, università di cui è rettore dal 2001. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Devi cambiare la tua vita (2010), La mano che prende e la mano che dà (2012) e Stress e libertà (2012). / http://www.raffaellocortina.it/

 

 

IPSE DIXIT

Il funzionamento - «Il funzionamento sacrificale esige un non-sapere, che ormai non c'è più.» – René Girard

Epoche tarde - «Sono perciò predisposte al cinismo tutte le epoche caratterizzate dai gesti vani e da un raffinato “parlar coverto”, dove dietro ogni parola si celano riserve mentali, ironie, universi ostili, muti monologhi sotterranei nelle viscere di formulazioni ufficiali per penetrare le quali occorre essere un tantino co/ironizzanti, co/decadenti, collaborazionisti e, quindi, anche un po’ co/rotti...» – Peter Sloterdijk

 

sabato 19 ottobre 2013

Berlusconismo a scuola: un bilancio

Da vivalascuola riceviamo
e volentieri pubblichiamo

Sarà proprio vero che Berlusconi è finito? Forse è presto per
dirlo, comunque è certamente tempo di accennare un bilancio.

di Giorgio Morale



Ci prova la puntata di vivalascuola di questa settimana, con spunti per un bilancio della scuola nel ventennio berlusconiano:



http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2013/10/07/vivalascuola-149/



Come si è trasformata la scuola italiana in questo periodo? Quali sono state le parole più usate? Quali sono state le continuità? E discontinuità, ce ne sono state? O c'è qualche filo rosso che attraversa il periodo? Ci riflette Giovanna Lo Presti con uno sguardo che abbraccia l'inizio e la fine del ventennio, da D'Onofrio a Carrozza. Con qualche sorpresa. O forse no. Completano la puntata le notizie della settimana scolastica.

L’accumulazione e l’avidità

Da MondOperaio
http://www.mondoperaio.net/


Il capitalismo è un fenomeno di difficile definizione, per le molte implicazioni sul piano storico, politico e sociale. La sua definizione comunemente accettata si ha con la Rivoluzione Industriale, e gli economisti che concorrono a formularla lo definiscono come modo efficiente di organizzare la produzione, la distribuzione e il consumo dei beni, fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione.

di Gianfranco Sabattini


Karl Marx sostiene che il capitalismo, anche se efficiente, è iniquo sul piano sociale, e pertanto insostenibile. Max Weber attribuisce al capitalismo un significato culturale e sociale legato al pensiero religioso protestante, che prescrive per gli uomini una vita proba, finalizzata a massimizzare il risparmio attraverso la rinuncia al consumo, propensioni indispensabili all'accumulazione. Secondo Weber, successivamente e autonomamente dalla religione, tali propensioni si perpetuano indipendentemente dalle volontà dei singoli, trasformandosi in una forma di ascesi resa necessaria dalla competizione.

Per John Maynard Keynes il capitalismo è una grande conquista dell'uomo, esposta però al rischio di un'auto-estinzione; esso infatti, per sopravvivere, necessita che le istituzioni in cui si incorpora siano di continuo regolate al fine di eliminarne gli effetti indesiderati sul piano sociale. Anche per Karl Polanyi è un prodotto della società umana, però storicamente datato, e non un prolungamento della naturale tendenza umana ad arricchirsi, come vuole il pensiero liberale. Quest'ultima visione è largamente accolta nel dibattito attuale sui limiti del capitalismo, inteso sia come modo di produzione che come ideologia sociale tesa a giustificarlo.

Rispetto all'origine del capitalismo come modo di produzione si discute molto sul ruolo svolto dalla formazione delle pre-condizioni che ne hanno reso possibile l'avvento. Paolo Prodi e Giacomo Todeschini mostrano come i dibattiti teologici del mondo cattolico su usura, distinzione tra capitale sterile e capitale produttivo, giusto prezzo, bene comune ed altro ancora, contribuiscono a costruire il quadro etico e normativo che ha fatto del mercato un'istituzione affidabile e stabile. Il sociologo francese Gérard Delille, in L'economia di Dio, di recente pubblicazione, integra la discussione sulla nascita del capitalismo individuando l'impatto che sulla sua affermazione hanno avuto i differenti modi in cui le tre religioni monoteiste hanno definito e regolato i rapporti parentali.

Secondo il sociologo francese la regolazione della struttura familiare e parentale nell'antichità era formulata per costruire patrimoni che le famiglie intendevano conservare al loro interno, bloccandone la circolazione. Questo sistema è rimasto anche dopo la rivoluzione industriale; ne sono prova li maggiorascato, il "maso chiuso" ed altre istituzioni simili.

Indubbiamente prima della rivoluzione industriale le istituzioni che limitavano la circolazione dei patrimoni favorivano l'accumulazione di rilevanti ricchezze in poche famiglie; il maggiorasco, del quale si conservano ancora oggi alcuni "residui storici" come ad esempio il maso chiuso, era lo strumento giuridico mediante il quale i nuclei familiari tramandavano ai discendenti i propri patrimoni. Si istituiva erede il proprio figlio maschio e primogenito, o in mancanza il proprio fratello, perché conservasse il patrimonio ereditario al fine di lasciarlo alla propria morte al proprio figlio, che a sua volta doveva trasmetterlo al suo discendente diretto, e così via.

I dibattiti e le istituzioni medioevali sulla gestione e sull'uso delle risorse hanno certamente contribuito a creare il quadro etico che ha reso affidabile e stabile il mercato e a realizzare la concentrazione di cospicui patrimoni nelle mani di pochi. Il quadro etico e la concentrazione patrimoniale, però, prescindendo dall'interpretazione weberiana, non hanno contribuito alla creazione dell'ethos del capitalismo: questo esprime non solo un ordine morale, ma anche un retaggio di competenza e di conoscenza.

L'ethos proprio del capitalismo non evoca solo l'auri sacra fames antica quanto l'uomo: esso evoca anche una particolare disposizione dell'uomo rispetto alle risorse in sé e per sé considerate, prescindendo quindi da ogni riflessione valoriale. Ciò significa che l'ethos capitalista non implica solo conservazione e concentrazione della ricchezza in poche mani: implica anche una sua continua espansione, facendo di questa una specifica vocazione professionale.

Lo "spirito" del capitalista ad espandere di continuo le risorse delle quali dispone è giustificato sul piano etimologico dalla derivazione della parola capitalismo dal sostantivo latino caput (testa, inizio, ecc.). Il termine caput sta appunto ad indicare che l'espansione del capitale deriva unicamente dallo svolgersi di un processo che ha come "testa" o "inizio" la destinazione di ciò che resta di ogni produzione, al netto della reintegrazione di quanto si è investito per ottenerla, al reinvestimento, finalizzato al continuo rafforzamento del processo stesso.

E' questo lo "spirito-propensione" proprio del capitalismo, e non una qualsiasi propensione ad accumulare fuori dalla logica implicita nell'attività di reinvestimento. Dopo la rivoluzione industriale l'affermazione della propensione ad aumentare di continuo il capitale è valsa a sostituire le vecchie istituzioni del tardo Medioevo con nuove istituzioni, quali ad esempio le "autorità antitrust" poste a garanzia della contendibilità delle risorse nei confronti dei vecchi proprietari, e le public companies per la diffusione della proprietà: tutte poste a presidio dell'eliminazione degli impedimenti alla circolazione delle risorse, al fine di favorire l'aspirazione del massimo numero di soggetti a divenire proprietari di un patrimonio per accrescerlo attraverso il reinvestimento e non attraverso la sola conservazione-concentrazione delle risorse ereditate dal passato.

Gli economisti che hanno reso rigorosa la spiegazione delle logica di funzionamento del capitalismo inteso come modo di produzione sono stati quindi affiancati da quelli che hanno inteso mettere il capitalismo e il suo "spirito" a disposizione degli uomini per liberarli dal bisogno attraverso la combinazione dell'efficienza con la giustizia sociale. L'intento è stato però frustrato dal prevalere di coloro che hanno avuto interesse ad assolutizzare la libertà posta a fondamento del mercato, prescindendo da ogni considerazione sociale.

Costoro, spesso con azioni illegali sistemiche sotto il velo della libertà, sono stati gli artefici della regressione dello spirito del capitalismo al suo contrario, ovvero all'auri sacra fames – esecranda fame dell'oro. Oggi perciò occorre ricuperare lo spirito originario del modo di produzione capitalista per finalizzarlo alla realizzazione di un mondo futuro migliore di quello attuale, e ciò prima che i rudi capitalisti attuali lo distruggano in nome di una crescita senza limiti e regole per una presunta civiltà del benessere.

giovedì 17 ottobre 2013

Sono un ingenuo?

FONDAZIONE NENNI
http://fondazionenenni.wordpress.com/

di Giuseppe Tamburrano

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Forse Berlusconi conosce questo detto di Seneca; ora certamente lo prova sulla sua pelle e meglio sulla sua libertà. Il suo futuro è una sequela di arresti, condanne: di perdita non solo del potere, ma della libertà, della rispettabilità (questa già compromessa).
Qualche tempo fa (vedi Sogno di una notte di mezza estate<http://fondazionenenni.wordpress.com/2013/09/03/sogno-di-una-notte-di-mezza-estate/#more-2301>, del 3 settembre 2013) gli ho consigliato di tagliare la corda, di stabilirsi in qualche angolo di paradiso che non estradi in Italia e di vivere da sultano gli ultimi anni della sua vita. Ora è privo di passaporto, ma non dei mezzi per un espatrio clandestino (ci è riuscito il Conte di Montecristo, di cui gli consigliamo la lettura). E ponga così fine anche fisicamente all'era Berlusconi, che altrimenti giacendo nelle patrie galere la cosa cambia per lui, non per noi!
Che cosa può accadere in Italia? Paese imprevedibile! Ma se come diceva Croce "prevedere è ben vedere il presente" mi sembra che nei primi spostamenti si intraveda la nascita di un forte movimento al centro (Casini, che sembrava scomparso è ritornato in TV) con l'apporto di un forte nucleo di berlusconiani; la coagulazione di una destra attorno ai falchi alla Santanchè, la Lega e quant'altri; la decantazione della sinistra con Letta e/o Renzi alla sua guida. E un forte movimento estremista fuori dai giochi della politica parlamentare-governativa ed in declino nella misura in cui la situazione politica si decanta.
E' quel che ho scritto tempo addietro: ma allora era in qualche modo fantastoria. Ora può diventare la storia della III Repubblica. A questo quadro manca un tassello importantissimo: la legge elettorale. Ma ora che Berlusconi non c'è più e che sul terreno sociopolitico vi sono le componenti di una nuova articolazione è augurabile che la nuova maggioranza possa operare non solo per la ripresa economico-finanziaria, ma anche per una riforma istituzionale.
Sarò un ingenuo inguaribile: ma se non c'è una speranza a che cosa serve essere cittadino? E fatemi dire tutto: in questo rinnovamento della vita pubblica io vedo un ritorno di una componente socialista autentica. Ma non mi fate sperare troppo!

Non indagate i superstiti

LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it<http://www.rassegna.it/>

Manconi (Pd) presenta un ddl per l'abolizione del reato di clandestinità. Schulz: Italia lasciata sola. L'appello dell'Asgi, dopo che la procura ha iscritto nel registro degli indagati i 155 migranti scampati al naufragio.


Scampati alla morte e adesso sotto indagine per il reato di immigrazione clandestina. È la sorte dei 155 migranti salvati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio della scorsa settimana. Al riguardo l'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) esprime "grandissime perplessità di fronte al comportamento della procura di Agrigento che ha iscritto nel registro degli indagati tutti i sopravvissuti per il reato di ingresso irregolare di cui all'art. 10 bis". Sebbene si tratti di un atto dovuto, come sostiene la Procura, l'Asgi fa notare che sfugge "il senso di attivarsi con tale celerità per criminalizzare soggetti che hanno vissuto una così immane tragedia, quando già appare evidente che gli eventuali procedimenti che si dovessero aprire nei confronti dei rifugiati sono destinati a concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, visto che essi hanno diritto a forme di protezione internazionale".

L'Asgi evidenzia "come non può affatto essere considerato irregolare l'ingresso di coloro che sopravvivono ad un naufragio, sprovvisti dei requisiti formali per l'ingresso se presentano tempestivamente domanda di asilo alle autorità, perché in tali ipotesi la condotta appare lecita fin dall'inizio". "L'evidente assurdità di detta situazione mette in luce ancora una volta come sia inderogabile l'eliminazione dal nostro ordinamento del reato di immigrazione irregolare, norma del tutto insensata e di dubbia conformità con il diritto dell'Unione, che ha inutilmente moltiplicato processi inutili e colpito proprio i soggetti più deboli e bisognosi di aiuto".

"Alla luce delle dichiarazioni riportate dalla stampa da parte di alcuni rappresentanti politici, – concludono i giuristi – sebbene non vi siano al momento in cui scriviamo indagini per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso coloro che hanno preso parte alle operazioni di soccorso, ci sembra importante ricordare che, se venissero avviate, ciò costituirebbe un vero e proprio assurdo giuridico".

Luigi Manconi, senatore del Partito Democratico, ha presentato un disegno di legge per l'abrogazione del reato di clandestinità. "Quello di clandestinità – dichiara Manconi - è un reato orribile che punisce non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Non per un delitto commesso, ma per una condizione di vita: migrante, fuggiasco, povero. E questo contribuisce a riportare il nostro ordinamento giuridico a una condizione precedente l'affermazione dello stato di diritto: sorprende che i tanti garantisti presenti nel PdL non siano finora insorti contro una norma così regressiva e liberticida. E si tratta di un reato assai pericoloso perché rappresenta l'immigrato e il richiedente asilo come un nemico". Inoltre, l'ingresso e la permanenza irregolari nel territorio dello Stato - continua Manconi - rischiano di sottrarre l'imputato alle garanzie previste dalla direttiva rimpatri che non si applica, appunto, alla materia penale. Infine, e palesemente, quel reato non contribuisce in alcun modo a contenere i flussi migratori, mentre aggrava ulteriormente il contenzioso giudiziario penale. Una ragione in più per abrogare una norma inutile e ottusa, tanto più che la Corte Costituzionale, nel luglio del 2010, ha dichiarato illegittima l'aggravante di clandestinità".

Dal fronte Pdl si registra le risposta di Carlo Giovanardi. Il senatore Pdl avanza tre proposte "per reagire alla tragedia di Lampedusa: tornare alla impostazione originale della Turco-Napolitano, confermata dalla Bossi Fini, con l'abrogazione del reato contravvenzionale introdotto con la legge 94 del 2009, che sanziona penalmente il mero ingresso e soggiorno irregolare dello straniero, creando una assurda sovrapposizione tra illecito amministrativo e illecito penale, da me inutilmente contrastato a suo tempo, come responsabile delle politiche familiari del Governo Berlusconi". E ancora: "Non scrivere libri dei sogni, ma trovare subito le risorse finanziarie per ampliare i Centri di prima accoglienza e rendere agibili e vivibili i CIE, sia dal punto di vista di un dignitoso trattamento degli ospiti che da quello della effettivita' delle espulsioni, uscendo dalla logica perversa del risparmio, introdotta dal Governo Monti, che costringe poi a spendere milioni di Euro per chiudere e ristrutturare gli ambienti distrutti dalle rivolte". "Impostare una legge navale che consenta di avere mezzi per pattugliate efficacemente le nostre coste, sia in funzione di sicurezza che di interventi umanitari, con un maggior immediato coordinamento della Marina, Guardia Costiera e mezzi navali delle varie forze di Polizia impegnate in quel Teatro", conclude Giovanardi.

"E' una vergogna che l'Unione Europea abbia lasciato così a lungo l'Italia da sola ad affrontare il flusso di migranti dall'Africa". Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in un'intervista al quotidiano tedesco 'Bild'. Per Schulz ogni Paese membro della Ue dovrà accogliere in futuro un maggior numero di migranti. "Questo significa – ha sottolineato – che anche la Germania dovrà accogliere un maggior numero di persone".

"Mercoledì sarò a Lampedusa per ribadire la solidarietà dell'Unione europea e per vedere" la situazione. "Andrò a dire che bisogna fare di più a livello europeo per rispondere a queste situazioni e prevenire simili tragedie". Lo ha detto José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea.

Teologia della liberazione e Chiesa dei poveri

Da MondOperaio
http://www.mondoperaio.net/


di Gianfranco Sabattini



Con l'ascesa al pontificato di Papa Francesco ha ripreso slancio e vigore il dibattito sulla "teologia della liberazione", una corrente ecclesiale nata dal "matrimonio della Chiesa con i poveri", come afferma Leonardo Boff, ex frate francescano, teologo e scrittore brasiliano. L'attività pubblica di Boff è sempre stata orientata alla difesa dei poveri, e il suo fermo impegno nella lotta contro l'oppressione dei popoli latino-americani lo ha portato a scontrarsi con le gerarchie vaticane, sino a condurlo nel 1992 ad abbandonare l'ordine dei francescani.

Per comprendere il significato della riproposizione oggi della teologia della liberazione è utile tener presente il processo attraverso il quale, dopo essere nata ai tempi del Concilio vaticano II (1962-1965), essa è venuta evolvendo, non senza contrasti, all'interno del mondo ecclesiastico.

Il suo corpo centrale esprime un impegno pastorale della Chiesa coincidente in toto con il significato e la pretesa dell'umanesimo socialista; questo, come l'umanesimo predicato da Cristo, afferma che l'affrancamento dei poveri e degli oppressi dal loro stato di minorità non può essere realizzato se si prescinde dalla comprensione e dalla rimozione delle condizioni che sottendono l'organizzazione del sistema sociale e dalla natura dei prevalenti rapporti materiali esistenti tra tutti i suoi componenti. Se non fosse così, che significato simbolico si dovrebbe assegnare al gesto con cui Cristo, salendo le scale del Tempio, getta a terra il denaro dei cambiavalute rovesciandone i banchi, se non quello di aver voluto con quel gesto reagire ai prevalenti rapporti materiali di un sistema sociale che, per via della sua natura, consentiva che gran parte della popolazione del suo tempo fosse conservata nell'indigenza, nella povertà e nella sofferenza?

Boff, in La Chiesa dei poveri, racconta che alla fine del 1965 quaranta vescovi di tutto il mondo, ispirandosi a Papa Giovanni XXIII, si sono riuniti nelle catacombe di Santa Domitilla, fuori Roma: questo è stato l'antefatto che ha determinato nel 1968, in occasione della Conferenza episcopale latino-amaricana tenutasi a Madellin, l' "irruzione" nella coscienza ecclesiale della centralità dei poveri e degli oppressi e l'urgenza di un impegno pastorale da parte della Chiesa per la loro liberazione. Da questa presa di coscienza ecclesiale, afferma Boff, è nata la teologia della liberazione; per mezzo delle sue pratiche, "nei sindacati, nei partiti politici di indirizzo popolare, nelle comunità cristiane, nei movimenti di resistenza e fino allo scontro con le forze di controllo e di repressione del regime allora dominante in America Latina", i movimenti popolari di protesta e di resistenza si sono imposti come nuovi protagonisti e come nuovi attori sociali.

Negli anni Settanta la teologia della liberazione ha orientato il proprio impegno verso il "povero e l'oppresso materiale, sociale e politico"; la loro liberazione doveva passare per le "liberazioni storico-sociali", senza le quali non sarebbe stato possibile riscattarli dal loro stato di alienazione. Negli anni Ottanta l'impegno è stato orientato verso la comprensione della condizione del povero e dell'oppresso culturale, riflettendo non solo sulle condizioni materiali, sociali e politiche dei poveri e degli oppressi, ma anche sulla cultura che sottendeva il perpetuarsi della loro condizione di alienazione. Negli anni Novanta, infine, la teologia della liberazione ha allargato il paradigma della sua riflessione teologale e della sua azione pastorale, considerando i pericoli derivanti a tutta l'umanità dalla crisi ecologica, nella consapevolezza che la Terra non era più in grado di sopportare la dilapidazione delle sue risorse: non esistendo più un'arca di Noè utile per trarre in salvo alcuni, abbandonando gli altri al loro destino, era necessario un impegno dei cristiani e con loro di tutti gli uomini di buona volontà per una liberazione integrale della Terra.

Il peso della teologia delle liberazione, afferma Boff, si è fatto sentire durante il suo sviluppo, per cui la crescente espansione nella coscienza ecclesiale all'interno dell'apparato centrale della Chiesa non ha tardato a richiamare l'attenzione su due possibili pericoli: la riduzione della fede alla politica e l'uso acritico dell'analisi del marxismo nella cura delle condizioni esistenziali dell'uomo. Ne è prova il fatto che negli anni Ottanta l'allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, non ha condannato la teologia della liberazione, ma quelle sue deviazioni che avevano perso di vista il soprannaturale per divenire solo una sovrastruttura di un progetto marxista.

Per molti ecclesiastici conservatori – incluso il cardinale Gerhard Müller, attualmente al vertice dell'ex Sant'Uffizio – Ratzinger, con la sua condanna degli anni Ottanta, ha preparato la strada a una vera teologia della liberazione, legata alla dottrina sociale della Chiesa, che oggi con l'ascesa al pontificato di Papa Francesco è pronta a levare la propria voce.

Una delle prime dichiarazioni di Papa Francesco, infatti, è stata quella di volere "una Chiesa povera per i poveri", memore del fatto che nella sua formazione spirituale da gesuita aveva avuto, e continua ad avere, una parte importante la "teologia del popolo argentina". I conservatori, annidati all'interno dell'Opus Dei, avrebbero voluto che la teologia del popolo, pur schierata dalla parte dei poveri e degli oppressi, si caratterizzasse per il non uso dell'analisi marxista dei problemi sociali e per l'uso, in sua vece, di un'analisi che privilegiasse i problemi storico-culturali: come dire sì alla cura dello stato dei poveri e degli oppressi, ma senza alcuna attenzione all'origine sociale e politica della povertà e dell'oppressione.

Le preoccupazioni degli ecclesiastici conservatori sembrano destinate a non avere alcun peso sul futuro del movimento: tanto che Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Gustavo Gutiérrez, teologo domenicano peruviano, uno dei cofondatori della teologia della liberazione e autore di un recente libro dal titolo che non ammette fraintendimenti: Dalla parte dei poveri. Teologia delle liberazione, teologia della Chiesa. La vicinanza di Papa Francesco a Gutiérrez vale a dimostrare che anche la teologia del popolo argentina è lontana dall'idea che la dimensione sociale e politica dell'azione pastorale della Chiesa possa fare correre il rischio che si perda di vista il rapporto tra uomo e Dio. Anzi, per la Chiesa universale e per tutti i suoi credenti, questo rapporto potrà costituire realmente il fondamento del riscatto dalla povertà e dall'oppressione dell'uomo solo se tale riscatto sarà realizzato non attraverso un atto caritatevole, ma attraverso la rimozione delle cause sociali e politiche della povertà e dell'oppressione. Ma per rimuovere tali cause occorre conoscerle, e la loro conoscenza è strumentale al conseguimento delle finalità di tutte le forme di umanesimo socialista, tra cui quella dell'umanesimo marxiano, tradito dai suoi rudi interpreti, e quella dell'umanesimo cristiano. Accedendo a questa prospettiva diventa possibile, come afferma padre Gutiérrez, sfatare l'ironica battuta dell'arcivescovo brasiliano Hélder Câmara: se si dà un pane a una persona affamata, si dice che si è santi; mentre, se si chiede perché una persona ha fame, si dice che si è comunisti.

In chiusura, viene fatto di osservare che nel mondo del cristianesimo, come in quello secolarizzato dell'economia e per certi persi della società secolarizzata tutta, i tedeschi sembrano compiacersi d'essere i leader del conservatorismo, sotto le mentite spoglie dei "cani da guardia" della tradizione. Che sia solo un caso?

Tre primi passi

Da CRITICA LIBERALE
riceviamo e volentieri pubblichiamo


Brevissima a papa Francesco


"La Chiesa si spogli delle sue ricchezze". Così pare che Ella voglia dire, nel Suo prossimo discorso, che terrà nella città del frate dal quale ha voluto prendere il nome per il Suo pontificato.

Detta in questi termini, appare un'affermazione semplice, perfino condivisibile; ma non è esattamente così. Quali sono infatti, le ricchezze della Chiesa? Ci si riferisce alla liquidità dello IOR o anche a tutti i capolavori dell'arte e della cultura che appartengono alla Curia o alle sue infinite emanazioni territoriali? Alle ostentazioni della Curia stessa o anche ai malcelati supporti imprenditoriali dell'ecclesia, siano essi editoriali, ricettivi o di refezione?

Noi impenitenti laici problemisti e critici diffidiamo delle affermazioni di larghissima massima e non riteniamo che una Chiesa debba necessariamente spogliarsi di tutto. Ci accontentiamo di molto di meno.

Guardando al nostro cortiletto di casa, a quell'Italia che pure, lo riconoscerà, la Chiesa ha condizionato politicamente per secoli, ci accontenteremmo di due o tre decisioni di puro buonsenso e di impeccabile stile, che ci pare possano essere nelle Sue corde.

Non le chiediamo ora di disdettare unilateralmente il Concordato, rinunciando di punto in bianco ai tanti privilegi che concede alla Chiesa Cattolica con i denari dei contribuenti, anche di quelli laici, dei fedeli di altre religioni, di quegli "anticlericali" tra i quali sorprendentemente, ma correttamente (non era forse anticlericale Gesù quando si scagliava contro i "sepolcri imbiancati"?), ha ritenuto di potersi, a tratti, annoverare.

Chiediamo tre piccoli primi passi, per favorire un inizio di percorso comune tra credenti e non credenti che vada oltre le parole.

Rinunci a tutti gli introiti che alla Chiesa, a corretti termini di legge, ma contro ogni logica, provengono dal sistema dell'8 per mille attraverso il cosiddetto "inoptato", ovvero come pura regalia dello Stato da un monte finanziario che nessun cittadino ha espressamente deciso di versare alla Sua Chiesa. Limiti la Chiesa Cattolica a ricevere il frutto delle sole opzioni espresse dei contribuenti.

Chieda di scomputare dai versamenti annuali dello stato alla Chiesa un importo pari alle retribuzioni degli insegnanti di Religione nelle scuole di Stato, se proprio non vuole, per ragioni pastorali, portare coerentemente alle sue conseguenze la Sua recente affermazione contro il "proselitismo". Chieda altresì di scomputare da quegli stessi versamenti le retribuzioni dei cappellani militari, recentemente parificati ai diversi gradi della carriera dei combattenti, con ulteriore crescita dell'onere per l'Erario.

Promuova Ella sua sponte un censimento delle attività economicamente profittevoli di enti e istituzioni ecclesiastiche e dia una direttiva inderogabile in ordine al pagamento, su di esse, di ogni tassa e contributo, da quelle sugli immobili a quelle sul lavoro.

Non chiediamo nulla che non sia rettamente accettabile in termini di puro buon senso, senza rimettere in discussione fondamenti del rapporto tra Stato e Chiesa che pure noi, da sempre, riteniamo revocabili in dubbio, Concordato innanzitutto (ma chissà che un giorno non se ne possa laicamente discutere, con un Papa che mostra aperture non trascurabili al concetto di laicità).

Chiediamo questo in maniera non provocatoria e senza secondi fini. Nell'auspicio di un confronto che non sia solo dialogico ma rimetta nei termini corretti delle responsabilità reciproche il rapporto tra laici e cattolici in Italia.

Critica liberale

http://www.criticaliberale.it/settimanale/164587#sthash.3f2OpUFb.dpuf

Hans Küng sul fine vita

DA ITALIALAICA

http://www.italialaica.it/

http://www.italialaica.it/gocce/48231#sthash.ufC9xv2S.dpuf




Hans Küng, uno tra i più famosi teologi contemporanei – noto soprattutto per le idee progressiste e di rottura rispetto alla tradizione cattolica cui appartiene – si esprime a favore dell'autodeterminazione sul fine vita: "Nessuno dovrebbe essere obbligato a tollerare delle sofferenze insopportabili come se fossero inviate da Dio".



Lo studioso svizzero, nato nel 1928, è da tempo affetto dal morbo di Parkinson e nel suo ultimo libro Erlebte Menschlichkeit ("Umanità vissuta", volume di memorie pubblicato in lingua tedesca la scorsa settimana) esprime il proprio parere favorevole all'autodeterminazione sul fine vita.

"Nessuno dovrebbe essere obbligato a tollerare delle sofferenze insopportabili come se fossero inviate da Dio" scrive il professore di teologia a Tubinga. "Ognuno ha il diritto di decidere per se stesso e nessun prete, dottore o giudice può impedirlo".

Per Küng, dunque, l'eutanasia non sarebbe una forma di omicidio, quanto piuttosto una "restituzione della vita nelle mani del Creatore", una scelta compatibile con la fede in Dio e la vita eterna promessa da Gesù.

Una posizione che però si scontra con la netta contrarietà al suicidio assistito della dottrina vaticana. Küng ha sempre avuto posizione progressiste, nel 1979 dopo che mise in dubbio la dottrina dell'infallibilità papale il Vaticano gli revocò la licenza all'insegnamento. Ma lui, convinto delle sue tesi, ignorò ogni pressione a ritrattare.

lunedì 14 ottobre 2013

Lutto Aldo Rosselli (1934-2013)

Ha portato con onore il cognome dei Rosselli
testimoniando nella sua vita i valori
di Giustizia e di Libertà

E' con profonda commozione che vi annunciamo la scomparsa, avvenuta a Roma lo scorso mercoledì 2 ottobre, di Aldo Rosselli, giornalista e scrittore figlio di Nello e nipote di Carlo Rosselli. La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli esprime la sua vicinanza ai figli Monica e Giacomo, ai fratelli Alberto, Silvia e Paola e a tutti i familiari. - Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

Associandoci al cordoglio per la scomparsa di Aldo Rosselli, riportiamo
il ricordo di lui scritto da Elèna Mortara Di Veroli e apparso
sul portale dell'ebraismo italiano moked<http://moked.it/blog/2013/10/06/aldo-rosselli-1934-2013/>



Il 2 ottobre, dopo lunghi anni di malattia sopportata con coraggio, è morto a Roma lo scrittore Aldo Rosselli, intellettuale sensibile e raffinato la cui opera di narrativa e acuta riflessione critica meriterà di essere studiata e inserita nella storia della letteratura italiana più di quanto non sia avvenuto finora.

Nato a Firenze nel dicembre 1934, era figlio di Nello Rosselli, lo storico del Risorgimento, antifascista, assassinato in Francia insieme al fratello Carlo da sicari del fascismo italiano nel 1937. La nonna paterna Amelia Pincherle Rosselli, lei stessa scrittrice e madre amatissima di ben tre figli morti "per la patria" (il maggiore, Aldo, era caduto volontario nella I Guerra Mondiale, e di lui il nostro portava il nome), fu influenza fondamentale e figura di riferimento per tutta la famiglia anche negli anni a seguire, durante il lungo esilio dapprima in Svizzera e Inghilterra e poi negli Stati Uniti, e infine nel ritorno in Italia nel dopoguerra.

Nel 1956, a poco più di vent'anni, Aldo fu socio fondatore insieme all'amico Roberto Lerici della rinnovata casa editrice Lerici, che fino ad allora si era occupata di opere scientifiche, e che i due amici trasformarono in casa editrice letteraria, aperta alle letterature del mondo.

Grazie alla sua sensibilità di lettore e ai suoi contatti americani, nella sua veste di editore il giovane Rosselli diede un contributo di straordinaria importanza alla conoscenza italiana di grandi scrittori quali Henry Roth e Isaac Bashevis Singer, che fu appunto la Lerici a pubblicare per la prima volta in Italia all'inizio degli anni sessanta: "Satana a Goray" di Singer uscì da Lerici nel 1960, "Chiamalo sonno" di Henry Roth nel 1964. I molti ammiratori di questi scrittori, tra cui chi scrive questa nota di addio, non possono che essere grati alle edizioni Lerici e ad Aldo Rosselli per questa opera pionieristica, finora poco a lui riconosciuta.

Nel breve arco di vita della rifondata casa editrice, 1956-1967, molte altre furono le voci importanti a cui la Lerici diede ospitalità per la prima volta in Italia: basti pensare tra gli scrittori di lingua italiana a Edith Bruck (come noto di origine ungherese, i cui primi due romanzi uscirono appunto da Lerici) e a Dacia Maraini, e tra gli stranieri a Roland Barthes, Witold Gombrowicz, Norman Mailer, per citarne solo alcuni.

Negli anni sessanta, con il graduale esaurirsi dell'attività editoriale, aveva inizio la produzione narrativa (e talvolta anche saggistica) di Aldo Rosselli scrittore, a partire dal romanzo "Il megalomane" (Vallecchi, 1964), seguito da "Ottoz" (1968), "Professione: mitomane" (Vallecchi 1971), "Episodi di guerriglia urbana" (Marsilio,1972), "La trasformazione" (Coop. Scrittori, 1977); "Psichiatria e antipsichiatria nel sud" (Lerici, 1978); "Zefiro" (Rizzoli, 1982); "La famiglia Rosselli" (Bompiani, 1983), "Una limousine blu notte e altri racconti" (Belforte, 1984), "A cena con Lukacs" (Theoria, 1986), "Il naufragio dell'Andrea Doria" (Bompiani,1987), "L'apparizione di Elsie" (Theoria, 1989), "Una favola a metà" (Giunti, 1994), "La mia America e la tua" (Theoria, 1995), "Dalla parte opposta della strada" (Empirìa, 1995), "Prove tecniche di follia" (Empirìa, 2000); "Boston, l'Aventino" (Empirìa, 2007): non soltanto romanzi, ma anche racconti lunghi e saggi-racconti, spesso segnati da una straziante ispirazione autobiografica, sovente narrazioni di nevrosi individuali, di coppia e collettive, che, come detto, meriteranno una lettura più attenta da parte della critica; così come la meriteranno le sue generose battaglie civili e iniziative culturali, inclusa quella più tarda di fondazione del quadrimestrale di cultura "Inchiostri".

E' noto il ruolo storico di Nello Rosselli, padre di Aldo, nel dibattito giovanile ebraico-italiano degli anni venti del Novecento. Il sentimento ebraico fu molto forte anche in Aldo, seppur spesso nascosto nelle pieghe della scrittura. Per chi voglia seguirne alcune espressioni, segnalo in particolare due testi: innanzitutto, nella bella raccolta "Una limousine blu notte", il saggio-racconto di riflessione autobiografica sulla propria scrittura "Abitare questi anni", in cui lo scrittore ha confessato in modo struggente i problemi posti ad un narratore ebreo italiano dall'assenza di una lingua dell'ebraicità analoga allo yiddish degli scrittori ebrei americani, in cui manifestare linguisticamente il proprio rapporto con il proprio ebraismo interiore; e, nel più recente volume "Boston, l'Aventino", il racconto "L'anno 1938 del Professor Zabban", storia del viaggio di ritorno di un giovane ebreo da Parigi alla città natale di Firenze, nell'anno delle Leggi Razziali anti-ebraiche emanate dal fascismo e dell'inizio delle persecuzioni.

Venerdì mattina, nel cimitero ebraico del Verano di Roma, si sono svolti i funerali di Aldo Rosselli. Il feretro è stato deposto nella tomba di famiglia, ove riposa anche la nonna Amelia, e dove Aldo desiderava poter giacere nel suo ultimo sonno. La tomba si trova all'ombra di un maestoso cedro del Libano, circondata da fitta vegetazione, ed è sovrastata da una grande pietra nera dalla forma selvaggia in cui sono incisi altri nomi di famiglia. All'ultimo saluto erano presenti tutti i fratelli, Paola, Silvia e Alberto, due dei tre figli, Giacomo e Monica, la prima moglie Emilia Noventa, rappresentanti dei Circoli Fratelli Rosselli di Firenze e Torino, il critico Renato Minore, insieme ad altre persone di famiglia ed amici: in tutto una trentina di persone. Alcune parole in ricordo sono state pronunciate da alcuni, all'ombra del grande cedro in una limpida giornata di sole.

Chi ha conosciuto Aldo Rosselli difficilmente potrà dimenticarne il lieve sorriso ("in quei sorrisi tenui", ha scritto anni fa Igor Patruno, "brucia la complicità dell'adolescente con le tasche piene di disobbedienze e 'giuste' riserve mentali"), l'arguzia della conversazione, la dolcezza dei modi, la libertà di pensiero, il sostanziale anticonformismo, l'autoironia e l'intelligenza, e il modo in cui questi tratti e i traumi sottostanti si sono travasati nella scrittura e nell'azione culturale di colui che è stato felicemente definito (dal sociologo Carlo Bordoni) "uno scopritore perfido delle pieghe ambigue della realtà, e della mente umana" e un coraggioso "profanatore dei luoghi comuni".

Nel commemorare la morte dello scrittore, la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze ha scritto che questi "ha portato con onore il cognome dei Rosselli testimoniando nella sua vita i valori di Giustizia e di Libertà". Pur senza enfasi, che mal si addice allo stile di questo uomo raffinato e gentile, questo giudizio può essere serenamente sottoscritto.



Elèna Mortara Di Veroli